10 Gennaio 2015 13:27

Tintin si spiega “di persona” e cita Wolinski

Lire1978 - intervista TintinIl 10 gennaio ricorre l’anniversario della nascita di Tintin (classe 1929), uno dei fumetti simbolo della francofonia. Per l’occasione vi proponiamo una traduzione veloce (non prendetela come oro colato) di una curiosa intervista a Tintin fatta nel dicembre del 1978 (per i 50 anni del personaggio creato da Hergé) da Pierre Boncenne. La pubblicò la rivista letteraria Lire (numero 40, dicembre 1978) ed è stata più volte ripresa. Hergé qui, in qualche modo, fa il ventriloquo: parla, cioè, come fosse Tintin e spiega parecchie cose, anche piuttosto serie.

Tintin, lei sta per compiere 50 anni tra qualche settimana. Le sue avventure sono universalmente note, ma da dove viene il suo nome “Tintin”?

Ah! Non ne so nulla. Quando si nasce sono i genitori che vi danno un nome. Per me è stato lo stesso, quindi è Hergé che mi ha chiamato Tintin. Dove l’ha trovato? Mah, pensate che non se lo ricorda nemmeno lui. E’ stato davvero molto tempo fa… per lui era solo un gioco e ovviamente non poteva nemmeno immaginare che la faccenda sarebbe durata cinquant’anni. Avrà solo scelto qualcosa che gli suonasse bene al momento…

Dopo molte ricerche, studiosi come Pierre Fresnault-Deruelle sono giunti a questa conclusione: il suo nome, Tintin, e quello di Milou sono semplicemente sonorità.

Sì, Tintin e Milou sono nati lo stesso giorno. Hergé mi ha raccontato che siamo stati creati in mneo di una giornata perché improvvisamente il direttore del giornale per cui lavorava aveva deciso di fare un supplemento per giovani lettori. L’incarico venne affidato a Hergé e il poveretto ha dovuto creare qualcosa di getto. Io sono nato così: per caso. E per quanto riguarla il mio nome, Tintin, eanche per quello di Milou, è stata la stessa cosa: la casualità della sonorità.

E il nome del capitano Haddock, da dove arriva?

Il capitano Haddock è nato molto dopo me. Hergé ha scelto il nome, consigliato da uno dei suoi amici, sia per la sonorità, sia per il significato. Il capitano Haddock è un marinaio. Ora, si sa che lo haddock è un tipo di pesce affumicato e Hergé ha trovato dle tutto naturale dare questo nome a un marinaio. Ma c’è di più: in un libro apparso qualche anno fa in Gran Bretagna, si parla di una piccola località inglese dove c’è un monumento alla memoria di una tal famiglia Haddock che in un secolo ha avuto sette capitani e un ammiraglio.

E il caro professor Tournesol (Girasole) a cosa deve il proprio nome?

Alla fantasia. Il professor Girasole è un personaggio poetico e penso che Hergé abbia voluto dargli un nome leggero, quello di un fiore che si gira seguendo il sole…

Lei mi ha detto che non si ricorda del giorno della sua nascita…

… Ah, questo non gliel’ho detto io e, del resto, chi si ricorda del giorno della propria nascita? Pare ci siano dei modi per ricordarsene… ma, insomma…

Sì, mi sono sbagliato! Ovviamente volevo chiedere se lei ha sentito da suo padre Hergé se abbia dei ricordi della sua nascita…

No, praticamente nulla. Per lui era davvero una cosa senza importanza, non era un avvenimento capitale, e non pensava che sarei ancora esistito sei mesi dopo. Hergé voleva dedicarsi al giornalismo e alla fotografia ed è per questo che ha fatto di me un reporter. All’epoca l’archetipo del giornalista era qualcuno che si imbarcava su una nave diretta in Asia, il giornalista era un grande viaggiatore, era Albert Londres o Joseph Kessel e mio papà ha voluto ch’io fossi un po’ un loro sosia immaginario. Ma per lui la mia esistenza non aveva più importanza di un sogno e mai, all’inizio, ha pensato che sarebbe vissuto con le mie avventure.  Sono nato come uno scherzo fra amici che si dimentica la mattina dopo. E solo dopo quattro o cinque anni che mio papà mi ha preso veramente sul serio, se posso dirlo.

