26 Ottobre 2015 09:00

L’urlo di Murch: l’arte del sound designer

Newyorkese figlio d’arte (suo padre era il pittore W. T. Murch), Walter Murch è ormai considerato, a ragione, un’autentica leggenda del cinema.

Newyorkese figlio d’arte (suo padre era il pittore W. T. Murch), a partire dalla fine degli Sessanta si è dedicato totalmente alla carriera di tecnico del suono, portandola a livelli sempre più alti e innovativi, al punto che proprio riferendosi a lui e alla sua arte venne poi coniato il termine “sound designer” per indicare un’eccellenza che andava oltre la semplice professionalità.

Un legame a doppio filo col regista Francis Ford Coppola, da “La Conversazione”(1974) a “Segreti di famiglia” (2009) passando per “Il Padrino” e, soprattutto, la sfiancante ed epica avventura di “Apocalypse Now” che gli frutta nel 1980 il primo Oscar per il sonoro.

Importante anche la collaborazione con George Lucas, su “L’uomo che fuggì dal futuro” e “American Graffiti”, e quella con Anthony Minghella che grazie a “Il Paziente Inglese” gli consente di aggiudicarsi altre due statuette dell’Academy, montaggio e sonoro, entrambe nel 1997. Interessante, seppur non priva di conflittualità, anche la collaborazione con il “giovane leone” Brad Bird con cui ha lavorato nel recentissimo film Disney “Tomorrowland”.

Come regista ha firmato l’imperfetto quanto sottovalutato “Nel fantastico mondo di Oz” (1985), e un episodio della quarta serie di “Guerre Stellari: the Clone Wars“.

Oltre a curare personalmente la traduzione e la pubblicazione in America delle opere del nostro Curzio Malaparte, Murch ha scritto un libro fondamentale sul montaggio, “In the Blink of an Eye” (2001) e gli sono stati dedicati “The Conversations: Walter Murch and the Art of Editing Film” di Michael Ondaatje (2002) e “Behind the Seen” di Charles Koppelman (2004). Nel 2006, The Emily Carr Institute of Art and Design di Vancouver lo ha insignito di una laurea honoris causa.

Sentire parlare Murch, che fra l’altro pare dotato di una certa sorniona ironia che ti colpisce senza preavviso nel bel mezzo di un discorso serissimo, durante la sua conferenza alla VIEW Conference di Torino dal titolo “Dal Padrino alla particella di Dio e oltre”, è stato come fare un rinfrescante, e per certi versi nostalgico, viaggio nella storia del cinema: una storia di cui egli può ben dirsi parte integrante a tutti gli effetti.

P1110793
Il 4 luglio 1896, Maxim Gorky (1868–1936) assiste durante una fiera in Russia alla proiezione di alcuni film dei fratelli Lumière, e pochi giorni dopo firma questo articolo su un giornaletto locale. Sono le impressioni, atterrite e affascinate insieme, di un neofita del mezzo, di un colto analfabeta della visione filmica che di fronte all’irruzione delle “ombre” nella realtà immagina una deriva devastante negli usi e costumi della razza umana… non che abbia avuto del tutto torto, ma ciò che interessa soprattutto segnalare qui è quel “clic” che Gorky percepisce come il segnale che spalanca le porte del “regno delle ombre”: il suono del meccanismo che decreta l’inizio dello spettacolo.

