Il razzismo è una malattia curabile?

Spirit-Eisner-Ebony Un fan di Star Wars o di Star Trek (et similia), come può essere razzista? Ha visto (sia pure in fiction) che non è la provenienza o l’aspetto a fare la differenza negli esseri viventi. Ma pure un comune abitante della Terra dovrebbe sapere che la bellezza sta nella diversità e nel mutamento continuo, che sono le caratteristiche della Vita. Allora, come mai ci sono persone afflitte dal razzismo (e che, di conseguenza, affliggono gli altri col proprio razzismo)? Dal mio personale e limitatissimo punto di vista, il razzismo sembra essere una sorta di malattia mentale, o neurologica che dir si voglia, una alterazione cerebrale, una roba del genere che rappresenta un rischio letale per la sopravvivenza dell’umanità, perché chi ne è afflitto vorrebbe che tutti fossero fatti con lo stampino, tutti “sostanzialmente uguali” (a se stesso, ovviamente) e questo porterebbe alla fine della diversità e del mutamento che non sono solo la base della bellezza, ma l’essenza della possibilità di sopravvivenza di una specie. Pure pare che alcuni non riescano a superare il proprio razzismo, una sorta di enorme paura inestinguibile e atavica nei confronti di tutto ciò che anche solo sembri diverso da sé. La paura porta facilmente all’odio e alla violenza, come apparente unica risposta possibile al proprio tormento interiore. Un disastro distruttivo e auto distruttivo. Ma si può curare? Razzismo, sessismo, estremismo, integralismo, specismo ecc… Non sono semplicemente “opinioni diverse”. Mi pare siano piuttosto empatia danneggiata in modo pericoloso per la collettività, oltre che per gli individui. Cervelli mal funzionanti? Sono riparabili? Un bel quesito cui sarebbe opportuno dare risposta prima che sia troppo tardi. IMHO, naturalmente. [La copertina in cima all’articolo è relativa alla serie Spirit di Will Eisner e al “sospetto”, di cui si dibatté in passato, che l’autore non fosse stato politically correct nel rappresentare Ebony, il personaggio dalla pelle scura, con un “eccesso di caricatura razziale”, come peraltro era, ahinoi, ampiamente d’uso all’epoca della creazione di quel personaggio. Ma questa è ancora un’altra storia. Quella degli stereotipi, anche i peggiori, che hanno fatto parte del bagaglio, grafico e concettuale, pure dei migliori autori, spesso “solo” perché hanno vissuto in tempi e luoghi in cui questi stereotipi pericolosissimi facevano parte del “senso comune” e i loro “limiti individuali” non consentivano, a persone peraltro intelligenti, di afferrare l’errore (e l’orrore che vi è insito). Cosa che dimostra ancora una volta come senso comune e buon senso siano due cose molto diverse. Ho usato il passato (“hanno fatto parte”), ma, purtroppo, non tutti hanno capito di avere sbagliato e di aver di fatto lavorato per il lato oscuro. Diversi sì, e lo hanno ammesso, cambiando atteggiamento in modo radicale, dimostrando di essere umani. Altri no. Altri, addirittura, sono razzisti anche oggidì, in vario modo, e rientrano tour court nel discorso che ho fatto nella prima parte di questo post, in questo mio diario psicoterapeutico.]

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