E quando le sue avventure hanno cominciato ad avere davvero molto successo?

Ancora più tardi, dopo l’ultima guerra, quando le mie avventure sonos tate stampate a colori e la Francia ha cominciato a interessarsi a me. Fino a quel momento le mie avventure erano solo in bianco e nero e quasi non erano diffuse fuori del Belgio. A partire dal 1946-1949 le mie avventure hanno cominciato ad avere successo, in particolare grazie alla creazione del settimanale Tintin.

Oggi in quante lingue sono tradotte le sue avventure e in quanti milioni di copie sono diffuse?

Sono conosciuto in 17 lingue diverse [ovviamente oggi, 2015, sono di più – NdT], l’ultima è il coreano, è delle mie avventure sono state vendute oltre 55 milioni di copie. Forse 60 milioni… i numeri cambiano così rapidamente! [Oggi, 2015, sono più di 200 milioni – NdT]

E quale delle sue avventure è piaciuta di più?

Tenendo conto del passare del tempo, poiché le prime hanno un vantaggio rispetto alle altre, è praticamente la stessa cosa e la stessa tiratura per tutti gli albi. Solo On a marché sur la Lune pare staccarsi un po’, ma non di molto. Senza dubbio perché è più emozionante di un’avventura che si svolge sulla terra.

Cosa pensa suo padre Hergé di tutti i saggi che ci sono su Tintin? Ne sorride?

Ne è sempre stupito e la sua presenza qui [Tintin si rivolge al giornalista – NdT] lo stupisce altrettanto. Lo stupisce come ci si possa interessare a ciò. Per mio papà le mie avventure, se pur rappresentano un grosso lavoro, restano un divertimento ed è vero, come lei ha detto, che gli studi, i saggi a me consacrati non solo lo fanno sorridere, ma soprattutto lo stupiscono molto. Allo stesso modo mio padre continua a essere stupito dalla corrispondena che riceve dai quattro angoli del mondo, da persone di ogni classe sociale e ogni età. Là c’è una scatola che arriva dal Bangladesh. Un ragazzino si è preso la pena di inciderla e scolpirla e poi mandarla a mio papà in segno di amicizia. Mio padre, nato a Bruxelles, cos’ha in comune con quel ragazzino nato nel Bangladesh? E, per usare parole grosse, quale contesto culturale comune c’è tra le mie avventure e l’universo di quel ragazzino del Bangladesh? Mistero sorprendente…

Scrivono a lei, Tintin, o a suo padre Hergé?

Ecco qualcosa che è cambiato molto. All’inizio scrivevano più che altro a me, ora scrivono di più a mio padre. Quando sono nato, cinquant’anni fa, l’informazione circolava meno di oggi: c’erano poche radio, niente televisione, i giornali erano meno diffusi e non si vedeva la persona che stava dietro di me. Ora anche i più giovani sanno che dietro al mio personaggio c’è un uomo a cui possono scrivere e porre delle domande. E’ una grossa differenza. Ma certe cose non sono cambiate: prima ricevevo molte lettere sulla cui busta non c’era scritto altro che “Tintin, Bruxelles” – ora è “Hergé, Bruxelles”. E si fanno semore domande precise del tipo “Perché i Dupontd hanno i baffi così o cosà?”. Mio papà legge tutte queste lettere e cerca sempre di rispondere.

Tiene anche conto degli errori che possono segnalargli?

Ah sì! All’inizio mio papà si lasciava andare a piccole trovate di fantasia, facendo errori di coloritura o di disegno, o errori come questo nella mia avventura Tintin in Tibet, quando mio padre ha deciso di farmi partire per il Tibet e ha disegnato le prime tavole facendomi indossare delle scarpe chiodate. Immediatamente un bambino ha scritto a Hergé per dirgli “Guardi che si è sbagliato, non si fanno più scarpe chiodate del genere, ora si usano scarpe con la suola di rayon e, inoltre, se Tintin perde un chiodo, che fa?  Non può mica portarsi appresso un sacco di chiodi”. Così mio papà mi ha dato delle scarpe nuove, senza chiodi…

La sua prima avventura si è svolta nel Paese dei Soviet, come mai?