P1110795

P1110786
“The Birth of a Nation” (Nascita di una nazione) di D. W. Griffith: cento anni fa questo film muto cambiava per sempre la natura del cinema, rendendola per la prima volta “narrativa” e “con-sequenziale”… nel 1965 un giovane Walter Murch si laureava in arte alla Johns Hopkins University e, non meno importante, sposava sua moglie.
P1110789
E’ uno studio di registrazione e montaggio, oppure il laboratorio di un ciabattino? Difficile dirlo: la componente “artigianale” del mestiere è rilevante, e talvolta si rischiano materialmente le falangi…
P1110788
… e per recuperare intere sequenze toccava letteralmente “frugare nella spazzatura” fra rotoli di pellicola scartata!
P1110792
L’equazione fondamentale dell’arte cinematografica.
P1110791
Omaggio, tra il serio e il faceto, al potere del montaggio da parte di un grande regista, premio Oscar per “Via col Vento” (1940). Ciò che infine vediamo sullo schermo è il risultato di una più o meno faticosa rielaborazione del materiale girato in origine, ovvero il frutto di scelte spesso sofferte e di intuizioni, talvolta geniali, che dipendono da infinite variabili.
P1110807
Prendiamo la scena del primo “Padrino” in cui Michael Corleone (Al Pacino) si reca nel ristorante italiano per uccidere Virgil Sollozzo (Al Lettieri): essa rappresenta il vero snodo cruciale della trama, il momento in cui l’erede di don Vito (Marlon Brando) rinuncia alla possibilità di redenzione per sè e la propria famiglia scegliendo di abbracciare la legge sanguinaria della faida mafiosa; è un momento cruciale, la cui tensione viene sottolineata dal fragore dei treni che corrono lungo le linee sopraelevate del Bronx…
0
… un clangore crescente che culmina con lo stridore che anticipa l’esecuzione di Sollozzo e del suo agente di custodia, mentre i vagoni che corrono via paiono una metafora della fuga di Michael, e dei Corleone, da ogni possibilità di salvezza.
tokyo-story-1953-001-train-passing-through-city-00n-f5u
Il passaggio del treno ha una funzione analoga anche nel bellissimo “Viaggio a Tokyo” (1953) di Yasujiro Ozu, in cui esso apre e chiude la storia come un simbolo della lontananza e della impossibilità di comunicare fra le diverse generazioni, una tradizionale ed essenzialmente rurale, l’altra “moderna” e urbanizzata: il suo fischio iniziale saluta la coppia di anziani che si appresta fiduciosa ad andare a trovare i figli nella metropoli…
tokyo story_5
… e sembra quasi irridere nello straziante finale il protagonista, tornato dal viaggio senza più la propria compagna né alcuna delle antiche certezze: un uomo solo, che quel treno non lo prenderà mai più, carico di rimpianti e nostalgia, destinato a una solitudine senza rimedio già metafora della società moderna…
Old_Michael
… analoga a quella dell’ormai anziano Michael Corleone (nel terzo capitolo della saga), che sconta le proprie colpe attraverso la dannazione di una morte non violenta ma squallida, abbandonato da tutti coloro che amava: le note carezzevoli dell’Intermezzo della Cavalleria rusticana di Mascagni accompagnano il suo declino. Evidente in questo caso l’analogia con il ballo finale del “Gattopardo” di Luchino Visconti: dietro il fasto e la gioia apparenti, si celano già la tragedia e il rimpianto.
big_1410779079_1390748714_image
L’urlo “imploso” di Michael dopo aver visto morire l’adorata figlia in un attentato destinato a lui (sempre “Il Padrino, parte terza”): Murch racconta di aver concepito l’idea di lasciare muta la prima parte della scena poiché esasperato dall’essersi dovuto “sorbire” più volte la registrazione delle urla di Al Pacino; sia come sia, l’effetto è di grande impatto emotivo, riuscendo ad esprimere lo squassante dolore che strazia il Padrino e che solo dopo qualche istante erompe in un urlo disperato che sgomenta gli astanti…
lisbonStory
“Lisbon Story” (1994) di Wim Wenders: rapporto inusuale fra un regista, ossessionato dal rendere l’assoluta verità delle immagini da lui riprese, e il suo tecnico del suono, che gli insegnerà come tale ambizione sia impossibile in quanto nel montaggio di un film tale (presunta) oggettività scomparirà comunque: in fondo, parafrasando il Monroe Stahr (Robert De Niro) de “Gli ultimi fuochi” (The Last Tycoon) di Elia Kazan, “stiamo solo facendo del cinema!”
P1110781
Giano, il dio bifronte, è uno dei simboli preferiti di Murch, ed è utile anche per comprendere il suo rapporto di amore/odio con i tanti registi con cui ha lavorato. A questo proposito ha proposto un’ipotesi suggestiva:
P1110800
“Se Mefistofele si presentasse ai registi per offrirgli un prodigioso macchinario capace di materializzare un film esattamente come concepito nelle loro menti, senza più bisogno di interazione con il resto del cast tecnico, chiedendo in cambio l’anima dell’autore, avremmo una categoria di registi che accetterebbe senza esitazioni mentre un’altra (minoritaria?) rifiuterebbe l’offerta.” – alla seconda categoria apparterebbe senza dubbio Francis Ford Coppola (nella foto Murch ai tempi di “Apocalypse Now”), o Anthony Minghella: autori aperti al dialogo e ai suggerimenti con i quali forse non a caso Murch ha ottenuto i maggiori riconoscimenti…
P1110803
… nella prima figurerebbero invece Alfred Hitchcok e Brad Bird (nella foto lo studio di lavoro che Murch ha utilizzato lavorando a “Tomorrowland”: si nota su tappeto di fronte ai monitor lo sgabello utilizzato per fare “step” durante il montaggio), ferocemente legati alle proprie idee e con i quali il tecnico deve sempre limitarsi ad “eseguire gli ordini” senza sconfinamenti.
P1110790
Il cinema d’altro canto è in gran parte un fenomeno commerciale, che ha bisogno di piacere al pubblico per rientrare delle spese: Murch lamenta quanto difficilmente oggi in un film si possano trattare argomenti filosofici e complessi in quanto prevalgono temi e idee di facile consumo, preconfezionate e ad alta digeribilità: pronti, insomma, per essere “rilasciate” con altrettanta facilità. Intendiamoci, ci vuole talento anche nell’anticipare o cavalcare i gusto dell’audience, e in questo si distingue ad esempio Steven Spielberg, autore molto “caro” ai produttori pur se non privo di una sua etica e originalità, ma anche George Lucas, che nel ’72 contro il parere di molti, fra cui lo stesso Murch, intuì che l’onda lunga del rock’n’roll non era esaurita ma, anzi, si stava preparando una nuova mareggiata.
P1110801
Le cose si evolvono molto in fretta, ormai. Dai ritagli di pellicola si è giunti a supporti sempre più “virtuali” e sofisticati…
P1110799
… e si pone il problema di come conservare il patrimonio inestimabile costituito dalle “antiche” pizze di pellicola: dove conservarle? Come impedire che venga cancellato un pezzo fondamentale della storia del cinema? Della storia di un mestiere? Della nostra stessa storia? Il futuro è una sfida fra memoria e innovazione, con gli occhi e le orecchie puntati verso le galassie, ove da sempre risuona la voce delle stelle, capace di vivere in eterno viaggiando.. sulle corde di Aries.
P1110808
Ma a cogliere, e ad interpretare, quelle voci saranno sempre un orecchio ed una mente umani, elaborandole e, dunque, “montandole” secondo la storia che intenderemo narrare fino alla fine dei tempi, quando forse lo spettacolo finalmente si concluderà… con un “clic”.

Luce in sala. Thank you, Mr. Murch.