4 Giugno 2016 10:00

A song of hope against pain: Andrea Emmes about living with RSDS

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Spesso non ci si sofferma a pensare che dietro a un’opera cinematografica, nella fattispecie un piccolo film d’animazione, ci siano delle persone oltre che degli artisti, e come tali soggette come tutti ai rovesci della sorte e a quelle prove di cui, pur con mille differenze individuali, il cammino dell’esistenza è disseminato. Tra queste, purtroppo, ci sono anche le malattie, le quali talvolta si rivelano molto difficili anzitutto da riconoscere e diagnosticare, e quindi anche peggiori da affrontare; e non di rado, purtroppo, decidono che con noi stanno fin troppo bene “e non se ne vogliono andare”, come i figli “bamboccioni” in quella vecchia miniserie tv con Turi Ferro e Virna Lisi

Chi lavora nel campo dell’arte o dello spettacolo non è immune da queste “visite indesiderate”, anzi, talvolta si ha l’impressione che al dono del talento debba corrispondere una sorta di “prezzo” da pagare, come se le piaghe nel corpo dovessero in qualche modo “compensare” lo sfavillio dell’intelletto e dello spirito… sia come sia, parlare di questi problemi, dichiarare anzitutto a se stessi di “avere un problema” e poi affrontarlo affidandosi alla comprensione e alle competenze dei propri simili non è mai una cosa scontata, e tantomeno facile. Occorre un enorme lavoro su se stessi, e il coraggio di uscire dal proprio personalissimo dolore, e dalla enorme paura che ci attanaglia, e accettare il fatto che se proprio d’ora in poi non saremo più “quelli di prima”, o almeno ciò che credevamo di essere, di certo saremo ancora “qualcuno”, esseri viventi ancora ricchi di possibilità di plasmare il nostro futuro.

Non è un percorso facile, e prevede anche l’imparare a convivere con la nostra nuova “coinquilina”: può essere subdola ed elusiva, per tenderti agguati, come il Cato dell’ispettore Clouseau, e colpirti quando hai le difese abbassate – la mia “bastarda” fa sempre così – oppure può scorrerti sottopelle come un vulcano silente ma sempre attivo, che ti fa sentire la sua presenza costante come il presagio di un’eruzione imminente.

Qualunque sia la propria “compagna”, ci vuole coraggio per parlarne in pubblico, ed è per questo che assume un enorme significato la “testimonianza di speranza” rilasciata dalla “zia” e producer di MILA, l’attrice, cantante e “audiobooks narrator” Andrea Emmes, da tempo affetta da Sindrome dolorosa regionale complessa, una patologia “cattiva” e complessa da curare, da lei affrontata con tenacia e cuore, senza mai perdere il meraviglioso sorriso che la contraddistingue e che, insieme alla sua inestimabile professionalità, l’ha resa uno degli autentici “cuori pulsanti” della MILA Family:

When I was diagnosed with RSD, I felt like I lost everything. My life, my ambitions and dreams, my friends, and my ability to do even the simplest of things. In a way, I felt like a huge part of myself had been lost or died. This film [Mila] is not only a story about children survivors of war, but speaks to everyday people who go through such challenging hard times that can seem overwhelming and impossible to “survive” through. Much like RSD, I have felt this depression and overwhelming sense of feeling worthless and useless and that there’s no hope for me. Working on this film, has reminded me, that we all go through hard times, and they vary in severity, but there is always a way to choose to fight and find hope.” (Andrea Emmes)

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Her story of hope:

http://rsds.org/wp-content/uploads/2016/05/Andrea-Emmes.pdf

Per saperne di più:

La Sindrome dolorosa regionale complessa (Complex regional pain syndrome, CRPS) o distrofia simpatica riflessa (Reflex Sympathetic Dystrophy Syndrome, RSDS) rientra nelle classificazioni cliniche come una condizione di sofferenza cronica caratterizzata da dolore localizzato che può essere spontaneo o evocato, e normalmente ha origine ad una estremità del corpo: una condizione permanente che interessa nella maggior parte dei casi clinici riscontrati anzitutto braccia, gambe, mani o piedi. Tale sindrome si sviluppa in genere in un arto, in seguito a una lesione (ad esempio una frattura ossea) o dopo un intervento chirurgico a cui segue un danno neurologico.

Il primo a descrivere questa condizione fu S. Weir Mitchell, medico e scrittore statunitense che nel 1863 ebbe l’opportunità di lavorare a stretto contatto con i soldati sopravvissuti, ma gravemente feriti, alla Civile Americana. Nella più recente letteratura scientifica si preferisce utilizzare la denominazione Sindrome Dolorosa Regionale Complessa (Complex Regional Pain Syndrome, CRPS) anche alla luce delle ultime scoperte, che indicherebbero un ruolo chiave svolto dal sistema nervoso simpatico nel mantenimento delle manifestazioni cliniche. Per quanto riguarda la popolazione generale, la CRPS colpisce maggiormente persone di sesso femminile (da 3 a 4 volte più frequente rispetto alla popolazione maschile), solitamente riguarda gli arti superiori (un classico esempio è la frattura al radio, che in alcuni casi può evolversi a dolori cronici e disproporzionali), ed ha un picco di incidenza fra i 50 e i 70 anni, fra le varie forme di algodistrofia riflessa è la più comune.

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Repertori:

Associazione: http://rsds.org/

http://www.labdn.it/PDFConvegni/23ott2009/Romano.pdf

https://www.progettoasco.it/numero-88-ottobre-2014-sindrome-dolorosa-regionale-complessa-crps-trattamento-fondato-patogenesi/

Grazie, Andrea, per il tuo inestimabile lavoro con MILA, e per aver regalato la tua bella voce anche a coloro che ancora credono di non averla.

milagrazie