Ricordi di medium, u.f.o. e para scienza

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Era, molto probabilmente, l’anno de Il segno del comando, lo sceneggiato televisivo che la RAI diffuse nel 1971 (inquietante: “Il tema trattato è inusuale per i tempi: si parla di occultismo, di esoterismo, perfino di reincarnazione e l’alone di magia e mistero che si crea è tale da suggestionare tutta la troupeclick qui). All’epoca ero un ragazzino che aveva già “frequentato”, per parecchi anni, diversi degli ambienti “misteriosi” e spirituali di Torino e, al momento, mi occupavo di ‘ufologia, anche se le colonne antiche del posto in cui mi stavo recando quella notte, nel centro della città magica, con in testa le atmosfere di quello sceneggiato (e la famosa canzone della sigla) contribuivano a un ritorno di interesse esoterico, con un vago brivido per la schiena. Ovviamente ero in anticipo, per l’incontro del Centro Ufologico, e, prima di quello, toccava, in quella saletta nel retro di una antica chiesa, alla sensitiva Libia. In realtà il suo nome era Anna Bertelli, ma la sua storia personale la portò ad assumere quello di Libia Martinengo (click qui). Ti risparmio i dettagli, ché si trovano facilmente in rete. Interessante è che quella sera un anziano signore si alzò per ringraziare pubblicamente Libia, perché lei aveva parlato con sua moglie, morta, e la cosa, manco a dirlo, lo aveva enormemente consolato. Non posso sapere se Libia avesse davvero la capacità di parlare con gli spiriti dei defunti, o facesse finta, o fosse in buona fede convinta di poterlo fare e, nel caso specifico, non è nemmeno così importante saperlo. Il fatto è che aveva consolato un uomo, dandogli la “certezza” che la vita non finisce col mutamento che noi chiamiamo morte, e che il suo amore non si era dissolto col dissolvimento del corpo. Tanti sono i limiti del nostro cervello, tante le conseguenze dei suoi limiti, alcune sgradevoli, altre piacevoli. Alcune sono disastrosamente dannose, altre favoriscono la nostra creatività. Tant’è: tutto passa inesorabilmente di lì. Io cosa avevo visto quella sera? Un’imbrogliona che aiutava la gente? Una malata mentale che viveva una realtà tutta sua, alternativa? Una interessante variante del nostro cervello? Chissà. Quell’uomo, comunque, stava vivendo un momento di felicità. Di più non posso dire.

Un’altra conferenza sugli ufo, un altro anticipo, un altro finale di un incontro precedente. Quello dei seguaci di un movimento para-scientifico, legato evidentemente al mito (più che alle invenzioni) di Nikola Tesla (click qui), che stavano progettando per qualche tempo dopo (qualche settimana, mi pare) una eclatante dimostrazione pubblica delle straordinarie macchine elettromagnetiche che avevano costruito: l’intera città di Torino si sarebbe fermata! Ogni motore si sarebbe bloccato, istantaneamente e contemporaneamente, e, finalmente, tutti avrebbero creduto loro! E vaaai! Si diedero appuntamento per non so bene quando, non ricordo dove e uscirono tutti entusiasti, pronti a godere del loro momento di gloria. Che non ci fu mai, visto che quel black out dimostrativo non ha mai avuto il successo sperato. Poverini. Chissà che delusione. Li capisco. Anch’io, molti anni prima, da bambino, avevo costruito, con pezzi dei miei giocattoli e pattumiera varia, un aggeggio in grado di controllare il tempo atmosferico e, ahimè, non ha mai avuto successo. Ma ero un bambino e facevo finta che funzionasse davvero perché, come tutti i bambini, sapevo bene che era solo un gioco. Finito quello si passava ad altro. E a un altro. Ma tutti quegli adulti che con tanta pazienza avevano costruito i loro “giocattoli”, come l’avranno presa, l’inevitabile disfatta? Chissà.

E le conferenze sugli ufo, mi chiedi? Quelle erano una cosa seria. Non ricordo che nessuno abbia mai portato un’antenna verde o robe simili. Si faceva il punto sui vari avvistamenti, su quelli che venivano chiariti, su quelli su cui restava qualche dubbio. Tutto qui. Niente alieni, niente rapimenti astrali, niente civiltà extraterrestri, niente baggianate per polli (per quanto divertenti). Semplice studio e ricerca di oggetti volanti non identificati. Come quelli che vide mia mamma, nel cielo di Torino sopra casa nostra, un pomeriggio d’estate stagliarsi luminosi contro nuvole nere e poi partire di botto, prima il primo del gruppo, subito dopo tutti gli altri, velocissimi, in blocco. Era qualche anno prima e io stavo giocando nei prati sotto casa con gli amici; mia mamma, dal balcone, cercò inutilmente di farmeli vedere: ero distante, non capii subito e l’angolazione non era nemmeno favorevole. Peccato: avrei avuto qualcosa da raccontare, in seguito, al centro ufologico, invece… [Nel disegno in cima al post, una macchina per controllare il tempo, funzionante… almeno nell’episodio S.O.S. Meteore della serie di Jacobs Blake e Mortimer.]

IlSegnoDelComando

3 risposte a “Ricordi di medium, u.f.o. e para scienza”

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