23 Aprile 2016 09:00

(Re) finding P. L. Travers: con Mary Poppins sulle tracce della scrittrice che (forse) non volle farsi amare

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“Winds from the east… Mist comin’ in… Like something’s a brewin’, about to begin… Can’t put me finger on what lies in store… But I feel what’s to ‘appen, all ‘appened before…!”

“Vento dall’est | la nebbia è là | qualcosa di strano fra poco accadrà | Troppo difficile capire cos’è | ma penso che un ospite arrivi per me … “

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Ho sempre amato questo brano, che nel film Disney del 1964 preannunciava l’arrivo di Mary Poppins per bocca del simpatico vagabondo-tuttofare Bert, interpretato da Dick Van Dyke.

Come tanti della mia generazione, ho visto prima il lungometraggio prodotto da Walt Disney e soltanto molto dopo (anche a causa di una assai difficile reperibilità dei medesimi) lessi i libri che compongono la serie ideata e scritta da Pamela Lyndon Travers (pseudonimo di Helen Lyndon Goff, 23 agosto 1899- 23 aprile 1996).
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Qualche tempo fa ho anche avuto modo di vedere un altro film, ‘Saving Mr. Banks’, che la stessa Disney ha dedicato al proprio personale ‘punto di vista’ sulla lavorazione di ‘Mary Poppins’ sotto il (stando a tale ricostruzione) dispotico e incontentabile ‘giogo’ della ‘vecchia zitella’ Pam (come viene definita, più o meno esplicitamente da Tom Hanks/Walt e dai suoi collaboratori); proprio nel finale della pellicola, quando vengono finalmente fatte ascoltare le bobine con le autentiche registrazioni delle discussioni fra lo staff degli Studios e la scrittrice, ebbene, io ho avuto la netta sensazione che qualcosa stonasse nella pur “divertente” e ben fatta versione cinematografica. Ho deciso pertanto di provare ad approfondire la questione, traendo spunto dai libri sulla ‘tata’ più famosa del mondo e dagli altri testi di e su P. L. Travers, maturando sempre più la convinzione che tra quest’ultima e il bisbetico personaggio descritto nel lungometraggio Disney passi la medesima, profonda “deformazione prospettica” che avevo già avuto modo di rilevare nel caso di Walt Disney e della sua raffigurazione paranoica e reazionaria nell’opera lirica di Philip Glass, ‘The Perfect American’.
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Travers wrote the “Mary Poppins” books. They are brilliant and profound works, but few people seem willing to overcome their prejudices and entertain that possibility. When I’ve pressed those books on friends, their eyes seem to fill with saccharine memories (of Disney’s film and Julie Andrews and her umbrella) and they smile indulgently as if this is one more proof of my eccentricity.”
– anche io mi sono macchiato di tale pregiudizio e, al fine di fare ammenda e tentare di sfatarlo, chiederò aiuto proprio all’autore di questa citazione, ovvero Jerry Griswold, specialista in Cultura e Letteratura Americana e in Letteratura per l’Infanzia. Autore di numerosi libri, fra cui ‘Audacious Kids, or The Classic American Children’s Story’, ‘The Meaning of ‘Beauty and the Beast’ e ‘Feeling like a Kid’, ha collaborato spesso con il Los Angeles Times ed il New York Book Review. Professore emerito di letteratura alla San Diego State University, è stato anche ‘visiting professor’ alla UCLA e alla UCSD, e per un anno alla National University of Ireland a Galway. Vincitore di numerosi premi e onoreficenze in tutto il mondo, è stato direttore del National Center for the Study of Children’s Literature, sul cui blog abbiamo rintracciato questo suo testo illuminante, “Saving Mr Banks But Throwing P. L. Travers under the Bus”, per la cui traduzione rimando a quella, ottima, eseguita da Emma Ianni sul sito del festival Maredilibri.

Trovata una sponda nella lucida e argomentata tesi del professor Griswold, tenterò nel mio piccolissimo di aprire una nuova prospettiva sulla figura di un’autrice, e soprattutto un’intellettuale, a mio parere ben più interessante e complessa di quanto possa apparire a una lettura superficiale. Ecco, quello che segue è un tentativo, ma anche un invito, a “rileggere” Travers più a fondo, indagando i molteplici significati nascosti tra le sue parole. Un minuscolo e umilissimo omaggio a P. L. Travers, in occasione del ventennale della sua scomparsa: per ringraziarla di averci regalato uno dei personaggi più potenti e misteriosi della storia della letteratura.

Vorrei tornare sulla questione della ‘genesi’ del personaggio Mary Poppins, il quale in ‘Saving Mr. Banks‘ viene quasi esclusivamente attribuito alla figura della zia materna di Travers, come se fosse ricalcato in toto su di essa.

Risale alla fine dell’anno scorso la traduzione italiana di un racconto inedito che ‘testimonierebbe’ la ‘vera identità'(!) della magica bambinaia. Travers, nel 1941, fece infatti stampare privatamente in poche copie il racconto Aunt Sass’ (Zia Sass) per donarlo agli amici in occasione del Natale, e nel ritratto della prozia si vorrebbe svelato il legame con la sua opera di maggior successo: – «L’ho sempre adorata per l’anticonformismo e per la generosità, a dispetto di un carattere all’apparenza burbero. Aveva la grinta di un bulldog e un cuore tenerissimo. Come Mary Poppins» – è la testimonianza della scrittrice riportata per rafforzare la tesi – «Ho spesso pensato che un giorno avrei commesso la volgarità irrispettosa di metterla in uno dei miei libri. Poi mi sono accorta di averlo già fatto, anche se inconsciamente. Questa zia affettuosa e austera, discreta e fiera, la trovate nel personaggio di Mary Poppins».