Non si scordi che io sono un reporter e, all’epoca, proprio come oggi la maggior parte dei giornalisti sogna di andare in Cina, i giornalisti volevano partire per la Russia, perché là succedeva qualcosa. C’era stata la Rivoluizone nel 1917, il massacro della fmaiglia imperiale, la guerra tra i Russi Bianchi e i Bolscevichi, la fame ecc. La Russia era davvero l’attualità e lasciava spazio all’immaginazione. Sicome mio papà lavorava in un gionale cattolico, pesantemente contrario ai Bolscevichi, era del tutto normale che mi mandasse là a informarmi. Mio padre si servì di un libro, Moscou sans voile, nel quale un console belga relazionava su ciò che aveva visto. Si dice che fosse un libro di propaganda. Può darsi. Ma era anche un libro di reportage, di cose viste che non si possono ignorare. In tutte le rivoluzioni, per quanto possano essere giustificate, ci sono aspetti spaventosi e, visto l’ambiente del giornale nel quale lavorava mio padre, era normale che io, Tintin, “raddrizzatore di torti”, raccontassi soprattutto quegli aspetti. Allora, d’accordo, si trattava di anticomunismo primitivo. Ma era assolutamente logico che io andassi in Russia.

E Hergé si pente di questo anticomunismo primitivo?

No, anche se non gli appartiene più. E’ così, bisogna accettare ciò che è stato come si accetta un peccato di gioventù.

Tuttavia, per molto tempo Tintin au pays des Soviets non è stato ripubblicato, cosa che poteva lasciar supporre un cerso rimorso da parte di Hergé.

Ebbene! Le dico il solo vero rimorso che Hergé aveva, era dovuto a ragioni estetiche. Non vorrei far le pulci a mio padre, ma Tintin au pays des Soviets erano i primi disegni che aveva fatto ed erano pessimi disegni! E’ soprattutto per questo che quell’albo non è stato ristampato. Quanto al resto, era decisamente difficile pubblicare quell’albo dopo la guerra senza che apparisse come una presa di posizione, tanto più che i Russi erano diventati nostri alleati. Poco a poco il tempo è passato e mio padre come il suo editore hanno pensato che era possibile farne una riedizione “storica”, sotto forma di albo da archivio. Quest’albo c’è adesso, mostra che Tintin au pays des Soviets esiste et voilà: sparate pure sul pianista, se volete…

Se ci si interroga sulla sua prima avventura, ci si interroga ancora di più sulla sua età. Quanti anni ha, in realtà, Tintin?

Questione difficile. Quando mio papà mi ha creato avevo quattordici anni, perché mio padre era stato scout e quattordici anni era l’età in cui si era boy-scout. Oggi sono passati cinquant’anni e direi che neo ho diciassette. Piuttosto raro, non trova? Alla soglia dei cinquanta non sono invecchiato che di tre anni!

Lei è più un boy-scout o un reporter?

Sono un giornalista con lo spirito del boy-scout. Avere lo spirito del boy-scout significa avere una certa curiosità per la vita, la natura, gli animali e gli esseri umani; è anche una certa capacità di sbrogliarsela; ed è infine anche una certa fedeltà nell’amicizia. Magari tutto ciò suona un po’ ingenuo, ma è così e io non me ne pento affatto.

Di cosa vive? Tintin non ha mai problemi di soldi e per giunta, anche se lei è reporter, noi non la vediamo mai scrivere un articolo…

Di che vivo? Dell’aria dei tempi! La Provvidenza e mio padre vegliano su di me, per cui non ho problemi di soldi, cosa che fa molto piacere. Si occupa di tutto mio papà, paga le fatture, sono fortunato (e anche lui in fondo, visto che sono un ragazzo ragionevole). Quanto al fatto che non mi si vede scrivere articoli, o dormire o mangiare, è semplicemente perché in un’avventura non si deve rallentare l’azione, bisogna mostra i momenti forti.

Lei ha un padre, ma non ha famiglia?

