13 Giugno 2011 18:11

Animazione e contenuti: franco-belgi ad Annecy

Dal nostro inviato ad Annecy: parliamo ancora ‘work-in-progress’! Mercoledì 8 ad Annecy era presente il noto scrittore francese Daniel Pennac per raccontare con umorismo e un pò di emozione la sua prima esperienza di sceneggiatore per il cinema di animazione grazie alla trasposizione della deliziosa serie ‘Ernest e Céléstine’ dell’illustratrice per l’infanzia Gabrielle Vincent (pseudonimo di Monique Martin, 1928-2000 – in Italia pubblicata da Nord-Sud), storia della convivenza, osteggiata dalle rispettive comunità, tra un burbero orso rassegnato alla carriera di notaio e una vispa topolina che si ribella al proprio destino di ‘dentista’ (ovvero di raccoglitrice di denti ‘usati’). 

img dal web

Le difficoltà di dover realizzare un testo che rispetti i tempi dell’azione scenica, traducibile in immagini che esprimano pensieri ed emozioni, hanno spinto i registi belgi Sthéphane Aubier e Vincent Patar (già autori della serie di successo in stop motion ‘Panique au Village’ da cui anche uno sfortunato lungometraggio) e il loro ‘chief-animator’ Benjamin Renner ad un costante dialogo con la sceneggiatura anche perchè talune espressioni decise da Pennac non erano presenti nell’opera della Vincent (p.es: Ernest arrabbiato) e per trovarle si è reso necessario un attento lavoro di sperimentazione sui models di base; analogo discorso per le splendide scenografie di Marisa Musy e Patrice Szewczyk i quali partendo dai disegni originali hanno ricreato due città speculari (quella degli orsi, in superficie, e dei topi, sotterranea), due mondi adiacenti ma separati dalle barriere del pregiudizio. Nella serie originale gli orsi rappresentavano ‘gli adulti’ e i topolini ‘i bambini’: Pennac ha scelto di mostrare due società strutturate, con grandi e piccini di entrambe le specie, in modo da rendere più complesso il rapporto tra i due protagonisti e più evidente il conflitto sociale e culturale in cui sono immersi (“orsi e topi non possono vivere insieme: è così e basta!” – bercia lo stesso Ernest rifugiandosi nella ‘vox populi’ di fronte all’insistenza di Céléstine) e il risultato, come ha suggerito il produttore Didier Brunner (vero promotore del progetto, ha voluto formato un gruppo di sodali di fiducia in funzione di esso), assomiglia al film Ghibli ‘My neighbours, the Yamadas’ di Isao Takahata almeno per quanto riguarda la voluta stilizzazione dello stile, la grazia dei toni acquerellati e soprattutto per la capacità di trattare con legggerezza e poesia temi importanti quali la comprensione e il rispetto tra culture diverse. Il film dovrebbe essere uscire nelle sale per la Pasqua del 2013, con la colonna sonora composta (forse) da Goran Bregovic. A queste tematiche può essere ricondotto anche il progetto presentato giovedi 9 da Laurent Boileau, ovvero la trasposizione su grande schermo della graphic novel autobiografica ‘Couleur de peau: miel’ (ed. Quadrants) del fumettista belga di origini asiatiche Jung (Jun Jung Sik) che ne è anche il direttore artistico e co-sceneggiatore; un’operazione coraggiosa che mescolando live-action (il protagonista è lo stesso Jung) e inserti animati riprende abbastanza fedelmente la storia narrata nel fumetto (pur concedendosi inevitabili libertà) ovvero le vicissitudini di Jung, orfano della guerra coreana adottato insieme ad altri come lui da una famiglia belga, tra gioie e dolori ma soprattutto la progressiva presa di coscienza della propria condizione di ‘sradicato’ fino alla sofferta decisione di tornare nella sua terra natale (la Corea del Sud) per fare i conti col passato.

img dal web

Dagli spezzoni proposti ad Annecy, pur se ancora in lavorazione (il film – dal titolo provvisorio ‘Approved for adoption’ – doveva uscire nel 2010 ma è slittato, forse, alla fine di quest’anno), si ha l’impressione di un lavoro molto interessante, che tende a evitare il facile patetismo suscitando sincera partecipazione per una vicenda umana che poco a poco finisce col trascendere il dramma individuale per assurgere a metafora di quella ‘perdita di radici’ di cui la nostra società sembra soffrire sempre più, uno spaesamento che costringe  – come nella scena forse emblematica del film – a risalire annaspando la corrente di fronte a un muro di folla che marcia anonima e compatta in direzione contraria.