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Appunto: in Mary Poppins ritroverete zia Sass … insieme a un’infinità di altre suggestioni! Comme d’habitude, si cerca di ricondurre un’opera complessa ad un’unica origine, come se un personaggio e una trama fossero nient’altro che la mera trasposizione letteraria di un incontro o di un evento significativo nella vita del suo creatore: ma, per fortuna, non è quasi mai così.

Concentriamoci dunque su Mary Poppins, e vediamo quanti elementi della sua ‘genesi’ sono stati modificati, quando non proprio stravolti, in ‘Saving Mr. Banks’:

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Travers Goff, IL PADRE: uomo dalla personalità volubile, capricciosa e ostinata, talvolta temibile nella sua imprevedibilità ma sempre capace di divertire le figlie (quanto di Mary Poppins c’è già in questa descrizione!), di certo passò a Pamela un grande amore per libri ‘proibiti’ come quelli dei Fratelli Grimm, oltre a comunicarle quella nostalgia per la natìa Irlanda che la condurrà in seguito a viaggiare per approfondirne miti e leggendeinsieme a una certa tendenza all’eccentricità e alla malinconia. La responsabilità di aver ridotto una personalità tanto complessa a patetico ubriacone frustrato, che trascina nel vortice dell’infelicità l’intera famiglia, la attribuirei soprattutto a quella generica tendenza alla semplificazione e allo schematismo da cui il cinema di genere a stelle e strisce non riesce proprio a liberarsi. Insomma, il papà affettuoso ma deleterio per la crescita di una giovane donna costituisce di certo un eccellente spunto da commedia drammatica, e in questo caso il signor Goff  non poteva scampare alle grinfie dello sceneggiatore. Oltretutto, avendo utilizzato come pseudonimo il nome proprio del padre, Pamela Lyndon si è letteralmente offerta in pasto alla ridda di interpretazioni psicanalitiche spicciole e facilone.

Consapevolmente? Ritorneremo più avanti su questo punto.

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Margaret Agnes Morehead, LA MADRE: sorella del Primo Ministro del Qeensland, fiera e indomita anima scozzese, amante della poesia, con una vena di allegra follia che di colpo spezzava la routine: univa l’innata capacità di sorprendere ad una forte sicurezza di sé. Ed è a lei, non al padre, che si deve l’aneddoto della cova; eppure, per i motivi esposti prima, ai fini della trama del film faceva più comodo trasformarla in una remissiva e fragile donnetta, atterrita e impotente nell’assistere al crollo emotivo e fisico del marito, e anche un po’ gelosa del suo rapporto privilegiato con la figlia; l’episodio in cui lei, dopo la morte del marito, tenta il suicidio nel fiume mentre la piccola Pam racconta fiabe alle sorelline per proteggerle dalla paura e dal temporale… bé, era troppo perfetto per non farne una delle architravi della “traumatica” infanzia dell’autrice, secondo i canoni più scontati del melodramma cinematografico.

La cosa più triste, però, è il modo in cui, più o meno implicitamente, i meravigliosi giochi, anche lessicali, della famiglia Goff, retaggio di una cultura orale e letteraria tipicamente anglosassone, vengono fatti passare, nell’ottica superficiale del film, come evidenti segnali rivelatori di una ‘famiglia disfunzionale’ in cui, sotto l’apparente allegria e scherzosità, si nascondevano la tragedia e il malessere.

In realtà, io ritengo che sarebbe più corretto pensare all’influenza dei genitori su P. L. Travers – prescindendo dal legittimo  dolore di averli perduti precocemente (cosa peraltro non infrequente all’epoca) – come quella di chi lascia alla prole libero accesso a testi e immagini che altrove non potrebbero reperire, concedendo loro la libertà di farsene un’opinione propria, senza relegarli nell’angusto recinto delle convenzioni, del “è normale così“.

Ecco un altro pezzetto di Mary Poppins che viene a galla: l’esperienza, anche del rischio, come terreno necessario per conoscere la realtà.

Un’impostazione a mio parere ben più utile al fine di comprendere l’evoluzione di Travers come scrittrice e intellettuale, rispetto al semplice rilievo di un trauma psicologico che l’avrebbe accompagnata tutta la vita e che, se anche ci fosse stato, tutt’al più le avrebbe consentito di mettere al mondo una Mary Poppins simile a quella disneiana, non certo il complesso e sfaccettato personaggio che, in ogni caso, rifugge dalla semplicistica e riduttiva interpretazione offerta in ‘Saving Mr. Banks’.

I coniugi Goff erano entrambi genitori allusivi e non esplicativi, come Mary Poppins, e come la tata consideravano l’immaginazione un ‘dato di fatto’. Vivevano, si potrebbe dire, in una condizione di ‘radicale innocenza’, impermeabile al duro cinismo della quotidiana esistenza e priva di intenti pedagogici programmati: soltanto attraverso l’esempio e l’esercizio costante della Fantasia, influenzarono Pamela fino a indirizzarla sul cammino della conoscenza e della ricerca spirituale, ma anche di una gioiosa e incoercibile immaginazione. –

“But I suppose if there is something in my books that appeals to children, it is the result of my not having to go back to my childhood; I can, as it were, turn aside and consult it (James Joyce once wrote, “My childhood bends beside me”).