Vero. Non oso riprendere le parole di Jules Renard che diceva: “Non tutti possono essere orfani.” Io ho questa chance. Insomma, grosso modo: ho solo un padre. Sono libero di andare dove voglio (certo, d’accordo con mio padre, ma lui è sempre d’accordo con me) e non dipendo da alcuna autorità, cosa per la quale sono differente dagli altri adolescenti.

Lei è stato in tutto il mondo e persino sulla Luna. Ma mai al centro della Terra o semplicemente in Francia…

Per me conta l’esotismo.  E la Francia non è esotismo, anche se è vero che se ne può trovare dovunque, per esempio in certi quartieri di Bruxelles. Ma, in generale, quello che importa per me e mio padre è il viaggio: sempre quello spirito di reportage d’un Joseph Kessel o d’un Albert Londres che partono per l’altra parte del mondo per vedere cosa vi succede. E per quel che riguarda la Luna, direi che è la stessa cosa: quello che contava era il viaggio in sé e non l’arrivo. Hergé, che ama la filosofia zen, s’interessa più al viaggio che allo scopo del viaggio e non ha per niente lo spirito della fantascienza. Mandarmi sulla Luna non era fantascienza (tanto più che ora ci siamo stati sulla Luna). E per Hergé, mandarmi al centro della Terra avrebbe un carattere più scientifico che avventuroso, cosa che lo interessa meno.

Mi è parso che lei corresse di più nelle prime avventure e che ora invece rifletta di più.

E’ una faccenda che mi ha effettivamente inquietato. Credo che l’età di mio papà (settant’anni) c’entri qualcosa. Io sono il riflesso di mio padre. Ora, senza saperlo ne’ volerlo, mio padre ha impressione che disegnare qualcuno che corre lo affatichi di più. Perché? Senza dubbio perché mio papà, a settant’anni, pensa meno a correre e i suoi attuali interessi sono più la riflessione che lo sport.

Lei mi ha detto di essere invecchiato di soli tre anni negli ultimi cinquanta, cosa di cui mi felicito con lei. Ma il suo carattere si è evoluto?

Devo essermi evoluto quanto si è evoluto mio papà nel corso di questi cinquanta anni. Mi sono evoluto anzitutto nel senso del disegno: c’è stata effettivamente una maturazione dal punto di vista grafico. D’altronde, come le ho ricordato, all’inizio della mia esistenza mio papà non pensava per nulla che questo sarebbe diventato il so mestiere. Il giornale per cui lavorava usciva il mercoledì pomeriggio alle cinque – come la marchesa – e a volte mio padre arrivava al mercoledì mattina senza aver fatto nulla: saltava sulla sua penna e i suoi disegni partivano immediatamente per l’incisione e la tipografia. Non rifletteva minimamente sulle mie avventure, era solo un gioco. Ed è stato così fino a quando mio padre ha annunciato che io, Tintin, sarei andato in Cina. Allora ha ricevuto la lettera di un abate, cappellano degli studenti cinesi dell’università cattolica di Louvain. Quella lettera in sostanza diceva “Lei sta per mandare Tintin in Cina. Faccia attenzione, perché tutto il lavoro che facciamo qui per avvicinale Cina e Belgio, per arrivare a una maggiore comprensione, rischia di essere annullato se lei comincia a fare le caricature dei cinesi. Probabilmente lei pensa di metter loro delle trecce, mentre, da tempo ormai, non le portano più le trecce, che erano simbolo di schiavitù”. Questa lettera colpì l’attenzione di Hergé. Incontrò quell’abate che lo mise in contatto con uno studente di cui si occupava. Quel ragazzo si chiamava Tchang Tchong-jen e studiava a Bruxelles all’Accademia di scultura e pittura. E’ lui che ha aperto gli occhi a mio papà sulla cultura cinese e, dopo quel giorno fondamentale, mio padre ha messo molta più cura in quel che faceva. Ha considerato di avere una sorta di responsabilità, che voleva sempre raccontare delle storie divertenti, ma che non doveva più raccontare qualsivoglia cosa alla come viene viene. E’ Le Lotus bleu la grande svolta nelle mie avventure.

