6 Marzo 2009 14:18

Gipi e Baru – il fumetto sociale

Baru - foto di Francesco Amorosino - click per i dettagliIl fumetto come mezzo d’analisi della società, come strumento per indagare il presente ricordando il passato e anche forse un mezzo per anticipare il futuro. Gipi e Baru sono due artisti che hanno moltissimi punti in comune: entrambi autori di indimenticabili romanzi a fumetti, entrambi famosi in Francia, anche se il primo, al secolo Gianni Alfonso Pacinotti, è Pisano, mentre il secondo, Hervé Baruléa, è nato a Thil, in Lorena, entrambi amano raccontare piccole storie di periferia, vite di personaggi vicini a ognuno di noi. Le somiglianze e le differenze sono state messe in evidenza durante l’incontro con il pubblico che si è tenuto il 5 marzo a Roma, al Centre culturel Saint Louis de France, diretto da Jean-Luc Pouthier, secondo cui “è un onore avere qui un incontro sul fumetto perché alla mia generazione non era permesso leggere fumetti, era visto male. Il fumetto, invece, non è mai stato fuori dalla società e questi due grandi autori lo dimostrano“. Gipi - foto di Francesco Amorosino - click per i dettagliA moderare l’incontro è stato il giornalista Francesco Boille, che ha aperto l’incontro parlando del tema della memoria. Baru, autore di fumetti come Noir che ha anticipato di anni il dramma delle banlieue, ha detto di non fare “un lavoro solo sulla memoria: io voglio un mezzo per comprendere il presente. Mi interesso molto della cultura operaia. I governanti dicono che non esiste più. Io allora penso al passato e lo rapporto al presente. Quando ho cominciato a scrivere fumetti non esistevano eroi di poco conto, del popolo, io volevo mettere in risalto la cultura dei piccoli“. Gipi, invece, ha rivelato di non avere “un interesse preciso per la memoria: ne sono ossessionato, è una trappola, torna sempre nelle mie storie, ne riconosco la valenza sociologica, ma non è una scelta che faccio apertamente. Torno alla libertà di quando ero ragazzo e il caso ha voluto che vivessi cose che hanno un significato politico“. Altro argomento comune ai due autori è il rapporto tra ciò che è concreto e ciò che è metaforico. A Gipil’astrazione serve per capire la realtà, è il mio modo di vedere il mondo. Io sono troppo nervoso: ad esempio non posso guardare Napoli, l’occhio va da tutte le parti. Gipi - foto di Francesco Amorosino - click per i dettagliL’astrazione è un desiderio di affondare nel mio modo di guardare la realtà, è il mio modo di vedere il mondo, che non consiglio a nessuno“. Ad analizzare il collega pisano ci ha pensato Baru: “Gipi ha una padronanza incredibile della metafora. Anche se sembra astratto lui è un disegnatore realistico. Parte da una situazione e fa vedere come reagiranno gli esseri umani. Anche io sono ossessionato dalla realtà, ma sono meno istintivo di Gipi e uso la metafora in modo più sociologico e meno psicologico“. I disegni dei due autori sono particolari: non aggraziati, non studiati, ma funzionali, precisi, belli nella loro immediatezza perché profondi. “Io non ho senso estetico – ha detto Barunon ho mai voluto disegnare in maniera classica, ho imparato da solo. Era l’unico modo per dire quello che volevo dire“. Anche Gipi ha rivelato di essere “interessato più alla devoluzione del fumetto che all’evoluzione. Baru - foto di Francesco Amorosino - click per i dettagliVoglio disegnare sempre peggio per fare meno. In realtà all’inizio non sapevo neanche cosa fosse il fumetto, poi con il tempo ho staccato il disegno dall’illustrazione per avvicinarlo al testo scritto, come ho fatto in La mia vita disegnata male. Spero di continuare a peggiorare ancora, magari il prossimo libro sarà tutto disegnato di getto e scarnificato“. Nell’ultimo lavoro di Gipi, però, ai disegni fatti a penna aggrovigliati come la sua stessa scrittura si alternano illustrazioni ad acquerello, incantevoli per la leggerezza dei paesaggi quasi da Corto Maltese. “La parte del pirata c’è perché volevo fare qualcosa di bello” ha confessato Gipi, per poi ritrattare: “No, non è vero, volevo qualcuno che fosse disperato come me quando sono disperato, se c’ero sempre io in quel libro sarebbe stato troppo. Volevo spezzare il ritmo pesante, io ci penso a chi mi legge“. E anche i lettori hanno pensato ai due autori, sommergendoli di domande e richieste di disegni, perché il bello del fumetto sta anche nell’incontro. [Servizio di Francesco Amorosino]