If we’re completely honest, not sentimental or nostalgic, we have no idea where childhood ends and maturity begins. It is one unending thread, not a life chopped up into sections out of touch with one another.

How wonderful it was to be able to have somebody other than your parents that you could talk to, who treated you as though you were a human being, with your proper place in the world. Your parents did so, too (my parents were most loving, I had a most loving childhood), but the extra friend was a tremendous plus.”

(Pamela Lyndon Travers)

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LA TATA: fra le tante che si susseguirono nel ménage della sua famiglia, Travers ricordò un giorno una certa “Bella … o Bertha“, cui attribuì anche l’iconico ombrello col manico di pappagallo e, soprattutto, la capacità di elargire storie fantastiche ma soltanto ‘accennate’, utilizzando inconsapevolmente quel procedimento mitopoietico per cui gli aneddoti, financo i più assurdi, non vengono mai spiegati né messi in discussione ma soltanto raccontati ed esposti come eventi effettivamente accaduti, finendo poco a poco col divenire, nella psiche di chi ascolta, del tutto ‘credibili‘. Come i suoi genitori, e come Mary Poppins stessa, questa tata non forniva mai delucidazioni a Pamela e alle sue sorelle: per i bambini di casa, e anche per gli adulti, i racconti erano da prendere così come erano, senza seccare il narratore con inutili richieste di chiarimenti o insistendo per averne ancora: tempi e modi erano imperscrutabili, a totale discrezione della bambinaia, così nella realtà e così, successivamente, nella ‘finzione’ (?) delle storie scritte da Travers.

“I feel that the indirect teaching is what is needed. All school teaching is a direct giving of information. But everything I do is by hint and suggestion. That’s what I think gets into the inner ear” – Questa sembra essere la ‘regola aurea’ del metodo pedagogico, sempre che ne esista uno, di P. L. Travers e della sua Mary: l’insegnamento indiretto, senza regole imposte dall’alto ma bensì seminate subliminalmente ogni giorno, tramite l’esperienza, il gioco, e perché no? la paura, intesa nel senso del mettere di fronte ai bambini i pericoli del mondo, affinché possano formarsene una propria opinione.

La stessa Travers restò sempre, spudoratamente, una bambina, e al contempo una sorta di ‘governante’ come del resto lo era stata a lungo per le sorelle: – “Mary Poppins è la storia della mia vita” – ebbe ad ammettere in più circostanze, ma non nel senso espresso da ‘Saving Mr. Banks’, ovvero del mero tentativo di difendersi dai dolori dell’infanzia, bensì del riflesso nell’opera di tutte le sue esperienze, tra cui notevole importanza ebbe senza dubbio il fertile contesto intellettuale in cui ebbe la fortuna di formarsi; come spiegò in un’intervista, pure il fiero e un po’ altezzoso portamento di Mary Poppins le venne ispirato da quello di uno dei suoi mentori, il grande poeta W. B. Yeats).

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Alfine, però, non è possibile dare un’origine, e una spiegazione, a tutto: – “You know, in America, everybody thinks there’s an answer to every question. They’re always saying, “But why and how?” They always think there is a solution. There is a great fortitude in that and a great sense of optimism. In Europe, we are so old that we know there are certain things to which there is not an answer. And you will remember, in this regard, that Mary Poppins’s chief characteristic, apart from her tremendous vanity, is that she never explains. I often wonder why people write and ask me to explain this and that. I’ll write back and say that Mary Poppins didn’t explain, so neither can I nor neither will I. So many people ask me, “Where does she go?” Well, I say, if the book hasn’t said that, then it’s up to you to find out. I’m not going to write footnotes to Mary Poppins. That would be absolutely presumptuous, and at the same time it would be assuming that I know. It’s the fact that she’s unknown that’s so intriguing to Readers … ” (Pamela Lyndon Travers)

Aggiungerei: chi vuole davvero sapere tutto? Parte del fascino di Mary Poppins sta proprio nel suo mistero, nella sua ‘inconoscibilità‘.

Mi permetto ora di citare un brano da un interessante post della blogger Emi-Chan citato da Luca Boschi qui e che ho solo modificato leggermente nel testo per adattarlo al discorso che sto portando avanti:

Alcuni critici attribuiscono le discrepanze fra la bambinaia dei libri e quella del film al differente atteggiamento di inglesi ed americani nei riguardi della figura classica della Tata: P. L. Travers, che aveva svolto anche questo lavoro in gioventù, guardava alla bambinaia come ad un elemento fondamentale della famiglia borghese, ovvero colei che provvede alle necessità materiali dei bambini e ne supervisiona l’educazione evitando un coinvolgimento diretto dei genitori, i quali correrebbero il rischio di soffocare lo sviluppo dei figli inibendone la fantasia. Walt Disney e gli sceneggiatori del film vedono invece Mary Poppins come una fata il cui fine è quello di rendere superflua la sua stessa presenza, poiché una famiglia armoniosa non ha bisogno di Tate: basta che gli impegnatissimi genitori si occupino dei figli condividendone giochi e fantasie… il messaggio opposto a quello della Travers, indignata per la trasformazione del tenero e comprensivo Signor Banks in un arido e tirannico “cappello duro” e dell’orgogliosa ma insicura Signora Banks in una suffragetta rampante.”