Lei è un eroe e come tale i bambini che la leggono…

Mi permetto di interromperla perché credo che, visti i miei cinquanta anni, la maggior parte dei miei lettori siano… adulti. Quelli che mi amavano quando avevano quindici anni non mi hanno lasciato e, anche se sono diventati adulti, continuano ad amarmi. Ma è vero che ho anche molti lettori giovanissimi nelle nuove generazioni – le mie avventure hanno sempre più successo, a giudicare dalle tirature degli albi. Mio padre arrossirebbe a sentirmi dire cose del genere!

Quanto la amano in confronto ai suoi amici? Lei è un eroe piuttosto neutro mentre il capitano Haddock è forse più simpatico perché ha dei difetti.

E’ una domanda molto difficile. E’ vero, io sono neutro dal punto di vista grafico, mentre tutti i miei compagni, il capitano Haddock, Girasole, Castafiore ecc. sono delle forti caricature. Il mio viso è schematico, uno vero e proprio schema col quale chiunque potrebbe identificarsi. Forse piaccio meno dei miei comapgni, ma il fatto che il mio visto sia neutro è una delle ragioni dle mio successok perché molti giovani lettori possono identificarsi in questo volto che è così malleabile. Il mio visto rotondo con due occhi rotondi è quasi una maschera, non una con cui nascondersi ma al contrario una con cui identificarsi. Quando si preparava un film di Tintin si cercavano degli attori che potessero incarnare il personaggio. S’erano messi degli annunci sulla stampa e si rcevette, all’epoca, la lettera di un bambino nero che, con tanto di foto, diceva “Voglio fare Tintin”. Nemmeno per un secondo ha pensato al colore della sua pelle; si era appropriato del mio volto senza alcuna difficoltà.

Un sociologo, Jean-Bruno Renard, ha giustamente fatto notare che le sue avventure sono graficamente ibride: un disegno molto caricaturale per i volti e, al contrario, una precisione maniacale per il mondo che li circonda. E’ una delle chiavi del suo successo?

Forse.  Mio papà pensa che la precisione dell’ambientazione dia maggiore credibilità ai personaggi e che se le cose che usano e i paesi che visitano sono più vicini alla realtà, questo dia loro maggior peso e spessore. Aggiungerei una cosa importante: perché mio padre creda alle mie storie e alle mie avventure, deve circondarmi del massimo della credibilità. Mio papà si è servito di me che scopro il mondo per scoprirlo lui stesso.

Si è molto parlato di una delle sue avventure che effettivamente è una non-avventura: Les bijoux de la Castafiore.Questa non-avventura corrisponde a un bisogno di riposo suo o di suo padre?

Soprattutto è una esigenza di riflessione, un bisogno di toranre su se stessi. Il bisogno di mettersi in pantofole e dirsi “Ora viaggio attonro alla mia camera – anche qui può succedere qualcosa come a Timbuctu o a Vladivostok.” Les bijoux de la Castafiore è sia una anti-avventura sia un’avventura interiore nella quale l’esotismo viene a domicilio sotto forma di zingari.

Ed è stata un’aventura difficile da portare a termine?

Ah sì! Les bjjoux de la Castafiore ha cominciato ad apparire nel settimanale Tintin una sola pagina a settimana. mantenere l’attenzione per 62 settimane, cioè più di un anno, con una storia in cui non succede nulla è stato molto eccitante, ma anche un duro esercizio.

Alcune sue avventure sono state più difficili di altre e ce ne sono alcune che hanno contato più di altre?

Tutte le mie avventure, a parte le prime in cui giocava la meraviglia dell’incoscienza, sono state difficili da portare a compimento, tutte. Ma ce ne sono alcune che sono state più importanti di altre per mio padre e sopratutte Tintin in Tibet. Come le ho raccontato, mio papà aveva icnontrato un giovane cinese che aveva messo in scena ne Le Lotus bleu col nome di Tchang. Il vero Tchang, un ragazzo molto fine e colto, è tornato a Shangai e ha scritto qualche lettera a mio padre. La guerra è arrivata, poi la rivoluzione cinese con Mao e Tchang non ha più dato notizie di sé. Ma mio papà pensava spesso a lui perché Tchang Tchong-jen gli aveva aperto el porte di quel mondo orientale del quale la filosofia e la lingua lo attiravano molto. Allora mi ha mandato in Tibet e quella avventura ha corrisposto a un periodo molto difficile della sua vita.Tintin au Tibet è stata allo stesso tempo un prova per mio padre – in cui si trova l’importanza del tutto inconscia del colore bianco – e un inno all’amicizia perché, in quell’albo io, nonostante tutti mi dicessero che il mio amico era morto in un incidente aereo, sono partito lo stesso e ho finito per ritrovarlo.