Insomma, vengono a confronto e inevitabilmente a conflitto due visioni affatto diverse della società, della pedagogia e financo dell’infanzia: era prevedibile che sorgesse un problema di fraintendimento culturale.

Per approfondire la figura della ‘tata’ nel contesto socio-culturale e nell’immaginario anglosassone rimando al fondamentale testo di Giorgia Grilli, ‘In volo, dietro la porta. Mary Poppins e Pamela Lyndon Travers, Cesena, Società Editrice ‘Il ponte vecchio’, 1997, (ristampa 2002). In questa sede mi limito a ribadire l’importanza dell’ignoto nell’impostazione della Mary Poppins “letteraria”:

 – “More and more I’ve become convinced that the great treasure to possess is the unknown. I’m going to write, I hope, a lot about that. It’s with my unknowing that I come to the myths. If I came to them knowing, I would have nothing to learn. But I bring my unknowing, which is a tangible thing, a clear space, something that’s been made room for out of the muddle of ordinary psychic stuff, an empty space.” (Pamela Lyndon Travers)

Ora, dato che per portare avanti la mia analisi necessito di numerosi alleati, o almeno del più alto apporto di contributi autorevoli e documentati, ne riporterò subito un altro, a mio parere abbastanza chiarificatore su certi aspetti dell’affaire Disney/Travers, apparso su The Guardian a firma della giornalista culturale Kathryn Hughes: –

” […] as Travers’s text makes clear, Mary Poppins is no beauty. She has squinty eyes and big feet and regularly attracts the comment from the other characters that she is “not much to look at”. Nor does the original Mary Poppins sound anything like the carefully modulated Julie Andrews. Travers gives her the accent and vocabulary of a real London nanny: cockney base notes overlaid with a strangled gentility. So she says things like “I’ll have you know that my uncle is a sober, honest, hard-working man!” and punctuates her pronouncements with “a superior sniff”.[…] But I could have forgiven all these dreadful derelictions – how furious Mr Disney must be! – if the book wasn’t so oddly dull. Or perhaps that should be dully odd. There were long, waffly passages in which characters who didn’t appear in the Disney film went on and on about the stars, and the wind and the moon and the Grand Chain that connects all creatures. Even the adventures that Mary Poppins undertakes with her charges had an indeterminate quality, without a proper resolution. At the end of each outing Jane and Michael go to bed not sure what has just happened or what it all means. And the same was true of eight-year-old me. Disgusted, or perhaps disturbed, I tucked Mary Poppins on to the “too difficult” section of my small library and moved on to Paddington Bear. Rooted in an earthly geography of Peru, Portobello Road and marmalade sandwiches, you knew where you were with Paddington […]

“A large part of Travers’s quarrel with Disney was that she didn’t create specifically for children, whereas that was all he did  – (Eppure, prima del film ‘Mary Poppins’ era uno dei libri più amati e più letti: spesso essere capiti dai bambini non significa scrivere appositamente perché ciò avvenga) – A follower of Gurdjieff, the Russian mystic who introduced the west to a ragbag of eastern mysticism in the first part of the 20th century, Travers was more interested in excavating the archetypes that underpinned esoteric Christianity than dreaming up nursery pap. She always made the point that it was the grownups, not the children, who needed Mary Poppins most. One of the most important scenes in the book concerns the baby twins John and Barbara Banks who are able to talk to the sunlight and the wind and to animals and who swear that they will never forget this blissful world of oceanic oneness. But on their first birthday they are thrown out of paradise, just as Mary Poppins always said they would be, and are no longer able to communicate with the natural world. It was to help all the adult Johns and Barbaras find their way back to this place of innocence and grace that Mary Poppins first came to earth.

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“Rereading the Mary Poppins books today, it is not the cod theology that hits you so much as their economic and political underpinning. While the Disney film is set at the apogee of empire – “The year is 1910, it’s the age of men” crowed David Tomlinson as Mr Banks – Travers’s book is firmly located in the 1930s, Auden’s “low, dishonest decade”. The first awful shock of the great depression might have been over, but there’s a sense that nothing can ever be relied on again. On the first page Travers tells us that No 17 Cherry Tree Lane is the smallest and shabbiest house in the street because Mr Banks has given Mrs Banks the choice between a large family or “a nice, clean, comfortable house”. When Banks arrives home from work each evening he often can’t spare any coppers to give to the children because “the bank is broken”. And then there’s the vexing business of the servants’ wages which, the increasingly harassed master of the house declares, are ruining him. No 17 Cherry Tree Lane is clearly in the midst of what was known by the interwar period as “the servant problem”. With young working-class people more and more reluctant to “go into service”, the middle classes were obliged to run their houses with the help of a dwindling cohort of increasingly bolshie staff who weren’t about to put up with any nonsense from their “betters”. And that, surely, is the point Travers is making when Mary Poppins turns up from nowhere and refuses to provide references. Hysterically grateful that anyone at all is prepared to work for her, a cowed Mrs Banks immediately agrees to waive the formalities.