Ma nella realtà, Hergé ha ritrovato Tchang Tchong-jen ?

Ebbene, sì, solo da tre o quattro anni. E’ una storia straordinaria se si pensa che ci sono 800 milioni di Cinesi [nel 1978 – NdT]. Senta qui, un’amica di Hergé è stata in un ristorante cinese a Bruxelles e il fratello dle proprietario era un amico intimo di Tchang, che oggi è direttore di un’accademia di scultura. Dozzine di anni dopo Tintin au Tibet Hergé a ritrovato notizie del suo amico Tchang, è prodigioso.  [Ma si potranno incontrare solo il 18 marzo 1981 – NdT]

Il suo grande amico, Tintin, è il capitano Haddock. Ma il capitano non è piuttosto una specie di zio per Tintin ?

Lei ha toccato il tasto giusto. Effettivmaente il capitano Haddock è per me più di un amico, piuttosto un parente, uno zio. Il capitano mi diverte perché è truculento, spontaneo, collerico, perché ha dei difetti, mentre io non ne ho, purtroppo. Va notato tuttavia che quando Hergé ha creato Haddock il capitano era un povero relitto, un alcolizzato triste al punto d’essere sgradevole. Poco a poco, grazie alla mia influenza, spero, il suo carattere si è modificato e ha acquisito alcune caratteristiche che sono quelle degli amici di Hergé, in particolare di Edgard Jacobs (l’autore de La marque jaune).

Ma il capitano non le ha trasmesso qualcuno dei suoi difetti?

Pare di no.

Parliamo dell’assenza quasi totale di donne nelle sue avventure. Ci sono poche donne attorno a lei e le sole che si vedono sono terribili caricature.

Ma è proprio perché non vuole fare delle caricature di donne chemio padre ne ha messe così poche nelle mie avventure. Riprendiamo dall’inizio. Quando Hergé mi ha creato, il mondo di Tintin era quello dei boys-scout. E all’epoca i boys-scout e le girls-scout praticamente non si conoscevano: da una parte stavano i ragazzi e dall’altra le ragazze. Quindi all’inizio ragazze e donne erano assenti nel mio universo, nell’universo di Tintin. Un poco alla volta qualche donna è entrata nelle mie avventure, ma quelle donne non potevano essere carine e non potevano essere che delle caricature dato che tutti i personaggi che mi circondano, da Haddock a Girasole, sono tutti caricature. E tutti brutti…

Ma sono simpatici. Cosa impedisce a suo padre di creare delle donne caricature ma simpatiche?

La Castafiore non è antipatica…

Ah! Lei trova? E Peggy, la compagna del generale Alcazar che incontriamo nell’ultimo albo Tintin chez les Picaros, ammeterà che è spaventosamente fastidiosa…

Sì, è spaventosa. Hergé l’ha vista in televisione, era un’americana, segretaria di una associazione innominabile che non nominerò. Si è divertito, nelle mie avventure, a farla sposare a un dittatore, il generale Alcazar, per “dittatorizzare” il dittatore.

Per cui Hergé non riesce davvero a fare la caricatura di una donna simpatica.

No, non ce la fa. Se disegnasse una bella donna introdurrebbe allora una dimensione amorosa nelle mie storie, cosa che non è nelle sue intenzioni.

Mi scusi, mi ha detto di avere diciassette anni. A diciassette anni si può essere innamorati?

Attenzione, ho l’aspetto di un diciassettenne, ma moralmente sono ancora un quattordicenne! Mio padre, lo ammetto, non ha ancora capito che sono cresciuto!

Allora non vedremo mai attorno a Tintin delle donne con dei difetti simpatici?