Travers was never precise about her socialist affiliations – “it is difficult for me to think or feel politically” – preferring to dwell in her anterior world of myth and legend. Still, in 1932, two years before publishing Mary Poppins, she had made the lefty intellectual’s obligatory trip to Soviet Russia and concluded that “in a world rocking madly between fascism and communism” she leaned towards the latter. And you can see that, surely, in the way that Mary Poppins’s magic world is peopled not by eccentric duchesses or twinkly godmothers, but by park keepers, zoo attendants, policemen, butchers, confectioners and the old woman who feeds the birds on the steps of St Paul’s. It is these low-status individuals, inhabitants of the economic and social underworld, who are summoned to teach Jane and Michael their life lessons …

“[…] Mary Poppins rules through coldness, stares, lies and, on occasion, downright terror. When Michael is naughty she threatens to hand him over to “the policeman” and she sends grumpy Jane to exile inside a cracked Doulton bowl. Cruellest of all, she constantly threatens to leave, playing on her young charges’ terror of abandonment.”

“In lieu of anything approaching an overarching narrative, perhaps the best way of understanding Travers’s Mary Poppins is as a set of self-contained fairytales. Each chapter precipitates Jane and Michael into an adventure as terrifying as anything from the Brothers Grimm. There are children in cages and a woman who snaps off her fingers and gives them to the children to nibble. All this is made more frightening by the ordinariness of the setting and props. Borrowing perhaps from Andersen, Travers gives domestic furniture and banal objects the ability to talk and think and feel, making the everyday world seem suddenly uncanny. The lessons that the Banks children learn are not the usual ones about relating to the external world – the virtues of being kind and polite so that one day they may become fully socialised adults. Instead, these are much more profound, internal, enduring lessons about the way in which grownups, even those who are supposed to be caring for you, will always let you down, maybe even wish you harm. And that this betrayal, in the end, is survivable.”

“… Walt Disney took a small, difficult book – not yet a classic in the way that Winnie-the-Pooh or Peter Pan were when he got his hands on them – and he stripped it down to its component parts and reimagined. The film became the yang to the book’s yin.” (Kathryn Hughes)

Ecco, forse a dirla più semplicemente Disney realizzò l’unico film che era nelle sue corde, ovvero descrisse la ‘sua’ Mary Poppins, quella che ai suoi occhi di uomo di genio proiettato verso il futuro, spinto da un’incrollabile fiducia nel progresso – Mickey Mouse nasce alla vigilia della Grande Depressione ma è già un ‘figlio’ del New Deal roosveltiano – appariva come una bella fata (perché la Bontà è sempre avvenente), protettrice dell’unità famigliare e della ‘Fantasia’ come lui la intendeva – una fata che veniva a ‘salvare‘ i padri e a consolare i figli, e poi se ne volava via su una nuvola rosa portata da un vento che più  nulla aveva di minaccioso.

Una figura colorata a tinte pastello, morbida e carezzevole, solo apparentemente severa ma pronta a elargire cucchiaiate di zucchero per lenire i dolori e insegnare giochi fantastici per rendere divertente il noioso ménage domestico …

QUESTA era la Mary di zio Walt, e poco o nulla poteva coincidere con quella di Travers, le cui radici erano antiche quanto il mondo, lei che aveva stuoli di parenti fra le divinità e i piccoli popoli delle leggende, che pareva eterna pur avendo una madre e dunque un’origine, e che difendeva un Ordine Naturale immutabile che soltanto l’irrazionale comportamento umano poteva turbare … pure le Pleiadi si inchinano di fronte a Mary Poppins, e lei sembra possedere la facoltà di muoversi tra vari mondi, ne conosce la bellezza e i rischi terrificanti, come Peter Pan di cui potrebbe essere stata amica … o forse nemica, data l’avversione del bimbo perduto per tutto ciò che ‘puzza’ d’autorità; e nessuno può disubbidire alla tata, perché facendolo si rischia di perdere tutto, di smarrirsi e non tornare più a casa.

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Sia Michael che Jane Banks commettono questo errore, e per un pelo non si ritrovano vittime di ciò che alligna nel buio degli anfratti, negli angoli della casa, fra le pagine ammiccanti di un libro o nell’apparente idillicità di una scena ludica dipinta su un soprammobile … e ogni volta è Mary che li riporta indietro, pagando un prezzo che intuiamo essere assai più alto di quello apparente (un indumento, un accessorio di vanità) e che probabilmente, per riscattare i suoi protetti, ella ha dovuto concedere una parte di sé: perché lei conosce le regole, e sa bene qual è il costo per ripristinare quella (apparente) ‘normalità‘ in cui gli esseri umani si crogiolano quotidianamente pensando che nulla possa turbarla.

Mary Poppins lo sa.

Sa tutto ciò che è accaduto, e sa anche quale arduo cimento si sta preparando per i giovani virgulti che sotto i suoi occhi muovono i primi passo lungo i sentieri della vita … meno di dieci anni, e la Grande Bestia tornerà ad esigere il suo tributo di sangue in tutto il mondo, divorando vite in fiore come quella di Michael che avrà giusto l’età per partire soldato, ma anche di Jane, il cui sorriso caparbio potrebbe venire spezzato dall’uragano imminente…

“Had [Mary Poppins] lived in another age, in the old times to which she certainly belongs, she would undoubtedly have had long golden tresses, a wreath of flowers in one hand, and perhaps a spear in the other. Her eyes would have been like the sea, her nose comely, and on her feet winged sandals. But, this age being the Kali Yuga, as the Hindus call it, . . . she comes in habiliments suited to it.” [AE, aka George Russell]

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Pamela con George Russell

Mary Poppins ha probabilmente vissuto (e combattuto) tutte le guerre della Storia Universale, forse non sempre dalla parte degli Uomini ma di certo mai contro l’Infanzia, e sa che non potrà fare nulla per i suoi protetti una volta gettati in quell’immenso mattatoio, non potrà salvarne nessuno dal fuoco e dalla crudeltà fuori controllo del mondo… ma una cosa resta in suo potere: insegnare loro a ‘VEDERE‘, e a serbare nella memoria, il meraviglioso ciclo infinito di tutte le cose; a non perdere mai, nemmeno quando saranno nelle fauci dell’orrore più grande, lo sguardo incantato e coraggioso dei bambini, che soli esseri nell’universo possono affrontare la Bestia senza impazzire nel guardarla in volto.

No, Mary Poppins non potrà evitare che molti dei suoi piccoli cadano nelle fauci del mostro che sta per risvegliarsi … ma può far sì che coloro che torneranno a casa siano ancora capaci di godere della bellezza del mondo, di sognare, di amare e in una parola: di VIVERE. Perché la serenità, se non proprio la felicità, può essere anche solo il potersi ancora sdraiare sotto un albero in un caldo pomeriggio di primavera, e chiudere gli occhi sapendo che qualcuno veglia su di noi e ci protegge, sognando che, forse, tutto d’ora in poi andrà per il meglio.

Una sensazione, fragile come ogni desiderio … ma, in fondo, non è tutto ciò che ci serve per andare ancora avanti?

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In questo la visione di Travers si discosta parecchio da quella di James Matthew Barrie, il cui Peter Pan rifiutando di diventare adulto perdeva per sempre la capacità di ricordare, di trattenere a sé le esperienze e gli incontri che nella vita dei mortali consentono loro di avere percezione effettiva di sé e della propria unicità individuale; Mary Poppins, al contrario, è nata e cresciuta e conserva la memoria di tutti coloro con cui ha avuto a che fare, e grazie a tale patrimonio di conoscenza e di empatia ella non ha bisogno, come Peter, di legare a sé discepoli “sperduti” tra i flutti della vita, ma al contrario è in grado di arricchirne l’esistenza e ampliarne gli orizzonti sapendo sin dall’inizio che quel rapporto dovrà essere interrotto affinché i suoi semi possano germogliare. Il Maestro deve andarsene (morire?) affinché l’allievo possa continuare il suo viaggio. Torneremo tra poco su questo concetto.

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Come già accennato all’inizio, è mia convinta opinione che nel corso degli anni trascorsi dopo la sua morte Walt Disney abbia subito un autentico fuoco di fila di calunnie che almeno in parte ne hanno macchiato la memoria.

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Ecco, con il film ‘Saving Mr. Banks’ a mio parere l’azienda Disney ha in parte rivolto questa stessa operazione su Pamela Lyndon Travers, costruendo nell’immaginario collettivo la rappresentazione di una donna bisbetica, triste e sola; in questo aiutata non poco dalle voci sulla sua vita privata, e soprattutto dalle numerose polemiche legate al tempestoso rapporto col figlio adottivo Camillus Hone: anche i rapporti con i consanguinei non dovevano essere dei migliori, se è vero che, alla sua morte, i pronipoti le avrebbero dedicato il peggior epitaffio che si possa attribuire ad un essere umano:

“She died loving no one and with no one loving her.”

Non voglio entrare nel merito di una vicenda dolorosa e privata a causa della quale Travers venne, ovviamente a posteriori, descritta come anaffettiva, manipolatrice, plagiatrice o plagiata, subì i soliti, immancabili sospetti di omosessualità (vista come segno di personalità ambigua e disturbata) e venne senza mezzi termini tacciata di aver preteso di essere madre per capriccio, senza averne le capacità né l’indole …

Forse, alla resa dei conti, pagò soprattutto il prezzo della propria indipendenza dal mondo maschile (senza per questo poter essere considerata una femminista, anzi, la sua visione della donna come detentrice di un ruolo immutabile nell’ordine delle cose farebbe probabilmente arrabbiare più di una militante), la sua vita libera al servizio della conoscenza e della spiritualità, la sua visione realmente ‘rivoluzionaria’ dell’educazione infantile che molto probabilmente commise l’errore di voler troppo fiduciosamente applicare alla propria esperienza di madre adottiva, scontrandosi con tutte le pesanti e spesso irrazionali difficoltà dell’essere genitori.

Come chiunque altro.

Purtroppo, per riuscire ad essere all’altezza di questo compito, occorrerebbe che lo fossero anche i figli, e non sempre ciò accade: la pedagogia ‘suggestiva‘ di Mary Poppins aveva avuto successo con i piccoli Banks, nel mondo tutto sommato protetto della letteratura, ma con Camillus, ragazzo ‘vero’, pieno di rancore e rabbia anzitutto verso la propria esistenza, fallì completamente.

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… o forse no? Soltanto loro possono saperlo.