Non lo so e non posso impegnarmi a nome di mio padre. Ma da parte sua non si tratta di misoginia. Ritiene che la presenza di donne nelle mie avventure potrebbe creare delle ambiguità che preferisce evitare…

Tintin, le vorrei chiedere cosa pensa, in fondo, degli studiosi. Ce n’è qualcuno nelle sue avventure, ma, come il caro Girasole, sono tutti lunatici, o pazzi , o pericolosi. Lei ha paura della scienza?

Amo la scienza e il fumetto mi è molto utile da questo punto di vista, perché qui qualunque invenzione trova la sua giustificazione. Si può inventare tutto quel che si vuole. E non sempre va male. La prova: sono arrivato coi miei amici sulla Luna molto più velocemente di un razzo Apollo della NASA perché Girasole è riuscito a costruire un razzo ad accelerazione costante. Ma è vero che in fondo ho una specie di sospetto nei confronti non della scienza in sé quanto dell’uso di questa scienza. Sono inquieto a riguardo di cosa si può fare con una invenzione, una bomba o una medicina…

Attorno a lei i poliziotti, tra cui i più celebri sono Dupont et Dupond, sono dei tonti o dei cattivi, o a volte tutt’e due le cose.

E’ vero che ci sono molti poliziotti bizzarri attorno a me. Forse è una sorta di sfiducia nei confronti del potere. Uno dei miei commentatori ha detto che sono un anarchico rosa. Vero: un boy-scout face nei confronti della polizia o della politica è per forza un po’ contestatario.

A parte i Cinesi, forse, gli stranieri che lei incontra sono presentati tutti un po’ come dei selvaggi.

No. Lei esagera e la sua nota forse è legata solo agli indiani. Gli stranieri fanno parte dell’ambiente in cui si svolgono le mie avventure esotiche, niente più. Ma io non posso essere ne’ uno psicologo ne’ un militante fraternizzante, anche se spesso ho preso le loro parti.

E se parliamo di quei personaggi importanti che sono gli animali? Mi pare che suo padre ami molto i gatti. E il suo amico è un cane, Milou…

E’ molto più facile andrae in giro con un cane che con un gatto. Quando mio padre mi ha fatto nascere ha quindi pensato a un cane, perché era più facile viaggiarci insieme e forse più facile farlo parlare. Resta il fatto che Milou parlava molto di più all’epoca che adesso, perché oggi è stato rimpiazzato dagli improperi del capitano Haddock. Milou era una sorta di Sancho Panza che diceva “Stiamocene tranquilli in pantofole”. Il capitano Haddock ha rilevato questo ruolo per cui Milou è meno importante che non all’inizio.

Gli altri animali che lei incontra sono spesso aggressivi. Non c’è fraternità con loro.

Curioso! C’è del vero in quel che dice… ma non riflette il pensiero di mio papà. Raramente si vede un’avventura con un gattone o un animale domestico. L’avventura arriva con un animale che aggredisce: la tigre, la pantera, la mosca, il serpente. Mio padre ha una gran stima per gli animali, mentre io ho avventure con gli animali. C’è una dualità, non si deve confondere la vita privata di mio papà e quello che mi fa fare. E poi dimenticavo di dirle anche che è pieno di contraddizioni. Ma mi pare l’abbia già notato.

Suo padre adora il mondo del linguaggio, i giochi di parole?

Sì, Hergé ama i calembours. Ogni mattina, arrivando in ufficio, per mio papà è un rito dire alla segretaria “Comment va tuyau de poêle?“, che risponde invariabilmente: “Et toiture de zinc’“. Ma mio padre non utilizza quasi mai i calembours nelle mie avventure, perché lo trattiene ogni volta il pensiero dei problemi che darebbero nelle traduzioni. Allora si vendica con gli insulti sonori e senza significato del capitano Haddock. [Non ho tradotto il gioco di parole, a ulteriore dimostrazione di quanto afferma Hergé – NdT]

Lei, Tintin, contrariamente ai suoi altri personaggi, ha un linguaggio corretto. Girasole ha un problema fondamentale, essendo mezzo sordo, Haddock inventa insulti inauditi, la Castafiore deforma sempre le parole e in particolare il nome del capitano e i Dupondt hanno un difetto di pronuncia.

Sì, io mi esprimo correttamente e non cerco di inventare parole. Ma, in fondo, il sono il conduttore del gioco, sono lì per fare il punto, per indicare il cammino. Il mio linguaggio deve essere chiaro per far chiaramente comprendere ai miei lettori ciò che succede. Sono il filo conduttore.

Insomma, lei rappresenta l’ordine. Lei sta dalla parte dell’ordine, Tintin.

Sì, non amo il disordine, anche se so che è utopico e che ci vuole del disordine nella vita.

Cosa pensa dell’alcolismo del capitano Haddock?

Tanto per cominciare, era solo un alcolismo di carta. E poi, grazie alla mia influenza, avrà visto, si è calmato, ha decisamente rallentato: non sono più 100 litri ogni 100 chilometri. Ora l’alcolismo di Haddock lo giudico con un sorriso indulgente.

Ma è comunque un disturbo.

Non amo l’ubriachezza e all’inizio ho fatto la morale al capitano Haddock perché esagerava. Ma ora, se gli fa piacere ber eun bicchiere o due, perché no? All’inizio aveva la sbornia triste, mentre adesso è più collerico. Se gli capita di bere troppo, la sua sbornia prende una brutta piega: ogni volta viene punita e gli arrivano dei guai.

Lei è un credente, Tintin?

No, mio papà non mi ha cresciuto in una religione specifica.

La religione cattolica è evocata nelle sue avventure, ma non è mai presa in giro.

Io non prendo in giro la religione cattolica e nemmeno le altre. Mio padre s’informa sempre molto per farmi correre per il mondo e, per esempio, si è molto documentato sulla religione degli Inca per fare Le temple du Soleil. Ma non prende in giro: si diverte. Una volta gli hanno rimproverato di prendere in giro la religione musulmana per via dell’episodio in cui i due Dupontd vedono nel deserto un tipo in ginocchio e [pensando fosse un miraggio, per dimostrare che era tale – NdT] gli danno un gran calcione [rimediando quindi una gran figuraccia – NdT]. Ma questa era la presa in giro dei Dupontd, e non della religione musulmana! Era una cosa completamente diversa: era un attentato all’integrità fisica, non alla religione.

Quali sono i suoi rapporti con suo padre e viceversa?

Geneticamente dipendo da mio padre, dai suoi sogni come dalla sua situazione. Mio papà avrebbe voluto essere reporter e io sono reporter. Avrebbe voluto essere un eroe e io lo sono (ma lui no, com’è evidente).

Ha mai avuto problemi con suo padre?

Oh sì! Ne ho avuti. Per esempio,  tra una storia e l’altra Hergé non vuole più occuparsi di me. Mi vuole abbandonare, ne ha abbastanza e mi dice “Tintin, basta, lasciami in pace”. E poi, ogni volta torna a prenderlo la voglia di raccontare una nuova avventura e ripensa a me.  Spero che duri! [O “Finché dura!” NdT]

Le piacerebbe, Tintin, incontrare personaggi di altri fumetti?

Sono mondi diversi e non credo di volerli conoscere. Siamo fatti per non incontraci, siamo delle parallele che non si incrociano mai.

Suo padre legge molti fumetti?

Non legge molti fumetti, per lo meno non quelli che sono più vicini alle mie avventure, perché è una specie di spugna che assorbe le cose e poi le tira fuori senza sapere di averle viste altrove. Ma so che Hergé ha grande ammirazione per Claire Bretécher, Wolinski, Fred e Reiser.

Lei appartiene completamente a suo padre… In altri termini, lei potrebbe sopravvivergli?

No, su questo sono esplicito. Se pure Hergé ha dei collaboratori che lavorano per lui, collaboratori di grande talento (e spesso ne hanno più di lui in certi campi), io credo che malgrado tutto, l’opera di mio padre ha un carattere profondamente personale. Tintin non può sopravvivere a Hergé.

Modello per statua Tintin
Hergé, 1976 – afnews.info/wordpress/2013/11/11/herge-e-tintin-in-video-statua-allasta/