Vi sarebbe anche un’altra ipotesi… forse soltanto una suggestione, ma che potrebbe aiutare a trovare una via per comprendere meglio la talvolta snervante “elusività” di un’autrice che ha sempre spiazzato fans e detrattori, prima suggerendo possibili chiavi di lettura e subito dopo smentendole categoricamente.

Come detto, Travers fu anche discepola del discusso filosofo mistico armeno Georges Ivanovic Gurdjieff, il quale pare indossasse, tra le tante, una “maschera di apparente fraudolenza”, al fine di per percorrere quella che i sufi chiamano la “via di malamat” ossia la “via del biasimo”, consistente nello scandalizzare appositamente, come un maestro zen, ad esempio “comportandosi anche in maniera incoerente o poco consona”. Così come il suo maestro, forse anche P. L. Travers si mostrò nel lavoro e nella vita come un individuo contradditorio e talvolta discutibile, suscitando su di sé più dubbi che certezze, e perfino antipatia, perseguendo il fine nascosto di sottrarre gli interlocutori alla pedestre “idolatria” verso un modello intellettuale e spingerli verso un proprio personale processo di “comprensione”, nell’accezione della Quarta Via teorizzata da Gurdejeff, ovvero di raggiungere una superiore consapevolezza di sé e di conseguenza del proprio operato.

“La Quarta Via è diversa dalle altre tre vie perché la richiesta principale che viene fatta ad un uomo è quella di comprendere. Un uomo non deve fare nulla che non abbia compreso, ad eccezione di esperimenti sotto la supervisione diretta del maestro. Più un uomo comprende che cosa sta facendo, maggiori saranno i risultati dei suoi sforzi. Questo è un principio fondamentale della Quarta Via. Il risultato del lavoro è proporzionale alla consapevolezza del lavoro. Nessuna ‘fede’ è richiesta nella Quarta Via; al contrario la fede di ogni tipo è opposta alla Quarta Via, nella Quarta Via un uomo deve soddisfare se stesso con la verità di quello che è detto, e fino a che non è soddisfatto non deve fare nulla.” (P.D. Ouspensky)

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Forse a Camillus, così come in seguito a zio Walt, era stata data una grande opportunità, che lui si rifiutò di cogliere … o non ebbe le capacità di farlo.

Succede.

Non si può vincere sempre, e non sempre le cose vanno a finire bene.

In una nota all’edizione italiana di ‘Mary Poppins in the park’ (Mary Poppins nel parco, ed. Bompiani, 1965, Travers scrive: – ” … va detto nel caso che qualcuno fosse indotto a credere in una quarta visita [dopo quelle dei primi tre libri]. Ma l’ipotesi è assurda. Non è concepibile che chiunque abbia varcato la soglia dell’Altra Porta possa tornare indietro … ” – insomma, alcune cose nella vita sono irreparabili, irrevocabili, definitive.

A insegnarcelo è propria la nostra bambinaia:

– “She [Mary] doesn’t hold back anything from them. When they beg her not to depart, she reminds them that nothing lasts forever. She’s as truthful as the nursery rhymes. Remember that all the King’s horses and all the King’s men couldn’t put Humpty-Dumpty together again. There’s such a tremendous truth in that. It goes into children in some part of them that they don’t know, and indeed perhaps we don’t know. But eventually they realize—and that’s the great truth. 

When you think of “Humpty-Dumpty”—“. . . All the King’s horses and all the King’s men couldn’t put Humpty together again”—that’s a wonderful story, a fable that some things are impossible. And when children learn that, they accept that there are certain things that can’t be, and it’s a most delicate and indirect way to have it go into them.

Mary Poppins stories is in essence a Zen story.”

Non tutte le sconfitte lo sono per davvero: qualcosa resta, sempre.

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Questa immagine mi ricorda sempre la scena del treno ne “La città incantata di Miyazaki”…

Ma non solo: esiste anche un aspetto nascosto, forse ancor più ‘disturbante’ per chi vorrebbe che un libro servisse solo a ‘tranquillizzare’ e a ‘normalizzare’:

“EVERY one of the stories is a moment of tremendous sexual passion, because it begins with such tension and then it is reconciled and resolved in a way that is gloriously sensual.” (P. L. Travers)

Anche questi intimi ‘turbamenti’ fanno parte integrante dell’educazione alla vita, ma ritrovarli celati in un’opera considerata ‘per l’infanzia’ può aver attirato sull’autrice ulteriori sospetti sulla sua ‘bizzarra condotta personale’, facendo scattare il fuoco di fila delle malelingue, come sempre tese a ‘tutelare‘ i bambini dal Male del Mondo … guardandosi bene dall’interpellare i diretti interessati, ovviamente.

I libri di Travers, poiché tutto il mondo è paese (ed è un paese piccolo, purtroppo), non potevano certo scampare alle immancabili accuse di ‘razzismo‘ e, per non vedere ‘bandito’ il suo libro dagli scaffali delle biblioteche americane, Pamela fu anche costretta a riscrivere un capitolo di Mary Poppins’ intitolato ‘Bad Tuesday’, in cui (orrore!) veniva data, a detta dei censori, una descrizione “semplicistica e offensiva” di alcuni gruppi etnici presenti nel racconto:

– “What I find strange is that, while my critics claim to have children’s best interests in mind, children themselves have never objected to the book.  I have rewritten the offending chapter, and in the revised edition I have substituted a panda, dolphin, polar bear, and macaw. I have done so not as an apology for anything I have written. The reason is much more simple: I do not wish to see Mary Poppins tucked away in the closet. Aside from this issue, there is something else you should remember. I never wrote my books especially for children.” (Pamela Lyndon Travers)

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Tutte queste illazioni, che di certo non resero giustizia a ciò che questa brillante scrittrice e intellettuale fu nella realtà, sono servite soprattutto al tentativo disneiano di ‘fagocitare’ il suo personaggio più celebre, alimentando l’implicita convinzione che non solo Walt avesse avuto ragione a trasporre Mary Poppins nel modo in cui fece, ma che in tal modo ne avesse colto il VERO significato, quello che sfuggiva persino alla sua stessa creatrice …

Precisiamo, io non credo che il ‘vero’ Disney fosse davvero consapevole di ciò: come già detto, lui diede semplicemente la propria interpretazione di Mary, ciò che PER LUI era il senso del romanzo; ma l’azienda che porta il suo nome ha ora girato un film prettamente agiografico, in cui la tata ‘autentica‘ appare senza dubbio essere quella del film, senza più alcuno spazio né per il personaggio letterario né tantomeno per la scrittrice, che diventa suo malgrado una delle tante comparse di DisneyWorld, con tanto di orecchie da topo e guanti gialli, privata quasi completamente della propria personale complessità.

Stuff and nonsense!” – appunto. Ma creati a tavolino, in tutta consapevolezza da un’azienda impegnata nella propria autocelebrazione.

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Personalmente, amo molto il film Disney del ’64, e ritengo che sia un boccone di gioia e speranza da concedersi nei momenti difficili della vita … ma è necessario conoscere anche lo yang, ovvero la Mary Poppins che per troppo tempo il cinema ci ha convinto non esistesse.

Quello che tutti noi, cresciuti all’ombra del sorriso di Julie Andrews, fatichiamo tuttora a visualizzare è che è esistito un PRIMA, un’epoca in cui nessun film era giunto a monopolizzare l’immaginario infantile e in cui Mary Poppins conquistava i cuori dei bambini soltanto con la forza evocativa e nostalgica (proprio così!) delle proprie pagine! Sin dal 1934 l’enigmatica tata avvinceva i propri lettori senza bisogno di pinguini ballerini o ‘cucchiaini di zucchero’, né canzoncine orecchiabili …

Del resto, non è stato proprio su suggerimento delle figlie, grandi fans dei libri di Travers, che Walt decise di acquisirne i diritti per farne un film?

 – “Not long ago, a young person, whom I don’t know very well, sent a message to a mutual friend that said: “I’m an addict of Mary Poppins, and I want you to ask P. L. Travers if Mary Poppins is not really the Mother Goddess.” So, I sent back a message: “Well, I’ve only recently come to see that. She is either the Mother Goddess or one of her creatures—that is, if we’re going to look for mythological or fairy-tale origins of Mary Poppins … Speaking about children’s reactions, when a little girl was asked why she liked Mary Poppins, she said, “Because she is so mad.” – She is mad. Only the mad can be so sane. – “I’ve just been reading Mary Poppins again, and it could only have been written by a lunatic.” That goes with your girl, you see. And I knew perfectly well, because we understand each other’s language very well, that he meant “lunatic” as high praise.” (Pamela Lyndon Travers)

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Dal 1964 in poi, la forza delle immagini cinematografiche e del battage pubblicitario ha finito per oscurare quasi del tutto l’originale, relegandola fra gli scaffali delle biblioteche e di qualche illuminata libreria, senza però riuscire a cancellarla mai del tutto: come tutti i grandi eroi della Fantasia, anche Mary può andare in letargo per decenni senza sfiorire, senza perdere nulla della propria potenza immaginifica… e invece di schiacciarla definitivamente, un film come ‘Saving Mr. Banks’ potrebbe paradossalmente riaprirle le porte riaccendendo un dibattito che come si è visto non è limitato a questo blog ma si sta espandendo a macchia d’olio, e non soltanto sul web.

 – “Throughout her life she took E. M. Forester’s famous words as her mission statement: “Only connect.” – And so she saw all of life, even current events, as reincarnations of ancient and timeless stories.” (Jerry Griswold, ricordando P. L. Travers)

Ogni cosa, ogni elemento, ogni essere vivente, è interconnesso – così rivelava a Jane e Michael il Re degli Animali, che non è il Leone bensì l’inquietante, minaccioso e saggio Cobra Reale, o Amadriade secondo il bellissimo, ancestrale appellativo con cui viene nominato nel racconto.

Si parla di Travers, e si ritorna a Mary, e viceversa.

Ma se l’autrice ha ormai concluso il proprio cammino terreno, la sua creatura è invece pronta a planare nuovamente su di noi, proprio ora che nel mondo è tornato a soffiare uno strano e pesante ‘vento dall’Est’… e anche stavolta, crediamo, non sarà privo di conseguenze.

“Well, she’s [Mary Poppins] so ordinary. – But that’s what she is. And it is only through the ordinary that the extraordinary can make itself perceived.”

“There was something strange and extraordinary about her – something that was frightening and at the same time most exciting.”

“Don’t you know that everybody’s got a Fairyland of their own?” (M.P.)

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