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La grande stagione di Cino e Franco e delle altre coppie di ardimentosi ragazzi italiani che negli anni Trenta ne rinnovavano le imprese in storie forse ben congegnate, ma intrise di patriottismo e retorica in camicia nera, o quasi, era ormai lontana. Ma alla fine degli anni Quaranta l’apparizione degli albi a striscia - una soluzione escogitata dagli editori per ovviare alla carenza di carta - rilanciò quel filone. Gli albetti erano piccoli e maneggevoli, anche per essere nascosti nelle tasche ed evitare i rimproveri di genitori e insegnanti, a quell’epoca nemici giurati dei fumetti. Questi piccoli albi avevano spesso piccoli protagonisti, che stimolavano fra i giovani lettori un senso di emulazione. Non mancavano, ovviamente, anche eroi adulti, come Tex nato negli albi a striscia e poi cresciuto in decine di altri formati e collane. Ma i ragazzi erano la maggioranza, quasi tutti protagonisti di entusiasmanti avventure che si svolgevano per lo più nel lontano e mitico West americano. Uno dei primi è stato il Piccolo Sceriffo, ideato nel 1948 da Tristano Torrelli, che lo sceneggiava e lo pubblicava. Seguirono poi il ciclo di Sciuscià e altri piccoli eroi della “frontiera” come Capitan Miki, il Piccolo Ranger, Un Ragazzo nel Far West (che vide l’esordio di Sergio Bonelli, allora Guido Nolitta, come sceneggiatore) e altri. In mezzo a questi si distaccava nettamente Sciuscià per l’originalità della storia e la sua ambientazione. Apparve nelle edicole il 22 gennaio 1949 e vi restò fino a metà degli anni Cinquanta, malgrado il progressivo sfilacciamento delle storie. Ne era autore ancora Tristano Torrelli, spesso coadiuvato da Gianna Anguissola e le strisce erano realizzate da vari disegnatori, soprattutto Ferdinando Tacconi, Franco Paludetti e Lina Buffolente. Nella Napoli liberata dagli americani, gli sciuscià erano gli scugnizzi, ovvero quei ragazzi rimasti spesso senza casa e senza famiglia, che si arrangiavano con umili lavoretti, magari con qualche furtarello oppure lustrando le scarpe ai militari americani. Sciuscià infatti è la deformazione napoletana delle parole inglesi shoe e shine, cioè lustra scarpe. Protagonisti di questa storia - vagamente ispirata al celebre film di De Sica - sono tre ragazzi di una dozzina di anni o poco più: Nico, che diverrà subito il piccolo capo del gruppo, Fiammetta, che se ne innamora, e il Pantera, che svolge un ruolo di spalla, con momenti umoristici alternati ad altri spericolati. Il capitano Wickers, un ufficiale dei servizi segreti americani, un giorno li sceglie per affidargli l’incarico di portare un messaggio ai partigiani in guerra nella Roma occupata dai tedeschi. Il viaggio che i tre compiono per andare da Napoli a Roma è irto di pericoli, devono attraversare il fronte ed evitare di cadere in mano nemica. Ovviamente ci riusciranno, come ci erano riusciti gli sciuscià di De Sica, che entrarono a Roma percorrendo in groppa a un cavallo via Veneto, non ancora palcoscenico della dolce vita. Dopo quella missione, Nico, Fiammetta e Pantera risaliranno la Penisola con le truppe alleate e saranno protagonisti di innumerevoli episodi di coraggio. Ormai catturati dallo spirito dell’avventura, i tre efettueranno una sorta di giro del mondo, con episodi collocati fra l’altro anche in Asia e in Africa. Ma l’originalità iniziale si è ormai persa, e queste storie non hanno lasciato segno, a differenza delle prime che invece hanno offerto un ritratto abbastanza realistico dell’Italia sconvolta dalla seconda guerra mondiale. E questo, per un semplice fumetto d’avventura per ragazzi, non è poco. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 24/1/2009 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Due settimane dopo le prime tavole di Gordon e di Jim della Giungla, Alex Raymond - uno dei maestri del fumetto americano, nato nel 1909 e morto nel 1956 - cominciò a pubblicare le prime strisce del suo terzo personaggio, nato il 22 gennaio di quel fortunato 1934. Si trattava di un poliziotto, all’inizio senza nome (apprenderemo in seguito che si chiamava Dan), ideato da Dashiell Hammett, grande scrittore di realistici romanzi polizieschi. La prima storia realizzata da questi due grandi autori si intitola “Il Dominatore” e racconta una vicenda abbastanza cruda, con il nostro eroe che fa sfoggio sia di forza fisica che di una mira precisa. Con questo personaggio - identificato a lungo come l’Agente Segreto X-9 - Raymond arricchì la sua personale gamma di eroi, affiancando un poliziotto a un eroe di fantascienza come Gordon e a un avventuriero impantanato nelle foreste del Sud-Est asiatico come Jim della Giungla. Durante le prime storie sono stati svelati alcuni misteri sull’identità di X-9: scopriremo, per esempio, che è diventato poliziotto per vendicare la morte della moglie e della bambina piccola, e che dopo una permanenza nella polizia, è passato nelle file del FBI, per meglio combattere la criminalità organizzata, ancora abbastanza diffusa negli Stati Uniti. L’agente X-9 ha uno sguardo deciso, la mascella robusta, indossa quasi sempre abiti eleganti, ma soprattutto ama infiltrarsi nelle bande criminali per combattere, e sconfiggere, la deluinquenza dall‘interno. Per molti aspetti sembra essere la versione disegnata di Sam Spade, l’investigatore protagonista dei romanzi di Hammett, reso poi celebre dalle interpretazioni cinematografiche di Humphrey Bogart. Dashiell Hammett sceneggiò solo alcune avventure di X-9, fino all’aprile 1935, quando preferì lavorare per il cinema. Fu sostituito per qualche tempo da un altro scrittore di gialli, Leslie Charteris, autore fra l’altro del fortunato ciclo del Santo. Ma anche Raymond non sarebbe rimasto a lungo fedele al suo “figlio”, che abbandò nel novembre del 1935, per dedicarsi meglio alla saga di Gordon. Privato dei suoi celebri padri, X-9 imboccò la strada di un lento seppur lungo declino, malgrado la presenza, spesso, di bravi disegnatori. Se me succedettero diversi, da Afonsky a Briggs, da Mel Graff a Bob Lubbers. Ciascuno di loro cercò di dare un’immagine diversa e forse originale al celebre poliziotto, che tuttavia perse spessore, anche a causa di anonime sceneggiature. Ma il mito di X-9 sarebbe resistito a lungo, fino agli anni Sessanta quando la serie fu presa in mano dallo sceneggiatore Archie Goodwin e dal disegnatore Al Williamson. La coppia ne rinnovò in parte l’immagine, e X-9 abbandonò le indagini tradizionali per dedicarsi alla lotta contro la criminalità del nostro tempo, combattendo trafficanti di droga e di armi, terroristi e banditi di ogni genere. Dal 1980 è stata disegnata da George Stevens, che accentuò il declino e l’anonimato di un personaggio nato sotto una buona stella e con due padri chiaramente importanti. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 17/1/2009 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi In una recente intervista, Bruno Bozzetto - 70 anni pieni di vitalità e creatività - ha detto che il cinema d’animazione non deve essere riservato solo ai giovanissimi, ma può essere anche e soprattutto un efficace strumento di divulgazione. Quasi a conferma di queste giuste osservazioni, è arrivata l’assegnazione del Golden Globe - quasi un’anteprima degli Oscar - al film animato Valzer con Bashir dell’israeliano Ari Folman, che narra un aspetto della guerra in Libano dei primi anni Ottanta. Il film è uscito anche in Italia e la sua versione a fumetti è stata pubblicata dalla Rizzoli-Lizard. Scorrendo gli incassi del periodo delle ultime festività, si scopre che al secondo posto, dietro il solito cinepanettone disimpegnato, c’è Madagascar 2, mentre in ottava posizione figura Spirit, che Frank Miller ha tratto dalle storie disegnate da Will Eisner. Con un po’ d’ottimismo, si potrebbe dire che si sta aprendo un periodo positivo per il cinema legato all'animazione e ai fumetti, come dimostrano del resto i molti kolossal americani dedicati ai vari supereroi. Ma anche in Italia qualcosa si sta muovendo, pur se l’animazione resta sempre un prodotto di nicchia, spesso ghettizzato in orari assurdi, o quasi, da tutte le televisioni e trascurato dai circuiti cinematografici. Ma l’impegno, le fatiche e il coraggio di pochi gruppi quasi artigianali permettono di guardare con fiducia al futuro. Dopo il successo della Gabbianella e il gatto, Enzo D'Alò sta lavorando a un altro film con protagonisti gli animali del bosco, i fratelli Manfio saranno presenti nel mercato natalizio del 2009 con i Cuccioli, film in 3-D per grandi e piccoli, mentre Igino Straffi, dopo il successo di Winx, propone una serie dedicata ai maschietti, intitolata Huntix e ambientata nel mondo dell’archeologia. Se Bruno Bozzetto vuole far rinascere i suoi antichi personaggi Supervip e Minivip, Romano Garofalo - sceneggiatore di lungo corso, ideatore negli anni Settanta di Jonny Logan e poi di Mostralfonso - sta realizzando, con Marzio Lucchesi e altri disegnatori, come Franco Luini e Angelo Beretta, un gruppo di cortometraggi che in pochi minuti raccontano tra l’altro le storie di un vecchio quartiere di periferia dove s’incontrano il Bidone della spazzatura, il Segnale stradale, il Lampione, la Scopa, un Vecchio Albero, il Semaforo e così via, che si scontrano poi con Mr. Smog che cerca di avvolgere il quartiere con la sua nera cappa. L’assunto ecologico si unisce con disegni semplici e talora caricaturali, analoghi a quelli di altri cicli dedicati, dagli stessi autori, a personaggi di oggi - dal tifoso al prete, al vigile ecc. - e ad altri chiaramente umoristici, da Sauro il dinosauro al Barone von Strip, il tutto sempre raccontato con un pizzico di comicità e anche con ironia. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 12/1/2009 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Braccio di Ferro è nato, già anziano e arrabbiato, giovedì 17 gennaio 1929 sulle pagine del New York Evening Standard, e ha avuto il potere di far arricchire il padre (l’umorista e disegnatore americano Elzie Crisler Segar) e quanti successivamente ne hanno narrato le avventure sulla carta stampata e in decine di cortometraggi animati. Ma quelli che più gli sono stati riconoscenti, sono stati i produttori di spinaci, che gli hanno eretto un monumento - non metaforico: a Crystal City nel Texas esiste davvero [eretta il 26 marzo 1937, NdR] - in segno di sincera gratitudine per l’impulso dato alla vendita di questo ortaggio, indispensabile per rafforzare i muscoli di questo eroe di carta. Sono ormai decenni che Popeye (questo il suo nome originale) riempie di pugni quanti gli fanno saltare la mosca al naso, un lungo arco di tempo che ormai pesa, non solo anagraficamente, sulla qualità delle sue avventure che dopo la scomparsa del suo autore, morto ancora giovane nel 1938, si sono commercializzate perché l’erede di Segar, quel Bud Sagendorf che ha continuato la striscia, non aveva la fantasia e l’inventiva del primo, per cui le storie, divenute più prevedibili, hanno perso molto della carica polemica e Popeye è diventato un marinaio sempre più astioso e rissoso, privo di quella carica di umanità e di ribellione contro tutto il mondo che aveva nei primi anni Trenta, quando si scontrava con i nemici di sempre, da Brutus (o Bluto, secondo la versione originale), la Strega dei Mari o le dispettose Arpie. Sia nelle strisce che nei cortometraggi animati, prodotti per lo dai fratelli Fleischer, a quell’epoca rivali e concorrenti di Walt Disney, Braccio di Ferro non è mai solo: lo accompagnano, lo aiutano, spesso lo ostacolano o lo infastidiscono, Olivia, segaligna e insopportabile, eterna fidanzata e simbolo esasperato del matriarcato americano, Poldo, parassita sbafatore, ingordo personaggio negativo, messo lì per far meglio risaltare le qualità positive di Popeye, e il padre del nostro eroe, Braccio di Legno, 99 anni, rozzo e selvaggio, simbolo vivente del passato e della “vecchia frontiera”. Sono tre personaggi di contorno (ma ce ne sono altri, come il piccolo Pisellino o il Gip, strano quadrupede con magici poteri, fra cui quello dell’invisibilità e di dire sempre la verità) che danno alle storie una dimensione completa e costituiscono una sorta di piedistallo su cui si assiede trionfante Braccio di Ferro, che forse ha spesso combattuto contro i mulini a vento, ma anche contro i fantasmi della “grande depressione” del 1929. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 12/1/2009 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il fumetto francofono ha sempre sviluppato il filone umoristico, con storie e personaggi che prendono in giro situazioni di luoghi ed epoche remote, dal mondo dell’antica Roma, messo amabilmente alla berlina nella saga di Asterix a quello del classico West di Lucky Luke. Il primo esponente di questo filone è stato il belga Georges Rèmy, che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Hergè, e che giusto 80 anni fa ideò quel simpatico e sbarazzino giornalista giramondo, universalmente conosciuto come Tintin. Il suo giovane eroe nacque il 10 gennaio del 1929 sulle pagine del supplemento per ragazzi del “Vingtième Siècle”, un quotidiano cattolico di Bruxelles dove Remy, allora giovane, lavorava. Nel corso dei decenni successivi Tintin ha compiuto un vero e proprio giro del mondo, quasi sempre accompagnato dal fido cagnetto Milù. E’ stato perfino sulla Luna (in una storia iniziata sul giornale Tintin il 30 marzo 1950 e terminata sulla rivista nel 1952, la cui prima parte uscì poi in albo nel 1953, quattro anni prima dello Sputnik, e il cui secondo volume, quello con lo sbarco sulla Luna, venne pubblicato in albo nel 1954, 15 anni prima dello storico volo dell'Apollo 11 di Armstrong - NdR). In ogni avventura ha portato sempre un pizzico di buonumore, qualche momento di tensione (il taglio poliziesco, l’intrigo politico o spionistico sono costantemente presenti), e anche, ogni tanto, qualche goccia di sano nazionalismo che secondo qualcuno è forse sfociato, negli anni della seconda guerra mondiale, in una forma di adesione alle teorie naziste. In realtà, scrivendo e disegnando le avventure di Tintin, Hergè ha sempre evitato precise connotazioni politiche, esprimendo invece un netta condanna di tutte le dittature. La storia più politicizzata è stata senza dubbio la prima, che vede il simpatico giornalista partire alla scoperta dell’Unione Sovietica. Raccolta in volume l’anno successivo, “Tintin nel Paese dei Soviet” non ha mai avuto il successo che avrebbe meritato, con tirature e diffusione sempre limitate. Questa storia, vecchia di ottant’anni, non è solo fonte di divertimento, ma è anche istruttiva sul piano ideologico e storico. Non c’è ancora nessuno dei personaggi fissi che accompagnano Tintin (i poliziotti Dupont e Dupond, il professore Girasole, la soprano Castafiore, ecc.), ma c’è già il cagnetto, che svolge quasi una funzione di “coro” o di voce della coscienza. Qui troviamo Tintin in viaggio alla scoperta del “paradiso” sovietico, e subito braccato dalla Ghepeù e altre polizie, che vogliono impedirgli di raggiungere Mosca e raccontare la verità. Caos, file, fame, miseria, repressione, in una parola la dittatura: è quanto incontra quasi ad ogni vignetta il nostro ancora ingenuo eroe, in un viaggio dove non mancano pericoli ed emozioni, accompagnati da pungenti frecciate al regime, che oggi appaiono veritiere e profetiche. La condanna del totalitarismo è netta, come sempre netta è stata, in altre storie ambientate talora in Paesi di fantasia, quella per ogni forma di militarismo, di autoritarismo, di violenza. Tintin, al di là delle riserve ideologiche che possono sussistere sul suo autore, è un moderato – sia quando deve occuparsi dei gioielli della Castafiore o dei militari corrotti di certe repubbliche sudamericane -, un uomo tranquillo, anche se spesso finisce in situazioni movimentate, amante di una vita avventurosa, ma serena e senza scosse, che non gli viene certamente garantita dalla dittatura. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Martedì, 6/1/2009 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Come già detto, il 1934 fu una grande stagione per i fumetti, soprattutto americani, con una fioritura di autori e personaggi che toccavano tutti i generi. Ce n’è per tutti i gusti. Chi ama l’ironia può divertirsi con Li’l Abner, il ragazzone scarpe grosse e cervello fino, figlio della tipica provincia contadina americana, inventato da Al Capp che attraverso le vicende degli abitanti di Dogpatch ha narrato la modesta e tranquilla vita degli americani anonimi, talora coinvolti anche in vicende, comprese quelle politiche, più grandi di loro. Chi invece preferisce l’avventura può apprezzare le storie di Mandrake, ideato da Lee Falk e affidato al disegno di Phil Davis. Sono racconti che, almeno all’inizio, sembrano sconfinare nell’horror, con il mago in marsina e cilindro alle prese con gorilla, mummie viventi e altri incredibili esseri spesso evocati dal maggior nemico di Mandrake, il Cobra. L’elenco degli eroi di carta nati 75 anni fa è ancora lungo: molti sono ancora in buona salute come Paperino (che ha esordito il 9 giugno di quel felice anno in un cortometrggio animato prima di approdare nei fumetti), altri sono quasi dimenticati come Little King, ovvero il Piccolo Re di Otto Soglow, oppure abilmente sfruttati dall’industria della moda e dal consumismo come Betty Boop, passata dagli stuzzicanti balletti nei film dei fratelli Fleischer alla staticità dei fumetti, prima di sparire nel 1939 uccisa dagli ostacoli a ripetizione dei moralisti da strapazzo. Altri hanno vissuto solo poche stagioni, come il drappello di Radiopattuglia o l’Ispettore Wade che Lyman Anderson aveva tratto dai romanzi di Edgar Wallace, e così via. In questa carrellata incompleta di anniversari, non si possono ignorare altri compleanni, per esempio i 70 anni di Batman, il secondo supereroe della storia, nato un anno dopo Superman, nel maggio del 1939, o gli 80 anni di Tintin, il simpatico giornalista giramondo creato all’inizio del gennaio 1929 da Hergè, o quello di Popeye che Segar cominciò a disegnare stabilmente dal 1929. Non possiamo nemmeno dimenticare i 75 anni della lunga saga di Terry e i pirati che Milton Caniff - altro padre del fumetto americano - ha fatto iniziare come un gioco (la ricerca di un tesoro nascosto in Cina) e che nel corso degli anni è diventata quasi una cronaca degli eventi bellici in Oriente. Tra tanti compleanni, diciamo così, stranieri, non mancano quelli italiani, dai 70 anni delle saghe di Virus e di Cuore garibaldino, a quelli di Bobo - il personaggio quasi fisso delle vignette di Staino - e di Pigy, il simpatico angioletto disegnato da Paolo Del Vaglio, risposta cattolica a certe irriverenze della satira di casa nostra. Sessant’anni fa nascevano due personaggi da tempo scomparsi, ma che ebbero un notevole successo, ovvero Pecos Bill, pericoloso concorrente di Tex, e il ciclo di Sciuscià che raccontò a fumetti alcune vicende dell’Italia in guerra viste con gli occhi di un gruppo di scugnizzi napoletani. Prima di concludere, torniamo al 1934 per sottolineare come in quell’anno vennero pubblicati in Italia numerosi settimanali, non tutti dalla vita lunga. I più famosi sono stati l’Audace di Lotario Vecchi e l’Avventuroso di Nerbini, che ospitavano il meglio dei fumetti americani. Ma un certo successo ebbero anche il Giovedì dei Ragazzi, Bombolo e Modellina, rivolto soprattutto alle piccole lettrici. Sessant’anni fa, infine, uscirono il Pioniere [che vedete nella foto qui sopra. NdR], ovvero la risposta della sinistra ai tanti settimanali d’ispirazione cattolica e, nel mese di aprile, il primo numero di Topolino nella versione tascabile o a libretto [che vedete nella foto qui accanto, con, sullo sfondo, un altro albo del 1949 di uno dei Grandi del Fumetto Italiano. NdR], che conserva tuttora, con un successo di durata pari solo a quello di Tex, un altro “monumento” del fumetto italiano. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 2/1/2009 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Di solito si celebrano gli anniversari decennali, ma questa volta bisogna fare un’eccezione perché è impossibile dimenticare che nel 1934 – settantacinque anni fa, appunto - ci fu una vera fioritura di autori e personaggi che hanno lasciato un segno indelebile nella storia delle nuvolette. Il 7 gennaio del 1934, per esempio, Alex Raymond - uno dei maestri del fumetto - iniziò le storie di Flash Gordon e di Jim della Giungla, cui seguirono, due settimane dopo, le prime indagini dell’Agente Segreto X-9, con disegni dello stesso Raymond e testi, all’inizio, di Dashiell Hammett, uno dei maggiori autori di romanzi polizieschi. Ma l’avventura nei fumetti era arrivata già prima, esattamente cinque anni prima, dal 7 gennaio del 1929 quando apparvero le prime storie di Tarzan e di Buck Rogers. Il popolare uomo-scimmia giunse nei fumetti sulla scia dei successi letterari e cinematografici, con le prime strisce disegnate da Hal Foster, che nel 1937 lo abbandonò per dare vita alla saga di Valiant, coraggioso principe della Tavola Rotonda di Re Artù. Il migliore tra i tanti disegnatori che proseguirono il ciclo fu Burne Hogarth, che ne fece una versione estremamente efficace anche sul piano dell’anatomia, raggiungendo vette michelangiolesche, con voli plastici e membra muscolose. Buck Rogers è decisamente meno noto, almeno in Italia, di Tarzan, forse perchè il personaggio disegnato da Richard Calkins viveva vicende poco verosimili ambientate in un’America del 2429 dominata dai Mongoli. Gli Stati Uniti vivevano già in un clima di accerchiamento, con un pericolo – giallo, nero, rosso – sempre dietro l’angolo, e pertanto quello evocato nelle battaglie di Buck Rogers in un’America devastata dalle bombe (in una striscia dell’aprile 1929 c’è una potente esplosione che sembra anticipare la bomba di Hiroshima) sembrava indicare quello che gli americani avrebbero vissuto qualche anno dopo. L’avventura, nei fumetti, sarebbe poi proseguita con Dick Tracy nel 1931 e con altri personaggi, per poi riprendere alla grande con le storie di Alex Raymond, con Jim della Giungla, per esempio, immerso in mondi esotici, asiatici per lo più, tra foreste infestate da banditi vari e mari (del Sud, ovviamente) solcati da feroci pirati. Se in Jim si respira un’aria di antico colonialismo, in Flash Gordon siamo nel pieno dell’epopea spaziale, proiettata in un futuro chiaramente fantascientico, con quello scontro tra Gordon e il giallo Ming, spietato imperatore di Mongo che vuole conquistare la Terra. Ritorna, quindi, almeno in parte, il tema dell’accerchiamento, una paura che sarà spezzata solo dal coraggio di Gordon che sbaraglierà il perfido Ming, prima di tornare sulla Terra per aiutare gli americani e il mondo libero a sconfiggere il nazismo. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 1/1/2009 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Ogni tanto il cinema attrae anche gli autori dei fumetti, forse perché le due arti non sono solo coetanee, ma anche molto simili. Uno degli ultimi, dopo Moebius, Bilal e in parte il nostro Manara, è Frank Miller, uno dei maestri del fumetto moderno, che ha diretto la versione filmata di Spirit, in uscita a Natale. Il disegnatore aveva qualche perplessità ad affrontare un personaggio non suo, dopo le esperienze di Sin City e dei 300, ma se l’è cavata brillantemente, tanto che ora progetta un film su un altro famoso eroe del passato, Buck Rogers. In Spirit, Frank Miller ha conservato le atmosfere del fumetto, proponendo nel modo migliore tutti i personaggi ideati all’inizio degli anni Quaranta da Will Eisner, uno dei massimi autori del fumetto mondiale. Se Spirit è stato il suo personaggio più popolare, disegnato per una dozzina di anni, altre storie, di ben più elevato spessore, hanno fatto di Will Eisner un maestro irraggiungibile di graphic novel, oggi tanto di moda e talora maldestramente imitata. Per anni Eisner ha narrato, con efficaci ed espressivi disegni e con dialoghi incisivi e scarni, la vita e i dolori delle minoranze ebraiche, italiane, polacche ed europee in genere, nella New York della prima metà del Novecento. Alcune di queste storie – che non sfigurano accanto ai racconti dei grandi narratori americani – sono state raccolte da Einaudi in un volume, sinteticamente intitolato New York, che offre un originale spaccato della società americana di qualche decennio fa. L’uscita del film ha giustamente favorito il rilancio editoriale di questo autore, in Italia un po’ trascurato dal grosso pubblico. La Rizzoli, per esempio, ha appena proposto un’antologia delle storie di Spirit, un personaggio insolito nell’universo dei giustizieri mascherati. Dietro il nome di Spirit si nasconde un criminologo americano, Denny Colt, che mentre dava la caccia a un bandito, è stato colpito da un flacone con un liquido mortale. Da tutti creduto morto, Denny Colt invece si rifugia in una tomba e si adatta a vivere in un cimitero di Central City - la solita città che ricorda tanto New York – da cui esce, con una mascherina sugli occhi, per dare la caccia ai criminali. Spirit non ha i superpoteri di altri eroi mascherati, ma solo qualche amico, come il simpatico negretto Ebony e una bella ragazza, Ellen, figlia del commissario Dolan, sempre incerto se schierarsi accanto a Spirit oppure dargli la caccia, perché Spirit talvolta ricorre a metodi non ortodossi. Le storie sono solitamente racchiuse nello spazio di poche tavole, nelle quali Will Eisner ha sintetizzato vicende che altri autori avrebbero narrato in infinitre strisce. Notevole è in queste storie la presenza femminile, conservata abbondantemente anche nella versione cinematografica, che forse accentua un po’ il comportamento da play boy del nostro eroe, interpretato da Gabriel Macht, che sa fare il cascamorto con le pupe e il duro con i cattivi, soprattutto con Octopus, lo scienziato pazzo suo nemico numero uno, impersonato da Samuel L. Jackson. Oltre al film, in questi giorni esce anche la versione a fumetti della pellicola, edita dalla Panini Comics e realizzata da Darwyn Cooke, che dovrebbe riprendere e rilanciare in questi mesi il personaggio di Will Eisner. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 24/12/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Dicembre 1908: alla fine del mese arriva in edicola il Corriere dei Piccoli, per decenni il giornalino più famoso e più letto dall’infanzia. Nella prima pagina c’è una storiella di Richard Felton Outcault, papà dei fumetti, con protagonista Buster Brown, un bambino tutto riccioli e merletti, superbo come un piccolo lord, divenuto nella versione italiana un dolciastro Mimmo Mammolo. Nell’ultima pagina, quasi per contrasto fra il mondo dei bianchi ricchi e quello dei neri poveri, c’è un piccolo negretto, con un testone eccessivo su un magrolino corpo nudo. Dispettoso, un po’ monello, istintivo e disobbediente, ne combina di tutti i colori, nel vero senso del termine. Questo piccolo eroe dal nome scattante come un veloce scioglilingua - Bilbolbul - diventa prima rosso di vergogna, per aver bevuto un uovo di struzzo disobbedendo alla mamma, poi giallo d’invidia perché il fratellino mangia una banana destinata a lui, quindi verde di rabbia perchè i compagni di giochi lo prendono in giro, e infine bianco per aver sparato, senza volerlo, un colpo col fucile di papà. Non gli resta che fuggire, ma inciampa e diventa tutto blù per i lividi. Per fortuna un vecchio saggio lo farà ritornare nero, con precise spennelllate di lucido per scarpe. Autore della storiella è Attilio Mussino, disegnatore nato a Torino nel 1878 e morto nel 1954, celebre per aver illustrato, dopo Mazzanti e Chiostri, le avventure di Pinocchio, ma autore anche di decine di tavole con personaggi che se talora risentono di influenze straniere (il suo Schizzo, eterno sognatore, ricorda tanto, forse con minor poesia, i voli onirici di Little Nemo di Winsor McCay), contengono tuttavia una forte carica di originale fantasia. Bilbolbul “nasce” in un momento in cui l’Africa è di moda, un’Africa forse fiabesca, sognata, immaginata, sperata, ricca di luoghi comuni e di tanti negretti che vivono felici nel loro mondo primitivo. In mezzo a questi si muove, fin troppo, Bilbolbul, che se per molti versi ripete situazioni classiche del fumetto moraleggiante di allora, dall’immancabile birichinata alla giusta punizione e alla morale finale, per altri versi si distacca sensibilmente da quel clima, sia nel disegno - realistrico, aspro, talora grottesco - che nell’andamento delle storielle, impregnate d’un umorismo moderno, a tratti anche cattivo, con giochi di parole e siituazioni insolite. La caratteristica di Bilbolbul è di dare immagine concreta alle metafore create da Mussino, con situazioni al limite del paradosso,, scoppiettanti giochi di parole e trovate grafiche originali, che rendono il simpatico negretto non solo realistico e amaro, ma anche divertente, tanto diverso dai floreali Quadratino, Pippotto o Barbacucco di Antonio Rubino, e da tanti altri poersonaggi del Corriere dei Piccoli (da Bonaventura a Marmittone, dal Sor Pampurio a Pier Lambicchi, ecc.) e lo avvicinano a Fortunello e a Maud la Checca di Opper, tutti eroi - italiani e americani - del vecchio Corrierino, vissuto, attraverso molte metamorfosi, fino agli anni Ottanta. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Martedì, 23/12/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Un secolo fa, il 22 dicembre del 1908, nasceva Giovanni Luigi Bonelli, uno dei protagonisti della lunga storia del fumetto italiano, nato praticamente insieme a lui, dato che il Corriere dei Piccoli - il giornalino padre di tutti i fumetti - cominciò a uscire dalla fine di dicembre dello stesso anno. Cresciuto con i libri dei grandi scrittori di avventura di fine Ottocento, da Salgari a Jack London, Giovanni Luigi Bonelli è subito diventato un prolifico autore di racconti, di qualche romanzo e di infinite sceneggiature di fumetti, con temi che spaziavano dal West americano al Medioevo. Gli anni Trenta lo hanno visto fra i massimi protagonisti del fumetto italiano, sia dirigendo giornalini e collane che, soprattutto, scrivendo storie a getto continuo, sempre originali e soprattutto avvincenti. Il suo nome, però, sarebbe rimasto legato a quello di Tex Willer, il ranger protagonista di un ciclo iniziato a fine settembre del 1948, che ormai continua ininterrottamente da 60 anni, con autori nuovi che hanno degnamente sostituito quelli che lo “inventarono”, ovvero Bonelli e Aurelio Galleppini, che ha disegnato centinaia di albi. “Tex - ha detto una volta papà Bonelli - rappresenta la dignità: non spende paroloni su grossi problemi, che molto spesso sono soltanto alibi per non occuparsi di quelli piccoli. La razza, gli indiani, i soprusi di Washington: a Tex interessa il fatto immediato, locale. Insomma, quello che lo tocca è la realtà, il resto sono chiacchiere”. E pensare che all’inizio Tex non ebbe quel successo, spesso addirittura travolgente, conquistato nel corso degli anni. Il personaggio è cresciuto - disse ancora Bonelli - “forse perché lo sentivo sempre più mio, e sempre di più mi identificavo in lui”. Milanese puro sangue, Bonelli nacque tre anni prima del tragico suicidio di Salgari, uno scrittore che avrebbe poi amato tanto e di cui in pratica ne ha raccolto l’eredità. Nel 1941 G. L. Bonelli divenne anche editore, quando rilevò da Mondadori l’Audace, ma era un lavoro forse inadatto al suo spirito libero e anche un po’ anarchico, per cui passò tutte le incombenze editoriali alla moglie Tea (poi affiancata dal figlio Sergio), preferendo continuare a correre con i suoi personaggi lungo le praterie del West, e non solo. Nel 1948, mentre Tex stata nascendo, Tea volle lanciare un nuovo eroe, totalmente diverso da quelli classici della “frontiera”, Occhio Cupo, una sorta di pirata protagonista, nel Canada del Settecento, di grandi avventure contro gli inglesi e i francesi. Per qualche tempo Tex e Occhio Cupo - entrambi di Bonelli e Galep - andarono di pari passo, poi il ranger e i suoi autori imboccarono un’altra strada, quella del successo. Il resto è noto, e per anni Giovanni Luigi Bonelli ha scritto le storie di Tex, e di tanti altri eroi di carta, da Hondo a Kociss, da Yuma Kid a Davy Crockett, ecc., arricchendo il panorama del fumetto italiano e conquistando massicce schiere di lettori. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 21/12/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Vlad Tepes, meglio conosciuto col nome di Dracula, è vissuto in Transilvania fra il 1431 e il 1476, ma il suo sanguinario mito è arrivato fino ai nostri tempi, alimemtato prima dal romanzo di Bram Stoker e poi da innumerevoli film, spesso interpretati da grandi attori come Bela Lugosi, Christopher Lee, Klaus Kinsky, ecc., e da molte versioni a fumetti. Una delle più recenti è quella di Huppen Hermann, un disegnatore nato nel 1938 in Belgio, che si firma solo col nome, Hermann appunto. La storia è ora pubblicata dall’ Eura Editoriale nel numero 100 della sua collana cartonata e a colori Euramaster, che da diversi anni affianca quella più antica degli Euracomics. Sarà poi ancora Hermann ad aprire, a gennaio, la serie del secondo centenario con una storia del tutto diversa, La ragazza di Ipanema, dove i cupi scenari dei castelli di Transilvania sono sostituiti dai solari panorami brasiliani. Hermann è un autore che ama diversificare epoche e personaggi, passando dal western del ciclo di Comanche alla guerra nell’ex Jugoslavia di “Sarajevo Tango”, all’avventura di Jeremiah, e così via. Anche in questo Dracula conferma le sue doti, proponendo una storia originale e al tempo stesso fedele alla realtà storica e alla tradizione che ha fatto dell’antico conte una sorta di tiranno spietato e di vampiro assetato di sangue. Come detto, sono stati molti i disegnatori che negli ultimi decenni del Nocvecento si sono cimentati col mito di Dracula. Ne ricordiamo alcuni. Dopo lo spagnolo Fernando Fernandez, ci hanno provato Guido Crepax con una versione inquietante e Alberto Salinas che ha sottolineato, con qualche forzatura, l’aspetto patriottico (in chiave antiturca) di Vlad Tepes. Originale infine la storia disegnata negli anni Ottanta da uno dei maestri del fumetto sudamericano, Alberto Breccia. Qualche anno dopo l’americano Mike Magnola ha trasferito in quattro albi, pubblicati in Italia dalla Star Comics, la versione cinematografica firmata da Coppola. La leggenda di Dracula ha stimolato anche la fantasia di Robin Wood, vulcanico sceneggiatore, che l’ha inserita, con qualche licenza storica, all’interno della saga infinita di Dago, e nelle inchieste di Martin Hel, dove il feroce personaggio svolge il ruolo di un’evanescente presenza che dà saggi consigli al protagonista. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 21/12/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Sin dai tempi antichi l’apparizione dell’arcobaleno suscitava un senso di sorpresa e di sgomento negli uomini allora incapaci di spiegarsi le ragioni di quella visione. Qualche millennio dopo sarà Martin Mystère a cercare di scoprirne le origini, in una sorta di viaggio nei sette colori dell’iride, in occasione dell’uscita dell’albo numero 300, tutto a colori, realizzato da diversi disegnatori, da Ambrosini a Brindisi, da Freghieri a Roi, a Torti, ecc., che hanno illustrato i testi di Carlo Recagno, che porteranno il celebre investigatore ideato nel 1982 da Alfredo Castelli a compiere quasi un giro del mondo, da New York al Sahara, dall’Irlanda all’Egitto, per individuare i luoghi dove l’arcobaleno nasce e forse si materializza. Il ciclo di Martin Mystère rappresenta uno dei maggiori e più duraturi successi delle edizioni Sergio Bonelli, superato solo dalle pluridecennali collane di Tex, Zagor e Mister No, prematuramente scomparso, e insidiato dall’avanzata di Dylan Dog, in marcia verso il numero 300. Martin Mystère si distacca sensibilmente dai personaggi più tradizionali, sempre a mezza strada tra il West, il mistero e la fantasia, perché unisce all’investigazione e all’avventura un senso di ricerca storica, geografica e culturale, insomma tutta quella curiosità che solitamente Alfredo Castelli riversa nelle sue attività di analisi e di riscoperta del passato, e che ha in parte trasferito nel suo eroe. Nel corso di questi decenni, Martin Mystère ha in pratica effettuato una profonda immersione nel passato, portando alla ribalta antiche civiltà e personaggi storici, rivisitati con occhio critico e forse con una punta di revisionismo, un atteggiamento che suscita la rivolta degli Uomini in Nero, la misteriosa organizzazione che vuole tutelare la verità storica come ci è stata tramandata nel corso dei millenni. Altro agguerrito nemico del nostro eroe è Sergej Orloff, un tempo amico e compagno di studi, nei monasteri tibetani, di Martin Mystère col quale ha appreso i misteri della magia e della filosofia tibetane. Oltre a questi, sono infiniti gli avversari che Martin incontra e sconfigge nelle sue avventure, quasi sempre con l’aiuto di Java, il misterioso uomo di Neanderthal che si esprime con suoni gutturali che solo Martin comprende. Fedele compagna dell’investigatore è Diana Lombard, da tempo sua moglie dopo un classico e lungo fidanzamento, secondo la moda dei fumetti. Da qualche anno la collana bonelliana è divenuta bimestrale e anche i soggetti sono diventati più intriganti, con l’inserimento di personaggi reali come Giovanna d’Arco, il mago Houdini, Caravaggio, perfino Guglielmo Marconi, allargando così l’orizzonte delle avventure, dopo le tante del passato che hanno narrato storie di Atlantide e di re Artù, di Mozart e di Castel del Monte, di zingari e di Pompei, delle piramidi e di Matilde di Canossa, e così via, senza trascurare i tanti “mysteri italiani”, oggetto di un vero e proprio viaggio lungo la Penisola, ben nota a Martin che in gioventù aveva studiato a Firenze. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 21/12/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Guido Crepax, scomparso cinque anni fa, ha disegnato le storie di Valentina per almeno tre decenni, dal 1965 al 1995, quando cominciava a esaurirsi non tanto la fantasia del suo autore, quanto il clima e il momento storico in cui Valentina era nata e vissuta. La fotografa milanese protagonista dei fumetti di Crepax è stata a lungo uno dei personaggi più celebri della nostra letteratura disegnata, per dirla con Hugo Pratt, un altro autore che, al pari di Crepax, ha quasi sempre inventato da sé le storie che disegnava. Ma come Crepax non evitava di saccheggiare ogni tanto i classici della letteratura. I due maestri, veneziani di origine ma poi divenuto uno milanese d’adozione, l’altro (Pratt) cosmopolita e cittadino del mondo, hanno avuto una storia artistica e culturale quasi identica, che si è spesso riversata nei loro fumetti. Sia Valentina che Corto Maltese hanno in pratica attraversato l’intero Novecento, sia pure in epoche diverse, vivendo esperienze importanti e raccontando momenti cruciali di quegli anni, visti con l’occhio un po’ disincantato e ironico di un marinaio giramondo, oppure con l’obiettivo di una macchina fotografica abilmente manovrata da Valentina. L’eroina di Crepax è stata, e rimane, una cronista degli ultimi decenni del secolo scorso, narrati anche attraverso le mode culturali e i richiami delle ideologie del tempo. Corto Maltese invece è stato il classico eroe dell’avventura dei primi decenni del Novecento, coraggioso, curioso, sfrontato, un po’ come è stato in vita lo stesso Pratt. I due massimi autori del fumetto italiano sono scomparsi da tempo, ma il loro ricordo viene alimentato periodicamente da mostre antologiche, come quella ospitata fino al prossimo 1 febbraio alla Triennale di Milano e dedicata a Crepax. La rassegna si intitola “Valentina, la forma del tempo” e permette di ripercorre tutto il tragitto narrativo di questa eroina di carta, e attraverso le sue avventure, anche aspetti significativi degli ultimi decenni del secoloscorso. Crepax con Valentina è stato un preciso cronista, anche grafico, di quegli anni. Ma nello stesso periodo Crepax ha trasferito a fumetti numerosi libri e personaggi, anche importanti, della letteratura mondiale, dal Dottor Jeckill e Mister Hyde a Dracula, dalla Marchesa von O a Giro di vite, dalla Histoire d’O a Justine, fino al suo ultimo lavoro ispirato a Doppio sogno di Schnitzler, che è stato anche il soggetto dell’ultimo film di Kubrick. Ogni tanto Crepax metteva da parte Valentina per cimentarsi in lavori culturalmente più significativi, quasi un tentativo per dimostrare che il fumetto può essere una straordinaria forma di comunicazione, anche elevata. E’ inutile precisare che questa sfida è stata vinta brillantemente. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 5/12/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Ci sono vari modi per raccontare a fumetti una storia realistica. Il più comune è quello di proporla come un fatto quasi vero, o comunque plausibile, come accade per esempio nelle indagini dei carabinieri, protagonisti di Unità speciale, il nuovo mensile dell’Eura Editoriale. Ma si può anche scegliere una dimensione ironica e caricaturale come avviene in Chiara di notte, storie quasi credibili di una simpatica prostituta disegnata da Bernet, ospitata su Skorpio e periodicamente inserita nei cartonati a colori della stessa Eura. Ma si può anche scegliere una dimensione grottesca, con qualche puntata nell’humour noir, come fanno ormai da anni Bartoli e Recchioni, sceneggiatori delle vicende di John Doe, il direttore umano della Trapassati Inc., una singolare azienda celeste che si occupa di regolamentare il ritmo delle morti sul nostro pianeta. Talvolta le nascite superano le morti, e ciò crea uno squilibrio sulla Terra, aumentando i non pochi problemi che già esistono. Per porvi rimedio, entrano in funzione altri personaggi, irreali e forse fantastici ma drammaticamente concreti nel nostro mondo, come Fame, Morte, Guerra e simili, che si scatenano e rimettono in sesto gli equilibri terrestri. L’idea di partenza di questa serie, proposta ogni settimana su Skorpio, e ora inserita nell’ultimo albo della collana dedicata ai Giganti dell’Avventura, è decisamente originale e al di là del taglio che può apparire un po’ macabro o cimiteriale, è anche divertente, dato che gli agili testi di Bartoli e Recchioni sono sostenuti da precisi disegni di molti giovani autori o da quelli, ironicamente grotteschi, di altri maestri, come Rodolfo Torti, che forse meglio di tutti ha saputo calarsi nello spirito della serie, molto apprezzata dai lettori, come dimostra il successo della serie mensile, John Doe appunto, avviata verso il quinto anno di vita. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 29/11/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Per i lettori delle avventure di Tex il nome di Lilith evoca fatalmente la figura della giovane moglie indiana del celebre ranger, troppo presto scomparsa. Ma Lilith è anche il nome - secondo alcune mitologie mediorientali - della prima donna della creazione, compagna di Adamo prima di Eva, oppure, come dicono antiche storie ebraiche, una sorta di pericoloso demone notturno. Insomma una donna da evitare, se possibile, per cui appare un po’ strana la scelta di Luca Enoch – originale scrittore e disegnatore di fumetti, prevalentemente al femminile - di dare questo nome all’eroina della sua nuova miniserie, “Lilith” appunto, che le edizioni Sergio Bonelli hanno appena iniziato a pubblicare, con cadenza semestrale. Dopo Sprayliz, che sfidava l’ordine costituito disegnando sui muri delle città (e quasi anticipando una moda dei nostri giorni) e Gea, che rivisitava in chiave ecologica, e non solo, problemi vecchi e nuovi di questo mondo, ecco Lilith che sale dal sottosuolo per salvare l’umanità, minacciata dalla presenza di un misterioso virus alieno che rischia di distruggere la vita sul pianeta. Il tema è fantascientifico e la storia - come vedremo nei prossimi episodi - diventa occasione per un improbabile viaggio nel tempo e nello spazio, inseguendo i segni che segnalano la presenza di questo misterioso virus letale, noto come il triacanto, ma conosciuto anche sotto altri nomi, da spiromorfo a trifido, a tricuspide, ecc. Nel primo episodio, la protagonista si chiama Lyca e sembra un’ingenua e spaesata fanciulla salita dal sottosuolo in superficie e finita in una realtà troppo complessa per lei. La troviamo infatti immersa nella fase conclusiva della guerra di Troia, nel momento in cui i Greci, costruita quella vera macchina di guerra che era il famoso cavallo, danno l’assalto alle mura della città. Con l’aiuto di una pantera nera con la testa di cane, che lei chiama Scuro, Lyca riesce a individuare e isolare il triacanto, salvando anche alcuni abitanti di Troia, ma scopre anche di essere una donna assetata di sangue e dotata di unghioni pericolosi che la rendono addirittura feroce. Da qui la decisione, che attuerà nel prossimo episodio in uscita a giugno 2009, di adottare il nome di Lilith, che ritiene più adatto al suo carattere sanguinario quanto basta. Ma questo in fondo è solo un dettaglio che rende la protgonista più vicina all’eroina delle antiche leggende. Quello che conta è la sua battaglia contro il male che Luca Enoch racconta con una sceneggiatura che rispetta personaggi e realtà storica e con un disegno realistico e incisivo che fanno di Lilith un fumetto ben costruito, con quel pizzico di cultura quasi sempre presente nelle collane bonelliane. Il che non guasta, visto che ogni tanto c’è chi accusa ancora i fumetti di essere strumento di incultura. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 29/11/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Alla fine di novembre del 1938 usciva il trentesimo e ultimo numero di “Pinocchio”, uno dei tanti settimanali editi negli anni Trenta dall’editore fiorentino Nerbini, sulla scia del successo riportato anni prima dall’Avventuroso e dagli eroi di carta importati dagli Stati Uniti. Al momento della chiusura, Pinocchio aveva una tiratura che era scesa a 80 mila copie dalle 200 mila iniziali, numeri che oggi farebbero felici quasi tutti gli editori italiani. Ma a quel tempo i ragazzi non avevano altri svaghi: poco cinema, niente televisione, e neppure i videogiochi e altre diavolerie moderne. Si rifugiavano nella fantasia, con l’aiuto dei fumetti che permettevano di fare straordinari viaggi, spesso con l’aiuto proprio di Pinocchio. Il popolare burattino, disegnato da Giorgio Scudellari, faceva in pratica il giro del mondo, passando dalla Cina alla Luna, dall’Alaska alla Mecca, oppure si dedicava a mille mestieri, per esempio ferroviere, boxeur, esploratore, pescatore di perle, e via così. Erano storielle in fondo ingenue, venate di facile umorismo e poco avventurose, decisamente insufficienti per reggere il confronto con quelle dei fumetti americani, per cui Pinocchio chiuse dopo 30 numeri, in pratica ripetendo lo stesso percorso fatto un anno prima da un altro settimanale con lo stesso titolo, pubblicato dalla SAEV di Lotario Vecchi, un altro padre del fumetto italiano, vissuto per 32 numeri, fra il maggio del 1937 e il gennaio successivo, malgrado la buona volontà e la bravura di Carlo Cossio che disegnava le storie del burattino collodiano. Pinocchio era apparso su un periodico a fumetti, il cattolico “Giornaletto”, già nel 1910 in un racconto illustrato di Rina Bottero, che lo aveva spedito addirittura all’inferno, dove avrebbe incontrato e rimproverato i gestori di sale cinematografiche, colpevoli di presentare, per sete di guadagno, “spettacoli indecenti e moralmente turpi”. Il regime fascista s’impadronì poi del burattino, trasformandolo negli anni Venti e Trenta in un convinto balilla, pronto a picchiare col manganello i comunisti cattivi. Come ricorda “Pinocchio in camicia nera”, un volume edito da Nerosubianco di Cuneo, molti racconti - alcuni disegnati anche da Giove Toppi - vennero pubblicati da Nerbini e ovviamente avevano un chiaro taglio propagandistico per sfruttare al meglio (ma probabilmente senza riuscirvi) la popolarità di Pinocchio fra i giovani lettori. In un’ottica totalmente diversa, Pinocchio è stato usato nei primi anni Cinquanta anche da alcuni ambienti democristiani in una campagna elettorale. Qui Pinocchio era il simbolo dell’italiano incerto fra le lusinghe degli estremisti di destra e di sinistra. Il racconto di Collodi viene ricalcato alla lettera, con vari personaggi disegnati come i protagonisti della politica di quei giorni: così il Gatto e la Volpe hanno i volti di Nenni e Togliatti, mentre Mangiafuoco è naturalmente Stalin, già dipinto sui giornalini degli anni Trenta come “l’Orco Rosso del Kremlino”, scritto con la K per dare un senso di malvagità, e ovviamente la Fatina dai capelli turchini è la DC, protettiva e materna, come una vera mamma che difende gli italiani dalle insidie degli estremisti. Come si vede, nel corso degli anni Pinocchio è stato spesso maldestramente strumentalizzato, ma il simpatico burattino ha superato brillantemente questi ostacoli, continuando a proporre, oggi come ieri, le sue pillole di saggezza e di umanità. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 19/11/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il 18 novembre del 1928 il cartone animato acquistò la voce e il primo eroe a parlare fu naturalmente Mickey Mouse, il popolare Topolino, protagonista di “Steamboat Willie” (Willie del vapore), terzo cortometraggio disneiano di una serie infinita iniziata appunto nel 1928. In quell’anno infatti Walt Disney realizzò - con l’apporto decisivo di Ub Iwerks - il primo cortometraggio di Topolino, “Plane crazy” (L’aereo folle), ispirato alla trasvolata atlantica di Lindbergh, e subito dopo “Gallopin’ Gaucho” (Un gaucho al galoppo), bonaria parodia dei film di Douglas Fairbanks. Passarono entrambi inosservati. Il successo arrivò invece con “Steamboat Willie”, una vicenda che ricordava le comiche di Buster Keaton. Il ritmo della storia, la vivacità del racconto, l’originalità del disegno, e anche la perfezione tecnica colpirono critica e pubblico. I giudizi furono tutti positivi, come quello del New York Times che scrisse: “E’ un lavoro geniale, ricco di umorismo. Ne vengono fuori ringhii, uggiolii, squittii e tanti altri divertenti rumori che ne arricchiscono l’effetto comico”. In realtà la lavorazione non fu semplice, e la sincronizzazione della parte sonora con l’azione che scorreva sullo schermo avvenne con il decisivo contributo di Carl Stalling, un musicista vecchio amico di Disney fin dai tempi degli esordi a Kansas City, che curò la colonna musicale, mentre lo stesso Disney prestò la sua voce a Topolino, Minnie e a un pappagallo che gridava: “Un uomo in mare, un uomo in mare”. Il buon esito di Steamboat Willie ripagò Walt Disney delle delusioni dei due primi tentativi, che vennero subito riproposti in versione sonora, ma soprattutto segnò l’inizio di un ininterrotto successo, nato dalla collaborazione fra Ub Iwerks, il disegnatore che sfornava ogni giorno una quantità prodigiosa di disegni, Carl Stalling, che accompagnava le avventure di Topolino con musiche piacevoli e orecchiabili, e lo stesso Disney che controllava i disegni di Iwerks e preparava le pellicole. Ma la collaborazione non sarebbe durata a lungo, perché all’inizio del 1930 Ub Iwerks - che intanto aveva disegnato le prime strisce del Topolino per i quotidiani - lasciò Disney per mettersi in proprio. Uno dei motivi che affrettarono la rottura di un lungo rapporto di lavoro e di un’amicizia antica, fu nel 1929 la realizzazione di un cortometraggio suggerito a Disney da Stalling, “La danza degli scheletri”, uno scherzo macabro da commentare musicalmente con “La marcia dei nani”di Grieg. La lavorazione, con un Disney entusiasta e un Iwerks che tollerava sempre meno l’invadenza e il controllo dell’amico e datore di lavoro, fu punteggiata da contrasti che sfociarono nell’inevitabile divorzio. Ma ormai Disney s’era incamminato sulla strada dei grossi successi, e poteva proseguire da solo. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 16/11/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Con un finale un po’ melodrammatico ma molto plausibile si è conclusa la miniserie di Volto Nascosto, edita da un coraggioso Sergio Bonelli che ha abbandonato i temi classici dell’avventura per imboccare una strada del tutto nuova, quella della storia italiana, in particolare il periodo dell’avventura coloniale nell’Etiopia fine Ottocento. Il successo della miniserie è dovuto in gran parte a Gianfranco Manfredi, autore del ciclo di Magico Vento e di molti romanzi a sfondo storico, e non solo. Manfredi ha saputo mescolare alla perfezione personaggi di fantasia, come i tre protagonisti e il misterioso eroe dal volto celato da una maschera d’argento, con i tanti altri tratti dalla realtà storica di quel periodo, da Menelik e la regina Taitù ai tanti generali che hanno portato alla sbaraglio, per ambizione o inettitudine, mezzo esercito italiano. Il controverso amore di Matilde, divisa fra il contino Vittorio, ambizioso ufficiale a caccia di facile gloria, e il borghese Ugo, realisticamente con i piedi ben saldi a terra, ha fatto da sfondo all’impresa coloniale, che Manfredi ha narrato con indubbia capacità, mescolando abilmente fantasia e realtà, e che i disegnatori di casa Bonelli hanno rappresentato in modo suggestivo. Quello narrato in Volto Nascosto – ha spiegato Gianfranco Manfredi – è stato un dramma corale intrecciato nel travaglio dei singoli dove eroismi e delitti incoffessabili, grandezza, meschinità e passioni si mescolano e si scontrano sempre. La storia nel corso dei 14 episodi ha proposto atmosfere noir, delitti, fantasmi, sogni, incubi e visioni, con personaggi nei quali erano talvolta presenti in egual misura il male e il bene. Non c’è stato il classico lieto fine delle favole (o forse sì…) anche perché nella realtà quell’avventura coloniale non è stata rosea, e la conclusione aperta lascia forse uno spiraglio per una possibile prosecuzione della vicenda di Ugo. In ogni caso, come detto, il ciclo di Volto Nascosto ha dimostrato che la nostra storia può fornire validi e stimolanti spunti al fumetto italiano. Sarebbe, per esempio, interessante e anche espressivamente efficace narrare l’epoca del brigantaggio esploso nel Mezzogiorno dopo l’unità d’Italia, un fenomeno mai studiato a fondo, in ambienti e situazioni che possono anche ricordare il vecchio West. Un filone narrato in qualche vecchio film, forse in pochi romanzi e praticamente inedito nei fumetti, ma probabilmente in grado di suscitare interesse e curiosità in quanti hanno seguito Volto Nascosto. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 12/11/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Giovannino Guareschi è nato un secolo fa ed è morto dopo 60 anni di vita intensa, quasi sempre controcorrente. La duplice ricorrenza ha permesso di ricordarlo in varie occasioni, con ristampe dei suoi libri, con le solite repliche dei vecchi film con Peppone e Don Camillo, e con qualche mostra rievocativa, come quella che si aprirà il prossimo 29 novembre a Brescia, dedicata agli anni del Bertoldo, il celebre foglio umoristico vissuto tra il 1936 e la fine della guerra, che fu una vera palestra per giornalisti, vignettisti, scrittori satirici e futuri cineasti. Nel 1936 c’era il regime e soprattutto c’era poco da ridere. Eppure, sfogliando adesso le pagine di quel vecchio giornale, ci accorgiamo che, malgrado tutto, c’era chi aveva voglia di ridere e di far divertire gli italiani. Certo non c’era la satira cattiva dei giorni nostri, che era tollerata solo se colpiva i comunisti, gli inglesi e i nemici del regime. C’era invece un umorismo rarefatto, talvolta surreale, con storielle e vignette strampalate, un genere in cui primeggiava appunto Guareschi, che sul Bertoldo si cimentò anche come disegnatore di ingenue storielle a fumetti dedicate a un’improbabile famiglia Brambilla ed altri protagonisti egualmente sconclusionati. Oltre che nella rassegna bresciana, Guareschi viene ricordato in questi giorni con un illustratissimo volume, edito da Rizzoli e dedicato alla sua attività grafica, che rccoglie oltre 300 vignette, alcune anche inedite, che il giornalista emiliano ha disegnato dal 1925 al 1968, anno della sua morte. Molte accusano il peso degli anni e della polemica politica di quel periodo, tantissime non sono “politicamente corrette” e non condivisibili, ma non c’è dubbio che altre conservano ancora una valenza e altre sono oggettivamente divertenti, come quelle sui comunisti “trinariciuti”, geniale invenzione di Guareschi per indicare che i militanti del PCI con la terza narice respiravano l’aria di Mosca e naturalmente accettavano con un’ obbedienza pronta, cieca e assoluta, quanto era scritto sull’Unità, refusi compresi. Col passar degli anni Guareschi si è impegnato politicamente, pur mantenendo il suo ruolo di “bastian contrario” e l’asprezza della polemica ha viziato e forse inaridito la sua vena di corrosivo umorista. [Carlo Scaringi] [Click qui per una serie di immagini tratte dal Candido]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 8/11/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Quarant'anni fa, nei giorni a cavallo di Halloween -festa popolare negli Stati Uniti ma allora quasi sconosciuta in Italia - Lucca ospitava una delle prime edizioni del Salone dei Comics, manifestazione che ancora sopravvive dopo aver cambiato nome e pelle, nel senso che ha perduto molti dei suoi caratteri culturali per acquistarne altri più commerciali e ludici. La Lucca di allora era pirotecnica, con mostre di originali e antiquariato editoriale, incontri con autori ed editori, proiezioni cinematografiche e tanti collezionisti a caccia di rarità. Tra i molti eventi di quell’anno ci fu anche il debutto di Franco Bonvicini, un giovane disegnatore emiliano che sarebbe diventato famoso col nome di Bonvi, che da poco aveva iniziato a pubblicare su un quotidiano romano una striscia umoristica venata da ironia. I protagonisti erano tranquilli soldatini tedeschi e arroganti ufficiali nazisti che Bonvi tentò coraggiosamente di rendere simpatici, benchè gli anni della guerra non fossero molto lontani, con i loro drammatici ricordi. Ma secondo Bonvi bastava sostituire le divise dei protagonisti con gli abiti del capufficio, dell’insegnante, del poliziotto e così via per accorgersi che l’obiettivo della sua satira era l’arroganza del potere, uguale in tutto il mondo, in divisa o in borghese. Bonvi ha raccontato le divertenti e spesso pungenti imprese del suo esercito per 25 anni, fino al dicembre del 1995, quando il solito pirata della strada lo travolse e uccise a Bologna. Poi sulle Sturmtruppen e su Bonvi è calato il silenzio, interrotto solo da isolate ristampe che ne hanno alimentato il ricordo. Ma adesso qualcosa si sta muovendo e grazie al lavoro di vecchi amici e collaboratori di Bonvi è stato possibile riordinare tutto il suo ricco archivio di originali, fatto non solo dalle strisce delle Sturmtruppen, ma anche dalle storie di Nick Carter, Cattivik e altre meno note. Ne è uscito un grande patrimonio che adesso la Magazzini Salani ha iniziato a pubblicare in ordine cronologico. Dopo i due primi volumi usciti qualche mese fa, ne sono in arrivo altri due, oltre al secondo cofanetto, con dvd, dedicato al Nick Carter che Bonvi e Guido De Maria inventarono per il Supergulp televisivo. Un po’ per volta, quindi, torneranno alla luce tutti i personaggi di Bonvi, compresi quelli apocalittici che aveva inserito nelle Storie dallo spazio profondo, cronache di un ipotetico dopobomba, realizzate insieme a Francesco Guccini non ancora celebre, o in Apriti Sesamo, la vera storia di Alì Babà e i quaranta ladroni che Bonvi aveva disegnato per i suoi bambini piccoli. Ma non finisce qui, perché c’è anche il progetto di una serie televisiva delle Sturmtruppen e forse di un lungometraggio d'animazione. Siamo nel regno delle ipotesi e dei sogni, che potranno realizzarsi solo se le ristampe adesso in libreria avranno successo. E dovrebbero averlo, perché le Sturmtruppen avevano già conquistato e divertito i lettori di tutto il mondo. “Pensa - ci disse una volta Bonvi - ho venduto due copie perfino nel Suriname, neppure Moravia c’era riuscito…”. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 31/10/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi In edicola già da alcuni mesi, l’ultima novità dell’Eura Editoriale, Unità speciale propone originali storie uscite dalla fantasia della scrittrice Cinzia Tani e di Massimo Gugliemi, regista di film, e affidate alla bravura di alcuni fra i più interessanti disegnatori della stessa casa editrice. Il protagonista è l’ufficiale Raffaele Ranieri, un coraggioso carabiniere che con altri compagni fa parte di una unità speciale particolarmente addestrata nella lotta contro la criminalità organizzata, non solo in Italia. Il varo di questa collana ci aveva fatto sperare che finalmente il nostro fumetto avrebbe scoperto, raccontato e rappresentato visivamente, la realtà del nostro Paese che anche sotto il profilo della criminalità è piuttosto nera. Invece, a giudicare dagli albi usciti e da quelli in arrivo (il 31 ottobre quello intitolato “Sotto la cupola di Manhattan, e un mese dopo un altro ancora ambientato a New York e dintorni) ci sembra che gli autori preferiscano imitare, sia pure nel migliore dei modi, romanzi e telefilm polizieschi, americani soprattutto, piuttosto che dare uno sguardo all’interno del nostro belpaese, quanto mai ricco di spunti stimolanti. Intendiamoci, le storie di Unità speciale sono ben costruite, coinvolgenti, anche per l’attenzione che viene dedicata al lavoro dei carabinieri, impegnati come le altre forze dell’ordine, a combattere la criminalità in Italia e all’estero. Ma dopo i primi episodi – utili per conoscere i caratteri dei vari componenti del gruppo – gli scenari sono cambiati radicalmente, passando dalla Sicilia all’America Latina, poi all’inquieto Medio Oriente e infine agli Stati Uniti dove sono ambientati i prossimi episodi che vedranno il protagonista - nome in codice Ombra - affrontare il mondo del crimine americano, infiltrandosi anche all’interno di qualche pericolosa banda di trafficanti di droga, di mafiosi, di criminali vari. La globalizzazione ha fatto cadere le barriere e reso il mondo più piccolo, favorendo anche le ramificazioni internazionali della criminalità organizzata, e quindi non c’è da stupirsi se ardimentosi carabinieri lavorano nelle metropoli di mezzo mondo come se fossero nel loro Paese. Ma come ci avevano mostrato il ciclo del Commissario Spada di Gianni De Luca o i telefilm del Maresciallo Rocca o di Don Matteo, è possibile costruire belle storie ambientandole in Italia, addirittura in provincia. Il maresciallo Rocca continua a vivere nei racconti disegnati sul mensile dell’Arma, Il Carabiniere, in attesa forse di un ritorno in TV. Intanto, qualche mese fa, si è incontrato con Don Matteo, che in televisione ha il volto di Terence Hill, ben noto ai lettori di fumetti per essere stato un credibile Lucky Luke televisivo. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 25/10/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Se Tex e Kit Carson sono i personaggi più noti, e più longevi, del fumetto italiano, il primo eroe di carta è stata una graziosa ragazza pellerossa, una squaw di nome Ulceda, figlia del gran capo Falco Rosso, protagonista di una lunga avventura disegnata da Guido Moroni Celsi (1885 - 1962) e pubblicata sui Tre Porcellini dal 6 giugno 1935. A quella data, infatti, si fa risalire la nascita del western all’italiana, e del fumetto d’avventura in genere. Un filone praticamente importato in Italia dall'Avventuroso, che dall’ottobre 1934 cominciò a pubblicare le prime storie di Flash Gordon, dell'Agente X-9 e altri eroi americani. Prima di allora in Italia i fumetti erano essenzialmente umoristici, riservati principalmente ai bambini, come le storielle del Corriere dei Piccoli o quelle di Topolino e compagnia. E’ uno spartiacque, questo, che viene preso in esame da Antonio Faeti, studioso e appassionato di fumetti, che ha raccolto in un volume (La freccia di Ulceda, Coniglio ed.) gli articoli da lui scritti su vari quotidiani e riviste specializzate. Riletti adesso tutti insieme questi piccoli saggi offrono l'occasione per ripercorre l'intera storia del fumetto, con qualche lacuna e molte curiosità, reincontrando celebri eroi di carta, da Topolino a Kinowa, dal Principe Valentino a Valentina, da Dylan Dog al Signor Bonaventura, ma anche i loro autori, entrati quasi tutti, seppure talora in modo diverso, nella piccola storia del fumetto, soprattutto italiano. Dalle pagine di Faeti emergono allora autori come Crepax e Lavezzolo, Pratt e Tofano, Sclavi e Bonelli padre e figlio, Galleppini, Bilal, Mattotti e tanti altri, insomma tutti coloro che in decenni di lavoro hanno fatto crescere soprattutto il fumetto italiano. Contro quanti ancor oggi si ostinano a negare valore culturale e artistico al fumetto, Faeti replica - con la sua esperienza e la sua lunga attività di insegnante - che ormai "il fumetto ha conquistato un territorio dove altri modi di narrare non possono entrare" soprattutto perché quasi mai questi generi riescono a fornire le sensazioni che suscita l’incontro fra un testo scritto e il disegno, come fa appunto il fumetto. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 17/10/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi All’inizio del Novecento il tasso di analfabetismo in Italia era piuttosto alto e la frequenza scolastica tutt'altro che elevata. Eppure l’editoria per ragazzi attraversava un momento felice, forse per il successo di Pinocchio e altre favole. I libri erano sostanzialmente dimessi, con copertine quasi anonime e poche illustrazioni, ben differenti da quelli dei nostri giorni, cartonati, plastificati e di grande formato, ricchi di immagini spesso catturate al cinema. Un secolo fa c'erano in Italia grandi disegnatori come Chiostri o Mazzanti che illustrarono con fantasia e un pizzico di realismo Pinocchio e altri romanzi. Il trascorrere del tempo e la diffusione di altri passatempi non hanno tuttavia inaridito questa scuola, per cui ancor oggi, in Italia come nel resto del mondo, sono numerosi i bravi disegnatori che illustrano i libri per i ragazzi, come dimostra da 26 anni la rassegna di Sarmede, un paesino presso Treviso, che dal 19 ottobre al 21 dicembre ospiterà oltre 300 tavole realizzate da 39 disegnatori di una ventina di Paesi di tutti i continenti. Quest'anno la rassegna è dedicata ai Canti del ghiaccio, ovvero alle fiabe delle regioni artiche, un mondo quasi leggendario, popolato di ombre bianche, di folletti, di maghi e fate, in parte estraneo alla nostra tradizione, e forse per questo più interessante. L'ospite della rassegna è un tedesco d’origine slava, Ivan Gantschev, che realizza poetici disegni ad acquarello, nei quali riversa luminosità, trasparenza, leggerezza, trasformando le sue tavole in piccoli e suggestivi capolavori. Per me, ha detto, il mondo è fantastico e non vorrei mai cessare di dipingerlo. Accanto alla rassegna principale, Sarmede ospita anche una mostra dedicata agli illustratori fiamminghi e una serie di eventi collaterali e laboratori per coinvolgere gli studenti della scuola dell’obbligo, che potranno così scoprire il lato fantastico e poetico dell’illustrazione manuale, senz'altro differente da quella precisa, colorata, forse anche perfetta e quasi asettica realizzata col computer o ricavata dai fotogrammi di qualche film. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 11/10/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Quella che state per leggere è una “noterella di uno dei mille”, con la m minuscola, perché i garibaldini – le cui imprese da Quarto al Volturno sono state raccontate a suo tempo da Giuseppe Cesare Abba nell’omonimo libro – non c’entrano affatto. I mille in questione, poco più o poco meno, sono tutti coloro che in maniera professionale si occupano di fumetti, ovvero sceneggiatori, disegnatori, critici, ecc. Ebbene in questo piccolo gruppo si è registrata recentemente una vera e propria epidemia, provocata dalla Sindrome di Guillain Barrè, un malanno che i medici chiamano col solito parolone difficile, forse per complicare tutto, di "poliradicolonevrite". In parole povere, è una malattia che provoca la paralisi pressocchè totale dei nervi e dei muscoli, che costringe il malcapitato all’immobilismo più assoluto, nei casi migliori per qualche mese, negli altri (e sono la maggioranza) per due o tre anni. E’ una malattia che secondo le statistiche colpisce un individuo ogni 100 mila abitanti, per cui in Italia i malati di questa sindrome saranno più o meno 600. Di questi almeno quattro gravitano nell’universo delle nuvolette, con una percentuale insolita e inquietante che trasforma la Guillain Barrè quasi in una malattia professionale. Tra i colpiti figurano Alfredo Castelli, il papà di Martin Mystère e tanti altri eroi di carta, che ne ha parlato sull’ultimo numero di MM tuttora in edicola, e chi scrive, oltre ad altri due che non sveliamo. Tra i tanti malanni che colpiscono l’umanità, questo non è certo il più terribile, ma è senz’altro fastidioso, anche se la guarigione è praticamente sicura. L’unica medicina si chiama, come ci diceva un medico, “pazienza, pazienza, pazienza, e poi ancora pazienza”, il tutto unito a una massiccia dose di esercizi di fisioterapia. Chi scrive convive con la sindrome dall’agosto del 2006, ma ha praticamente perso il primo anno per complicazioni varie, compresa una lunga permanenza in rianimazione, che hanno prima bloccato e poi rallentato la ripresa. Per uscirne bisogna esere ottimisti, senza mai abbandonarsi al pessimismo, e in questo è stata di grande aiuto la lettura dei fumetti, da quelli di Bonelli a quelli dell’Eura e di altri editori, nonché il dialogo pressocchè quotidiano con un medico grande collezionista di Tex, Dylan Dog, Nathan Never ecc. e con i fisioterapisti, attenti lettori di molti albi bonelliani, ma forse un po’ meno di Tex, considerato un mito, quasi da maneggiare con cautela. Dopo qualche mese di fatica quotidiana, il malcapitato riesce a muovere le mani e le braccia, a reggere un cucchiaio, a manovrare il telecomando della TV, magari anche a mangiare da solo, prima di spostare appena le gambe e infine stare in piedi e fare un po’ di passi, aggrappato al deambulatore e al fisioterapista. Questo è un passo avanti, che forse prelude a una svolta decisiva, anche se la strada è ancora lunga. Il BVZM nella sua confessione pubblica considera l’origine della malattia decisamente misteriosa e azzarda l’ipotesi che lo stesso presidente Roosevelt ne fosse stato colpito: ma settant’anni fa non se ne sapeva nulla e fu curato solo per un attacco di poliomielite. In tempi più recenti altro malato illustre è stato Joseph Heller, lo scrittore americano autore di Comma 22, un romanzo sul mondo dei militari, che ha poi narrato la sua esperienza in un libro, C’è poco da ridere, pieno di humour. Come detto, la causa scatenante della sindrome di Guillain Barrè è sconosciuta. I fumettari addetti ai lavori azzardano le ipotesi più fantasiose, come quella di invisibili germi nascosti nella carta o nell’inchiostro dei vecchi fumetti, che escono alla ribalta e attaccano chi li disturba. Forse Castelli da questa e altre esperienze potrebbe trarre lo spunto per un’indagine di Dylan Dog o di Martin Mystère, che potrebbe fare una capatina all’interno della misteriosa base di Altrove e scoprire che da quei laboratori segreti è fuggito qualche virus che aggredisce i fumettari. Dove non è ancora giunta la ricerca medica, arriverà forse la fantasia di chi vive fra le …. nuvolette? [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 3/10/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Nella letteratura gialla le donne poliziotto sono piuttosto rare, anche se recentemente si sono moltiplicati romanzi e autrici che affidano ruoli di primo piano a investigatrici in gonnella. Lo stesso è avvenuto nel mondo dei fumetti, tradizionalmente ancora più maschilista. Ma dall’ottobre del 1998 le edizioni di Sergio Bonelli pubblicano gli albi di Julia, un personaggio creato da Giancarlo Berardi, che gode ottima salute e festeggia in questi giorni i suoi primi dieci anni, un traguardo significativo per una collana che si distacca notevolmente dal mondo avventuroso e maschile dei mensili bonelliani. Berardi è uno dei più bravi sceneggiatori italiani, ed è un appassionato di cinema che per Julia si è ricordato dei suoi primi amori infantili, dando alla sua eroina non solo le caratteristiche e la faccia un po’ sbarazzina e talora enigmatica di Audrey Hepburn, ma anche il suo fisico longilineo e forse anche spigoloso, nonché la sua eleganza. Le storie di Julia sono state realizzate da molti bravi disegnatori, che ne hanno sempre conservato i caratteri e lo stile. Julia si muove solitamente a Garden City, cittadina di provincia forse non lontana da New York, insegna criminologia all’università, e aiuta come consulente la Procura e gli agenti della polizia locale. Con la stessa forza d’animo con cui ha superato le difficoltà della vita (ha perso i genitori in tenera età, ha una sorella fotomodella spesso alle prese con la droga, e una nonna anziana ricoverata in un ospizio), Julia affronta il suo lavoro, e i criminali, se non col sorriso sulle labbra, certo con un senso di rabbia verso quanto di brutto la società le pone davanti. Ama suonare il pianoforte, detesta le armi (meglio quando occorre la sua borsetta con dentro un portacenere d’alabastro da scagliare contro i nemici), rifiuta la violenza e preferisce incalzare i banditi con la logica dei suoi ragionamenti, perché crede più nell’efficacia delle parole che nei colpi di pistola. Nelle oltre 120 indagini in cui è stata coinvolta (alla collana mensile vanno aggiunti gli almanacchi e gli speciali), Julia è venuta in contatto con tutto il male del mondo: banditi da strapazzo, mariti gelosi, affaristi e truffatori, poveri scippatori e ricchi malvagi e spietati che i vari disegnatori hanno raffigurato con realismo. Insomma si può dire che la serie di Julia, depurata della parte fantastica, è un preciso ritratto della realtà odierna. Anche se è sempre indaffarata, Julia ha una piccola vita privata: è single, ma non disdegna il corteggiamento, che può essere quello disinteressato di Leo, un investigatore privato che ogni tanto l’aiuta, o quello più convincente di Webb, un tenente quarantenne che segretamente l’ama, ma timido e titubante. A casa l’aspettano Emily, governante nera che sembra uscita da Via col vento, e Toni, una gattona dispettosa e giocherellona che svolge le funzioni di un antidepressivo. Julia infine ha un pessimo rapporto con la tecnologia: detesta i cellulari e si ostina a non cambiare la sua vecchia auto, che ogni tanto la lascia per strada. Ma, al di là di questo, è una donna moderna, perfettamente inserita nella società e amata da tutti, soprattutto dai lettori. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 28/9/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi I fumetti in Italia sono arrivati, salvo qualche sporadica apparizione precedente, alla fine del dicembre 1908 quando uscì il Corriere dei Piccoli che accanto a personaggi e tavole di disegnatori italiani ospitava alcuni famosi fumetti americani come Buster Brown o Happy Hooligan, diventati Mimmo Mammolo e Fortunello e privati delle tradizionali nuvolette. Ma prima del Corrierino, su cui torneremo fra qualche tempo, era nato il Giornalino della Domenica, a opera del giornalista Luigi Bertelli, meglio noto come Vamba, prolifico scrittore per ragazzi. Il Giornalino apparve nel giugno del 1906 a Firenze, città ricca di fermenti culturali, sfociati in varie iniziative editoriali spesso rivolte al pubblico dei lettori più giovani o a quello in qualche modo politicizzato che l’editore Mario Nerbini aiutava a crescere pubblicando l’Avanti della Domenica o i grandi romanzi dell’Ottocento russo e francese. Il Giornalino della Domenica s’inseriva nel già ricco panorama di pubblicazioni per l’infanzia, come il Giornale per i fanciulli e altre, ma aveva un taglio culturale decisamente medio-alto. Non c’erano praticamente fumetti, ma abbondavano i disegni che illustravano testi di alcuni fra i maggiori scrittori italiani, da Edmondo De Amicis a Grazia Deledda, da Giovanni Pascoli a Matilde Serao, realizzati da alcuni fra i migliori disegnatori italiani, come Filiberto Scarpelli, Umberto Brunelleschi, Antonio Rubino o, negli anni Venti, come Aleardo Terzi, Bruno Angoletta, futuro padre di Marmittone, o Sergio Tofano, attore di prosa e creatore del Signor Bonaventura e altri fumetti. Da questo elenco di illustri collaboratori, senz’altro incompleto, si comprende subito lo spessore culturale di questo periodico, vissuto fino al 1927, superando spesso varie difficoltà economiche, perché il Corriere dei Piccoli, che aveva alle spalle l’editore del Corriere della Sera, si dimostrò subito un pericoloso concorrente. Ma il Giornalino della Domenica, che per tutto il mese di ottobre verrà ricordato con una grande mostra antologica allestita a Palazzo Saraceni a Bologna nei saloni della locale Cassa di Risparmio, ha avuto il merito di aver in seguito favorito la nascita di tutti quei giornalini per ragazzi, e implicitamente del fumetto italiano, e di aver aperto le sue pagine alla poesia, alla fantasia, all’avventura, ma anche al grottesco e realistico umorismo del Giornalino di Gian Burrasca, un capolavoro della letteratura per ragazzi, pubblicato a puntate sul periodico fiorentino, arricchito dai precisi e ironici disegni dello stesso autore, Vamba. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 24/9/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Da oltre vent’anni il nome di Tiziano Sclavi viene invariabilmemte avvicinato a quello di Dylan Dog perché l’indagatore dell’incubo è stato, e rimane, il suo personaggio più riuscito. Ma l’attività di scrittore e sceneggiatore di fumetti di Sclavi è iniziata molto prima, a metà degli anni Settanta quando, spesso insieme ad Alfredo Castelli, ha iniziato a collaborare col Corriere dei Piccoli, poi con quello dei Ragazzi come si sarebbe chiamato dopo, e altre riviste e periodici di fumetti. In quel periodo, prima di approdare alle edizioni Bonelli nel 1981, ha inventato almeno una dozzina di personaggi, tutti originali ma anche spesso troppo presto dimenticati. Alcuni hanno superato brillantemente la barriera del tempo, e vengono ricordati ancor oggi, come la coppia di stralunati detectives che si chiamano Altai e Jonson, che fanno del loro... peggio in una San Francisco non sempre riconoscibile, o come Silas Finn, poco eroico personaggio di un West selvaggio di tanti decenni fa. Entrambi i cicli sono stati disegnati da Giorgio Cavazzano che ha arricchito gli ironici e disincantati testi di Sclavi con il suo stile venato di umorismo. Nel 1983, mentre già sceneggiava alcuni albi di Ken Parker, Zagor, Mister No e altri personaggi bonelliani, Sclavi ha ideato Kerry Scott, inserito nelle ultime pagine delle ristampe del Comandante Mark. Scott era un trapper che nel West ottocentesco andava alla ricerca del padre misteriosamente scomparso. Non sarebbe stato un compito facile perché Scott s’imbatteva quasi sempre in ogni sorta di nemici. Oltre a quelli tradizionali come pellerossa o fuorilegge, il trapper doveva combattere contro avversari insoliti e pericolosi, come zombi viventi, misteri strani, nemici invisibili e incubi di ogni genere, insomma contro tutti quei nemici che qualche anno dopo avrebbero reso la vita difficile a Dylan Dog, al punto che possiamo dire che le storie di Kerry Scott siano state una sorta di prova generale per la nascita di Dylan Dog. Il ciclo di Kerry Scott - disegnato principalmente dall’aretino Mario Bianchini e dai fratelli abruzzesi Domenico e Stefano Di Vitto - è stato ora raccolto in un volume dalle edizioni BD, che permette di gustare questa piccola saga western in parte dimenticata, e di scoprire i pur labili punti di contatto esistenti tra Scott e l’indagatore dell’incubo, compreso l’umorismo sempre presente nei lavori di Sclavi, anche quando è assente Groucho. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 19/9/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Alla fine di settembre del 1948 apparve nelle edicole un albetto a striscia con un personaggio che sarebbe entrato nella storia del fumetto. Appena 32 pagine e un centinaio di strisce con situazioni e personaggi che avvincevano subito i giovani lettori. Era nato Tex Willer, il ranger più famoso del West e un eroe mitico entrato ormai nella storia del costume e dell’immaginario collettivo. Eppure all’inizio il suo cammino non era stato facile, sia perché la concorrenza era notevole, sia perchè su Tex (e sulla maggioranza degli eroi di carta) cadevano gli strali di genitori, insegnanti e della stessa Chiesa che aveva inserito il celebre ranger tra i personaggi negativi. Adesso, sessant’anni dopo, l’Osservatore Romano ha dedicato due intere pagine proprio a Tex, sottolineandone gli aspetti positivi come il senso della giustizia, l’onestà, l’antirazzismo e tutti gli altri che i lettori ben conoscono e apprezzano da decenni. Tex è nato dal felice incontro fra un romanziere dalla fantasia fervida come Giovanni Luigi Bonelli e un disegnatore come Aurelio Galleppini che da almeno una dozzina di anni cercava il personaggio della sua vita. Insieme hanno realizzato decine di storie fra le più belle del fumetto italiano, con personaggi ormai scolpiti nel ricordo di milioni di lettori come il brontolone Kit Carson, il giovane e volenteroso Kit, figlio di Tex o il silenzioso pellerossa Tiger Jack: un gruppo di inseparabili amici che da decenni galloppano lungo tutto il West e dintorni. Non mancano ovviamente i cattivi, fatalmente sconfitti da Tex e compagni, nemici implacabili di fuorilegge, trafficanti di ogni genere, speculatori, politici corrotti e qualche volta anche dei pellerossa, soprattutto quelli che si mettono contro i Navajos, la tribù che Tex sente anche come propria perché ha sposato Lilith, la figlia di un capo, prematuramente morta, uccisa da un’epidemia scatenata da loschi trafficanti. Molti nemici non hanno un’identità ben precisa, e pagano con la vita la loro esistenza malavitosa. Altri invece sembrano invincibili come Mefisto, e a volte ritornano, quasi per dare una continuità a una saga infinita com’è quella di Tex. Ma tutti sono sempre la personificazione del Male e con la loro presenza accrescono il valore di Tex e compagni, strenui paladini di giustizia e libertà. I sessant’anni di Tex sono ricordati in questi giorni dalle edizioni di Sergio Bonelli con un numero speciale della collana mensile, tutto a colori, cui è allegato un romanzo scritto da papà Bonelli nei primi anni Cinquanta, Il massacro di Goldena, pubblicato in un introvabile albo con una mezza dozzina di tavole di Galleppini. Nel 1969 Giovanni Luigi Bonelli ne fece una versione a fumetti, apparsa sui numeri 108 e 109 della collana mensile con il titolo Territorio Apache, e disegnata da Giovanni Ticci allora alle prime esperienze, o quasi. La sua riproposta, a circa mezzo secolo di distanza, vuole essere un duplice omaggio sia dei sessant’anni di Tex che del centenario di papà Bonelli, nato alla fine di dicembre del 1908. Un modo per ricordare due miti del fumetto italiano che sono entrati ormai nella piccola storia delle nuvole parlanti. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 13/9/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il Sessantotto era ormai lontano, ma la sua influenza si è fatta sentire per tutto il decennio successivo, e oltre, sia nella violenza delle lotte sindacali che nella drammatica stagione del terrorismo. All’eredità del Sessantotto appartiene anche la nascita di molti giornali satirici che rinnovavano, con maggior cattiveria, il ricco filone dell’editoria italiana. In questo clima nacquero e crebbero, prima di scomparire troppo rapidamente, vari periodici, dal Male a Ca Balà, dal Cannibale a Frigidaire, tutti arrabbiati quanto basta ma anche spesso velleitari, con le loro crociate contro tutto e tutti. Intorno al Male e a Frigidaire si raccolsero i migliori autori satirici di quel periodo, spesso perseguitati dalla magistratura e dal buon gusto, ma anche efficaci con le loro pirotecniche trovate e denunce. All’esperienza di Frigidaire - vissuto nel primo periodo degli anni Ottanta - Vincenzo Sparagna, animatore di quel gruppo, dedica un interessante volume antologico, pieno di ricordi e testimonianze, edito da Rizzoli, ma anche ricco di nostalgia e forse di rimpianti per quel periodo. Il giornale era un tipico foglio di battaglia, che non trascurava la cultura ospitando scritti di Burroughs, di Boris Vian o Raymond Chandler, ma privilegiava la satira velenosa disegnata da giovani autori pieni di talento e di rabbia. C’erano Andrea Pazienza e Tanino Liberatore, Stefano Tamburini e Filippo Scozzari, Massimo Mattioli e altri. Con le loro vignette o con storie un po’ sconclusionate portavano avanti una battaglia quasi inutile quanto generosa. La società, la macchina del potere o semplicemente il disinteresse dei lettori hanno portato Frigidaire e i suoi compagni d’avventura all’estinzione. Ma il ricordo di quella stagione allora ricca di ideali non si è spento, come il ricordo di Rankxerox, singolare robot umanoide ideato da Tamburini, Liberatore e Pazienza, che è entrato nella piccola storia del fumetto, quasi anticipando la nascita di quell’ originale filone cinematografico fantascientifico che ha avuto in Blade Runner e Terminator i suoi capostipiti. Frigidaire era un impasto di rabbia e di rivolta, di insofferenza alla retorica, spesso era anche violento e scatenato, ma non ha mai trascurato la realtà in cui era immerso. Sulle sue pagine, ricorda Sparagna, si è parlato di Filippine e Brasile, di Sud Africa e Napoli, di Sicilia e India, di dominatori e dominati, di ribelli e di martiri, di mafiosi e di poeti. E questo è, in fondo, il suo merito maggiore. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 11/9/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi La sconfitta di Caporetto sul finire del 1917 aveva provocato nelle truppe e nel Paese un senso di scoramento, quasi di dolore. Ma la reazione fu rapida e positiva e la vittoria del 1918 fu il logico coronamento di una risposta corale di tutti gli italiani, da quelli che combattevano al fronte a quelli che in tutta la Penisola non fecero mancare il loro sostegno ai fratelli in armi. Un aiuto, quasi esclusivamente morale, arrivò anche da un giornaletto della Terza Armata che per tutto l’arco del 1918 accompagnò la riscossa italiana. Si chiamava La Tradotta, dal nome dei treni che portavano i soldati al fronte. Ne uscirono solo 25 numeri, più qualche supplemento, dal 21 marzo 1918 all’aprile dell’anno seguente. Era realizzato da un gruppo di uomini in divisa, qualcuno già famoso come gli illustratori Enrico Sacchetti che disegnò tutte le copertine, e Umberto Brunelleschi, o il disegnatore Antonio Rubino che già lavorava al Corriere dei Piccoli. Altri lo sarebbero diventati, come Renato Simoni, poi drammaturgo e critico teatrale, o Arnaldo Fraccaroli, poi giornalista. La Tradotta comprendeva 8 pagine a colori, alcune con tavole e storielle a fumetti, altre dedicate a filastrocche, articoli e interventi di varia umanità che dovevano rendere meno dura la vita in trincea. Si parlava naturalmente del nemico, illustrando per esempio usi e costumi dei tedeschi, sbrigativamente definiti Unni, o i danni che provocava la “fabbrica dei tedescotti” che sfornava a ripetizione nemici pronti alla guerra. Non mancavano ovviamente le rievocazioni, un po’ malinconiche, di mamme, fidanzate, mogli e parenti vari, sempre presenti nei ricordi dei fanti in trincea. Spesso c’erano anche immagini di belle ragazze, come quelle di Trieste, immortalate in una celebre canzone. La loro presenza serviva a rendere meno dura la vita in trincea. In uno dei primi numeri del 1919 fu pubblicato un paginone con un calendario. Disegnato da Rubino, al posto delle ragazze poco vestite dei calendari di oggi, presentava vari momenti della vita del fante. Spesso i paginoni, che sembravano anticipare q uelli di Jacovitti, erano dedicati in modo caricaturale ad alcuni episodi della guerra, soprattutto quelli negativi per il nemico. Quella era la dimensione satirica di una guerra che la Tradotta ha raccontato con realismo e senza retorica, e che, con una piccola manciata di ottimismo, soprattutto nelle storielle disegnate, ha forse reso meno dura e faticosa. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 11/9/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Di personaggi in divisa militare, quasi sempre aitanti e coraggiosi aviatori, i fumetti sono pieni, soprattutto quelli apparsi tra il secondo conflitto mondiale e la guerra fredda. Eroi di carta come Steve Canyon o Johnny Hazard hanno combattutto e vinto infinite battaglie contro i sovietici e i nemici degli Stati Uniti, in storie senz’altro avvincenti, ma anche non prive di una sottile propaganda atlantica. Più rari sono invece i fumetti che narrano la vita militare in modo umoristico e ironico. C’è stato, in anni lontani, il mitico Marmittone, che era l’opposto del milite fascista, virile, coraggioso e sprezzante del pericolo. C’era in quelle storielle disegnate da Bruno Angoletta una lieve critica ai miti del regime, che poi scompariva di fronte alle situazioni umoristiche e ai pasticci che provocava Marmittone, decisamente negato per la vita militare. Una vita invece che ben si adatta a Beetle Bailey, prototipo del soldato americano ideato da Mort Walker negli anni Cinquanta. Più che una satira, queste strisce propongono soprattutto momenti comici, con una sottile presa in giro degli ufficiali che spesso rendono difficile la vita a Beetle Bailey e ai suoi compagni. La satira, ogni tanto anche cattiva, è invece presente nelle avventure delle Sturmtruppen, soldatini nazisti finiti in un ingranaggio che sembra quasi stritolarli. Ma questi anonimi eroi sanno anche sopravvivere, trovando la forza per sconfiggere l’arroganza dei loro comandanti. Ci riescono con l’ironia che Bonvi - il disegnatore emiliano scomparso ancora giovane una dozzina di anni fa, e che ha appunto inventato le Sturmtruppen - ha riversato nei suoi piccoli eroi apparsi per la prima volta alla vigilia del Salone dei Comics di Lucca, nell’autunno del 1968. Tra i meriti del Sessantotto si può senz’altro inserire quello di aver fatto nascere i soldatini di Bonvi, perché quella che le Sturmtruppen combattono non è una guerra contro un ipotetico nemico esterno, ma è la guerra contro il potere, l’arroganza, la prepotenza dei capi e talora anche contro la loro inettitudine. E’ la guerra dello studente contro il professore, dell’impiegato contro il capufficio, del malato contro la malasanità, e così via. E’ una guerra che le Sturmtruppen combattono col sorriso (o il ghigno) sulle labbra, e che tutti noi combattiamo con la rabbia in corpo, forse perché abbiamo perduto quella dose di rassegnata ironia che permetteva ai soldatini di Bonvi di sopravvivere, malgrado tutto. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 30/8/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Le cavalcate, gli inseguimenti, gli agguati, le sparatorie, le scazzottate che ovviamente punteggiano ogni episodio di Tex, Kinowa e altri eroi non sempre costituiscono il nucleo essenziale del racconto, che invece spesso ruota intorno a molteplici elementi che finiscono per rendere quasi unici e inimitabili gli eroi di un West all’italiana nato in anni ormai lontani e vissuto, sia pure attraverso numerose trasformazioni, sino ai nostri giorni. Certo i personaggi classici della Frontiera – cow boys, fuorilegge, pellerossa, soldati, trafficanti e avventurieri di ogni risma – si ritrovano quasi in tutti gli albi pubblicati in tanti decenni. Ma di tanto in tanto questo mondo antico si è un po’ rinnovato, non solo negli scenari quanto nei protagonisti, alcuni dei quali si sono sensibilmente distaccati dagli schemi consueti. Una prima novità, in questa direzione, è giunta nel 1961 con l’arrivo di Zagor, il personaggio più longevo e più popolare ideato da Sergio Bonelli e disegnato da Gallieno Ferri. Zagor è forse un eroe insolito del West, vive nella foresta di Darkwood e combatte contro tutti i consueti nemici che popolano quel mondo lontano. Forse ricorda un po' Tarzan perché vola da una liana all’altra e lancia richiami con grida belluine, e un po' Phantom, soprattutto per il costume dai vivi colori. Utilizza con estrema precisione un tomawahk preistorico e ha in Cico – un messicano grassottello ed eternamente affamato – un inseparabile e magari ingombrante compagno di avventura. Seppure collocate nel West, le avventure di Zagor spaziano per tutto il mondo, con incursioni anche nell'horror o nel passato. Il che dà all’intero ciclo un taglio senz'altro insolito e indubbiamente originale. Un personaggio per molti aspetti nuovo è stato anche Ken Parker, il cow boy crepuscolare ideato nel 1977 da Giancarlo Berardi e disegnato da Ivo Milazzo. E’ una sorta di Tex senza retorica, ammesso che il ranger sia un personaggio retorico, vissuto a lungo in una propria collana, ma inserito anche all’interno delle riviste contenitore degli anni Ottanta. Il West di Ken Parker - pacifista, amico degli indiani, nemico dei prepotenti, insomma un uomo giusto - è diverso da quello spesso oleografico rappresentato in molti fumetti e film, ma probabilmente molto più credibile e forse reale. Nello stesso periodo di Ken Parker sono apparsi, su settimanali molto diversi fra loro come il Giornalino o Lanciostory e Skorpio, anche le storie di Larry Yuma, praticamente il debutto dello sceneggiatore Claudio Nizzi (oggi l’erede di papà Bonelli per le storie di Tex), con disegni di Carlo Boscarato, e quelle di Paolo Eleuteri Serpieri che sulle riviste dell’Eura Editoriale, e altre, ci ha dato forse le pagine migliori di un West dove uomini e donne, pellerossa e bianchi, militari e fuorilegge, bufali e serpenti, vivono avventure impastate di realismo, di coraggio e di vigliaccheria in racconti che aiutano alla perfezione a scoprire, riscoprire e soprattutto amare il vero volto del West, proprio come aveva fatto Rino Albertarelli con la collana dei Protagonisti, dieci biografie di altrettanti personaggi della Frontiera, da Custer a Geronimo, a Toro Seduto, oppure Gino D’Antonio e altri validi autori nella Storia del West, 75 albi bonelliani, una vera enciclopedia, preziosa per conoscere meglio il vecchio West. Negli ultimi anni il filone si è un po’ inaridito, alimentato solo dalla presenza di Magico Vento, singolare personaggio amato dagli indiani e mal sopportato dai bianchi che gli rimproverano il suo passato di militare. Lo scrittore Gianfranco Manfredi ne ha fatto un personaggio intrigante e interessante, con storie ricche di risvolti anche misteriosi (Magico Vento è considerato dai Sioux uno sciamano), ma sempre profondamente inserito nella realtà storica di fine Ottocento, con molte figure di contorno ben tratteggiate, a cominciare dal giornalista amico di Magico Vento, che tutti chiamano Edgar Allan Poe, perché assomiglia al celebre scrittore. Carlo Scaringi 4. - Fine. Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 9/8/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Gli anni Cinquanta videro una serie infinita di collane, quasi tutte a striscia e purtroppo dalla vita breve, con molti personaggi usciti dalla fantasia di G. L. Bonelli, che talvolta si firmava anche con pseudonimi americani come B. O’Nelly. Sono tutti figli di papà Bonelli i Tre Bill, con disegni di Benvenuti e D’Amy, Yuma Kid disegnato da Uggeri e Muzzi, Rio Kid, realizzato anch’esso da D’Amy, o El Kid (poca fantasia nei nomi) affidato a veri maestri del fumetto come Battaglia, Callegari e D’Antonio. Ci furono anche alcuni protagonisti del fumetto americano importati in Italia, come Casey Ruggles di Warren Tufts, trasformato in Red Carson, lo sceriffo di ferro, con disegni integrati da Mario Uggeri e Leone Cimpellin, o il Buffalo Bill di Fred Meagher, riadattato da papà Bonelli e ritoccato da Galeppini. La grande stagione del West all’italiana durò almeno un decennio, fra il 1948 e l’inizio degli anni Sessanta. Come detto, quasi tutti gli eroi di quel periodo sono scomparsi prematuramente, ma qualche altro è vissuto più a lungo, con storie collegate a un West meno tradizionale e talora spostato anche al Settecento, quando gli Stati Uniti stavano faticosamente nascendo. E’ il caso di Capitan Miki e del Grande Blek. Il primo in particolare riscosse notevole successo perché quando arrivò, nel 1951, era in pieno svolgimento la grande stagione dei piccoli eroi, come il Piccolo Sceriffo cui Miki era forse ispirato. C’erano adolescenti di ogni tipo, tutti coraggiosi e generosi, come il Piccolo Cow boy o Piccola Freccia, come i Piccoli Lupi o il Piccolo Sergente e altri ancora, forse un po’ ripetitivi, ma Capitan Miki – un orfanello adottato dai ranger del Nevada – aveva qualcosa in più, per esempio una coppia di spalle comiche come Salasso e Doppio Ruhm o una fidanzatina come Susy che l’aspettava trepidante, come accadeva sempre in tutti i fumetti d’avventura. Capitan Miki e il Grande Blek furono i capolavori di quel terzetto torinese che si nascondeva dietro la sigla della EsseGesse, e che comprendeva Giovanni Sinchetto, Dario Guzzon e Pietro Sartoris che nel 1950 avevano praticamente esordito con la lunga saga di Kinowa, uno dei più affascinanti eroi western ideato da Andrea Lavezzolo, forse violento per l’epoca, che ruota intorno alla vicenda di uno scampato a un massacro indiano. L’uomo dedicherà la sua esistenza a combattere contro i pellerossa, prima di scoprire che suo figlio, fortunatamente scampato alla strage, era stato allevato proprio dai suoi nemici e ora con il nome di Silver Jack lottava contro i bianchi. In questa storia di Kinowa, come in tante altre dello stesso Lavezzolo o in quelle di Bonelli, c’è un forte spessore umano, che spesso trasforma questi eroi di carta in protagonisti quasi reali e credibili, facendo forse cadere in secondo piano l’aspetto avventuroso. Carlo Scaringi – 3. continua. Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 7/8/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Alla fine di settembre del 1948 arriva nelle edicole un albetto a striscia con un personaggio destinato a entrare nella storia del fumetto italiano, Tex Willer di Giovanni Luigi Bonelli e disegnato da Aurelio Galleppini. Il successo non fu immediato, anche per la concorrenza di decine di albi e personaggi che invadevano le edicole, quasi tutti prematuramente e ingiustamente scomparsi. L’elenco è lungo e forzatamente incompleto, perché è impossibile citare l’intero esercito di cow boys, pellerossa, sceriffi, fuorilegge, ecc. che avevano invaso la Penisola. Molti dei protagonisti di allora non sono stati dimenticati, e la loro storia punteggia il lungo, affascinante e originale cammino del West all’italiana. Forse il più famoso di quel periodo è stato Pecos Bill, un cow boy dal nome affascinante popolare in Italia ma del tutto sconosciuto oltre Atlantico. Tra il 1949 e gli anni seguenti, Pecos Bill è stato il classico eroe del West, imbattibile nel maneggiare il lazo, generoso, coraggioso, spavaldo quanto basta, e in fondo anche elegante nel suo look da frontiera, con disegno affidato ad alcuni dei migliori autori di quegli anni come Dami, Battaglia, Paparella, De Vita, D’Antonio, ecc., che diedero un taglio realistico e avventuroso all’eroe ideato da Guido Martina, forse più conosciuto come autore dell’Inferno di Topolino e altre storie disneiane. Per qualche tempo Pecos Bill diede del filo da torcere a Tex e respinse validamente l’assalto non solo del ranger di Bonelli e Galep, ma anche di altri eroi del West come Kinowa, Kansas Kid, Rocky Rider e del fortunato, ma anche rimpianto ciclo di Mani in alto vissuto un anno scarso, fra l’aprile del 1949 e il marzo successivo. Appena 48 numeri scritti e disegnati da Rinaldo Dami che aveva americanizzato il nome in Roy D’Amy, accentuando così quelle caratteristiche,che lo rendevano, anche fisicamente, più simile a un americano che a un italiano. Un inglese parlato perfettamemte e appreso in prigionia durante la guerra, camicie a scacchi, jeans e una grande passione fumetto americano (Milton Caniff e compagnia) avevano trasformato Rinaldo Dami in un autore che forse aveva il difetto di essere in anticipo sui tempi, come il ciclo di Mani in alto dal taglio forse troppo grottesco. I tempi di quell’epoca erano invece più adatti a personaggi e avventure tradizionali, come quelle di Kansas Kid, per esempio, disegnate da Carlo Cossio su testi di Angelo Saccarello, oppure a storie che avevano per protagonisti ragazzi e adolescenti, dagli italianissimi Sciuscià all’americano Piccolo Sceriffo, ideato da Tiziano Torelli e disegnato da Camillo Zuffi, capostipite di una lunga serie di eroi giovanissimi fra cui spiccano il Piccolo Ranger e il ciclo di Un ragazzo nel Far West, arrivato forse in ritardo, nel 1958, ma significativo perché fu il primo personaggio ideato da Sergio Bonelli che poi, impegnato nella casa editrice e in altri eroi nascenti come Zagor, lo passò al padre. Carlo Scaringi (2. continua).Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Martedì, 5/8/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Non è un anniversario importante, ma indubbiamente i 70 numeri dei Giganti dell’avventura - una delle tante collane monografiche dell’Eura Editoriale - costituiscono una tappa significativa sul percorso di questa casa editrice, sempre attenta al fumetto di qualità. Il numero 70 coincide con un nuovo volumetto dedicato alle avventure del Cosacco, uno dei tanti personaggi ideati in decenni di attività da Robin Wood, senz’altro uno dei maggiori sceneggiatori di comics. Chi crede nei segni del destino, può pensare che questo scrittore fosse predestinato dalla nascita al suo lavoro. E’ infatti nato nel 1944 a Nuova Australia, una sorta di colonia fondata nelle foreste del Paraguay da alcuni australiani di origine irlandese. Una volta cresciuto, Wood si è trasferito a Buenos Aires e poi ha cominciato a girare il mondo, vivendo tra Australia ed Europa e scrivendo sempre storie fantastiche con personaggi indimenticabili, da Nippur - il primo di una serie infinita - a Dago, forse quello più completo e riuscito. In mezzo tanti altri eroi di carta, come Martin Hel e Savarese, come Gilgamesh e Amanda, come Mojado e Helena, e via continuando. Tra questi anche il Cosacco, protagonista di un’avventura in moltissimi episodi, presenza quasi fissa prima nei settimanali dell’Eura e ora nei Giganti dell’avventura. La storia, ambientata tra ghiacci e steppe e collocata negli anni dell’impero zarista, è quanto mai ricca di momenti emozionanti con inseguimenti, duelli, scontri all’arma bianca, molta violenza e un po’ d’amore, con donne appassionate ma talora anche vittime della crudeltà degli uomini e della guerra. Sacha Veblin, il protagonista, è un picaro, forse troppo attaccabrighe ma in fondo umano e generoso. La lunga storia è stata disegnata dall’argentino Alberto (Carlos) Casalla che i lettori di Lanciostory hanno scoperto giusto trent’anni fa, in una storia, Perdido, un po’ malinconica ma non priva di risvolti umoristici. Il tratto di Casalla è quanto mai espressivo, ma nelle sue tavole abbonda il nero che ne rende difficile la colorazione. Forse è per questo che il Cosacco non ha trovato posto nei cartonati mensili, non certo per l’efficacia della trama o del disegno. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 1/8/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il mondo del Far West ha sempre esercitato un grande fascino sull’immaginario collettivo, soprattutto in autori distanti da quel mondo migliaia di chilometri e separati anche da qualche decennio. All’inizio del Novecento c’era stato Emilio Salgari con i suoi romanzi di scotennatrici e capi pellerossa. Negli anni Trenta, e ancor più dopo la seconda guerra mondiale, gli autori di fumetti ci avrebbero reso quanto mai familiare l’universo della Frontiera, con storie sempre inserite in scenari reali, come quella di Ulceda, disegnata nel 1935 da Guido Moroni Celsi sul settimanale I tre porcellini, o le avventure di Kit Carson, forse il più celebre eroe del West dopo Tex, ideato da Rino Albertarelli nel 1937 e ripreso, con poche varianti, due anni dopo da Federico Pedrocchi e Walter Molino. Nel dopoguerra il mondo del West divenne subito un aspetto del più vasto mito americano, che sarebbe stato in parte alla base della nuova cultura italiana. Sull’Asso di Picche – il mitico settimanale fondato nella Venezia del 1946 da Hugo Pratt, Mario Faustinelli, Alberto Ongaro e altri giovani di molte speranze – Pratt inventò, fra l’altro, il ciclo di Indian River. Praticamente nello stesso periodo un coraggioso editore genovese, Fernando De Leo, insieme a Giovanni Luigi Bonelli pubblicò Il Cow Boy, un settimanale tutto dedicato al mondo del West e dintorni, con molte storie sceneggiate dallo stesso Bonelli, fra cui Big Bill con disegni di Albertarelli. Altre storie western compaiono negli stessi anni sul settimanale Salgari, tratte quasi sempre dai romanzi dello scrittore veronese, ricordato soprattutto per i suoi corsari di vario colore e i tigrotti di Sandokan, ma autore anche di cicli ambientati nel Far West, trasferiti a fumetti già negli anni Trenta (oltre a Ulceda, anche Alle frontiere del West e La Scotennatrice, entrambi con disegni di Albertarelli, furono pubblicati dall’Audace e da Topolino). Siamo ormai alla vigilia della nascita di Tex che segnerà una vera svolta nell’editoria dei fumetti, nel senso che col personaggio di Bonelli e Galleppini si moltiplicano gli eroi western, molti dei quali vissuti per poche stagioni, seppure in maniera autonoma e non più inseriti all’interno dei classici giornaletti settimanali. Con l’arrivo degli anni Cinquanta infatti si sviluppano gli albi e le collane monografiche. Lo stesso Intrepido si trasforma da giornale in albo quasi tascabile, ma prima di cambiare pelle, fa in tempo a ospitare la lunga serie di Bufalo Bill di Luigi Grecchi e Carlo Cossio, dedicata a un eroe del vecchio West che ha sempre colpito l’immaginazione dei lettori per la sua avventurosa esistenza. Un episodio della sua vita lo ritroviamo, infatti, a metà degli anni Cinquanta, anche sul Pioniere, in una storia scritta dal giornalista Paolo Bracaglia e disegnata da C. Onesti, autore, questi, di Aquila Bianca, una storia ambientata tra i pellerossa, una delle poche con una protagonista femminile, pubblicata sempre dallo stesso settimanale. [Carlo Scaringi] - 1. continua. Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Martedì, 29/7/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi In due viene meglio, come c’insegna il mondo dello spettacolo quanto mai ricco di esempi celebri, da Gianni e Pinotto a Stanlio e Ollio, o quello dei fumetti con la famosa coppia formata da Tim Tyler e Spud Slavins, conosciuti in Italia col nome un po’ toscaneggiante di Cino e Franco, dato loro dall’editore Nerbini che a metà degli anni Trenta l’importò sui suoi giornalini. Ma Tim e Spud - orfani dei genitori ma figli di Lyman Young, un pubblicitario di Chicago che disegnandoli fece la sua fortuna - giravano il mondo dei fumetti già dall’agosto del 1928. Divennero famosi nel 1932 quando i due giovani, impiegati presso una compagnia aerea, finirono in Africa. Nel continente nero, allora di moda anche in Italia, si arruolano sotto la bandiera del re della giungla, e cominciano a vivere straordinarie avventure, prima nel regno di Loana (una bella regina di duemila anni fa, eternamente ringiovanita da un fuoco magico e vivificatore) e poi un po’ in tutto il continente che percorrono nella Pattuglia dell’Avorio, una sorta di legione straniera con compiti soprattutto ecologici. Con loro c’è Fang, una pantera nera docile come un gatto, ma pur sempre sensibile al fascino della giungla. Queste prime storie africane sono tutte di grande qualità, sia per l’intreccio avventuroso che per il disegno, nonchè per l’immagine che offrono di un mondo allora di moda anche in Italia che stava per imbarcarsi nell’ennesima avventura coloniale. Forse non è esagerato affermare che Cino e Franco arrivarono, per il regime fascista, al momento opportuno perché contribuirono a formare quel “clima africano” necessario per partire col piede giusto per l’Etiopia. Ma quelli erano i tempi e queste storie vanno lette come una testimonianza dell’epoca, ombrate di paternalismo colonialista e con un’atmosfera non certo rivoluzionaria che si avverte in tutti i comportamenti di Cino e Franco, che non dimenticano mai di essere americani e patriottici, al punto che quando esplode il secondo conflitto mondiale si arruolano in Marina, nella guardia costiera, per combattere contro sabotatori e spie naziste. Nell’Africa orfana dei due baldi giovani, arriveranno ben presto tanti altri ragazzi, italiani ovviamente, come Mario e Furio, Gino e Piero, Dario e Sandro, Gino e Gianni, disegnati da bravi autori italiani, da Albertarelli a Caprioli, da Galleppini a Giove Toppi, tutti protagonisti di improbabili imprese eroiche. Non mancherà anche un Cino e Franco apocrifo, con i nostri eroi trasformati in due ragazzi finlandesi in lotta contro i russi. Cino e Franco torneranno in Africa nel 1947, ma ormai il colonialismo è in crisi e l’esotismo di una volta è andato perduto. Cino e Franco sembrano quasi due annoiate guide per turisti in cerca di facili emozioni, anziché due intrepidi boys-scout che dieci anni prima avevano fatto sognare l’Africa ai ragazzi di mezzo mondo. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 24/7/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Quando nel giugno del 1938 arrivò Superman, gli Stati Uniti cominciavano ad avvertire il pericolo nazista e trovarono in quel primo supereroe quasi un aiuto inconscio per sconfiggere le loro già concrete paure. Altri appoggi sarebbero poi giunti da altri supereroi nei primi anni Quaranta, da Capitan America a Wonder Woman, quasi tutti impegnati nella guerra contro i nazisti. Quel filone si esaurì presto e i supereroi sarebbero tornati solo all’inizio degli anni Sessanta. In origine questi eroi di carta erano individui comuni, poi trasformati in mostri, quasi sempre buoni, da pericolose radiazioni. Erano gli anni della guerra fredda e gli americani cercavano di nuovo aiuti straordinari contro pericoli inattesi, come i missili a Cuba. Anche questo filone si sarebbe presto esaurito, in buona parte per la nascente concorrenza dei videogiochi e dei manga giapponesi, anche se molti personaggi sono rimasti nella storia del fumetto, come Spiderman, Hulk, i Fantastici quattro, Ironman, ecc. Le ricorrenti paure degli americani, accresciute dopo la tragedia dell’11 settembre, hanno adesso trovato nel cinema uno strumento per esorcizzarle. Al di là dell’aspetto commerciale e spettacolare, non c’è dubbio che i film dedicati ai supereroi aiutino gli americani a dimenticare, almeno in parte, le paure legate al terrorismo. Ecco quindi i molti film, quasi tutti di successo per l’abbondanza di effetti speciali, che da qualche anno invadono gli schermi. Dopo i cicli dedicati a Spiderman, a Superman, a Batman, ecco quelli ispirati all’incredibile Hulk, ancora a Batman (la sesta pellicola di questa serie infinita è in arrivo in questi giorni), al glaciale Thor della mitologia scandinava, ai Fantastici quattro, a Capitan America e via continuando, pescando a piene mani e quasi sempre a colpo sicuro nel ricco catalogo della Marvel, la casa editrice madre di tutti i supereroi ideati da Stan Lee. Il filone è praticamente inesauribile, e non finirà tanto presto, almeno finchè, rifugiandosi nel mondo immaginario dei supereroi, gli americani penseranno di scacciare i loro timori del futuro. La ricetta ha funzionato nel passato, e forse conserva ancora le sue qualità taumaturgiche. Quindi andiamo a vedere questi film, divertendoci con le improbabili imprese dei nostri eroi di carta, e dimenticando, se possibile, i problemi di tutti i giorni, soprattutto le paure che ci rendono difficile la vita. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 19/7/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Hugo Pratt è stato il massimo interprete del fumetto italiano, un autore degno di stare accanto ai più grandi disegnatori del mondo come Alex Raymond o Milton Caniff o, sul versante umoristico, come Carl Barks o Charles Schulz. Ma Pratt è stato anche l’inventore di quella forma di letteratura disegnata che ha avuto in Will Eisner il massimo esponente. La saga di Corto Maltese è in effetti un vero e proprio romanzo, in decine di puntate, con infiniti protagonisti, alcuni frutto della fantasia dell’autore e altri ricavati dalla storia e dalla cultura del Novecento come l’inquietante Rasputin o lo scrittore Jack London. Tutto il mondo di Corto Maltese e di Pratt ruota infatti intorno al Novecento, richiamato ed evocato attraverso i romanzi di grandi scrittori, da Stevenson a Conrad, a Melville che in pratica hanno fornito a Pratt e a Corto Maltese l’humus per crescere. Non ha per nulla torto, quindi, Gianni Brunoro – studioso e storico del fumetto - quando collega le radici del famoso marinaio alle letture, ai ricordi, alle suggestioni fornite a Pratt dai grandi romanzieri di fine Ottocento. Brunoro ha esposto questa tesi in un ampio e profondo saggio apparso a metà degli anni Ottanta, “Corto come un romanzo” adesso riproposto dalla Lizard Edizioni in una versione più completa, più ricca dal punto di vista iconografico e sempre utile e stimolante per entrare nell’universo immaginario e grafico di un autore unico e inarrivabile come Pratt. Tra il suo autore e il personaggio che l’ha reso celebre ci sono molti punti di contatto, a partire dalla nostalgia per Venezia, la magica città amata, sognata, persa, ritrovata, che Pratt e Corto ponevano in cima ai loro sogni di individui giramondo, cittadini del mondo. Nell’eterno vagabondare di Corto Maltese per mari e continenti si ritrova sempre quel desiderio di libertà, di nuove scoperte, di orizzonti sconfinati che ha caratterizzato l’intera esistenza di Pratt, che il disegnatore ha poi trasferito nelle vicende del suo eroe, facendone un personaggio credibile e umano, al di là delle inevitabili esagerazioni. Se in Corto Maltese Pratt ha spesso raccontato se stesso, i suoi sogni, le sue speranze, le sue delusioni, in altri personaggi disegnati nella sua carriera, molti dei quali ideati da Oesterheld, Pratt ha dato corpo a quel senso di giustizia, di libertà, di pacifismo che ha sempre ispirato la sua vita. Nel Sergente Kirk - un western un po’ fuori dai canoni tradizionali - o negli anonimi soldati del ciclo di Ernie Pike - storie di guerra contro la guerra - Pratt ha proposto sempre personaggi umani, mai violenti e spesso vittime incolpevoli. Anche in Corto Maltese, malgrado tutto, non c’è violenza, perché Pratt ha profondamente amato la pace, la fraternità, gli uomini in una visione forse utopica di quel mondo sognato dal suo celebre marinaio. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 16/7/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Per molti i fumetti sono tuttora considerati una forma di lettura evasiva, quasi una fuga dalla realtà. Molto spesso invece, soprattutto negli albi delle edizioni Bonelli, all’interno delle storie si scoprono interessanti riferimenti a fatti e personaggi del nostro tempo, anche in quelle vicende – western, per esempio – che appaiono lontane anni luce dal nostro mondo. Un esempio illuminante ci è stato offerto dalla prima parte dell’avventura di Magico Vento che Gianfranco Manfredi ha racchiuso in due puntate. La conclusione avverrà nell’albo “L’ultimo spettacolo” in uscita a metà luglio che vedrà fra l’altro l’ennesimo scontro fra il protagonista e il suo nemico numero uno, quell’ostinato e losco affarista Howard Hogan, arricchitosi costruendo intere città lungo il tracciato delle ferrovie, sempre sconfitto, almeno in apparenza. Nell’albo in cui si racconta l’inizio di quest’ultima avventura, Manfredi ha messo molta carne al fuoco, proponendo una serie di spunti che sembrano uscire dall’attualità dei nostri giorni. Il titolo dell’albo, uscito a metà maggio, è “Show boat” e racconta il viaggio di avvicinamento che compiono, seguendo tragitti differenti, sia Magico Vento che il suo amico Poe verso Saint Louis, scenario delle ultime imprese di Hogan. Poe, che lavora per la Pinkerton, scopre che gli investigatori seguono un nuovo metodo di indagine, quelle delle intercettazioni telefoniche, nemmeno fossero nell’Italia del Duemila. Magico Vento invece si confronta con altre piaghe del nostro tempo, dalla tratta delle ragazze alla schiavitù, condannata da alcune Chiese progressiste e difesa a spada tratta da altre, quelle legate agli ambienti conservatori appena sconfitti dalla guerra di secessione. Sono temi che fanno parte del dibattito sociopolitico del nostro tempo e che nel fumetto vengono affrontati con serenità, quasi a sottolineare come anche una storia totalmente di fantasia possa offrire spunti per riflessioni non marginali. Dietro il razzismo c’è il problema difficile dell’integrazione, come per esempio scopre anche Norma, l’attrice amica di Magico Vento che vorrebbe affidare a un pastore protestante e nero il ruolo di Otello, scontrandosi subito con le ira dei benpensanti. E’ un’altra piccola annotazione, proposta all’interno di una vicenda romanzesca, quasi per ribadire quel legame che ormai unisce quasi sempre il fumetto alla realtà. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 9/7/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il successo che riportano ormai da anni quei telefilm dedicati alle indagini investigative di poliziotti e carabinieri non poteva che portare, come è appena avvenuto, alla nascita anche di un filone di fumetti che in qualche modo vogliono rinnovare il successo di personaggi e situazioni già popolari nella dimensione televisiva. Ovviamente siamo ben lontani da beniamini del pubblico televisivo come il maresciallo Rocca o lo stesso don Matteo, e di molti altri cicli un po’ casarecci, che sono anche una finestra aperta sul nostro mondo, criminalità compresa. In questa ottica va salutato con attenzione e interesse l’arrivo di un nuovo mensile dell’Eura Editoriale, Unità speciale, dedicato al difficile lavoro investigativo di un reparto di carabinieri che opera nell’entroterra siciliano, in quei territori che da sempre hanno visto la nascita e lo sviluppo della criminalità isolana. Protagonista del ciclo è il tenente Raffaele Ranieri, con un passato non sempre limpido, come scopriremo nei prossimi episodi, ma ben deciso a combattere, da solo o con i colleghi, il radicato fenomeno della criminalità. Il ciclo è sceneggiato da Cinzia Tani, giornalista e scrittrice, e dal regista Massimo Gugliemi. Realizzato da alcuni disegnatori dell’Eura, nasce in collaborazione con l’Ente editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Il primo episodio ha un evidente taglio introduttivo, con la presentazione di alcuni protagonisti e delle situazioni che faranno da scenario alle prossime indagini. Forse qua e là gli autori hanno insistito su alcuni elementi fin troppo scontati e prevedibili, con stereotipi tipici dell’immaginario mafioso. Ma questo, in fondo, è solo un fumetto, un’opera di fantasia, con elementi realistici, e anche verosimili, che imprimono a questa Unità speciale il carattere di una storia seriale, con molti elementi di interesse. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 6/7/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il destino dei nomi: certe volte un nome difficile, ostico, magari anche popolaresco o poco elegante, può tarpare sul nascere una carriera, e la storia del mondo dello spettacolo è ricca di esempi eloquenti. Un caso analogo è accaduto nei fumetti, anche se va detto che è stato quel nome difficile da scrivere e da pronunciare, come Schtroumpfs, a fare la fortuna dei piccoli omini blu divenuti celebri in Italia come i Puffi. Già, perché se in Francia e in Belgio (dove sono nati, ideati nel 1958 da Pierre Culliford, meglio noto come Peyo) hanno conservato il loro nome impronunciabile, in altri Paesi sono stati ribattezzati con nomi facili da ricordare, come Smurfs in inglese, Pituffos in spagnolo o Dardassin in ebraico. Ma forse gli italiani sono stati ancora più bravi, soprattutto i redattori del Corriere dei Piccoli che dal 1962 iniziò a pubblicarli chiamandoli Puffi. Il termine ebbe subito successo, soprattutto per i numerosi giochi di parole, a volte addirittura demenziali, che si intrecciano nei loro dialoghi, in particolare nella versione a disegni animata prodotta a getto continuo da Hanna e Barbera. Peyo, nato il 25 giugno 1928 e scomparso a 64 anni, ha iniziato a lavorare in Belgio nell’immediato dopoguerra, disegnando storie e personaggi proiettati nel passato, come Johan, un paggetto medievale cui nel corso degli anni affiancò altri protagonisti, come Pirlouit e nel 1958 gli omini blu che gli avrebbero dato notorietà universale. La prima storia in cui compaiono è Il flauto a sei puffi, capostipite di una serie infinita di avventure che da mezzo secolo divertono grandi e piccoli di tutto il mondo. Inventando i suoi piccoli eroi – che in questi giorni il museo dei fumetti di Bruxelles ricorda con una grande mostra – Peyo ha voluto costruire un piccolo mondo che sembra derivare dalle atmosfere delle antiche saghe nordiche, e che è immerso nel verde della natura e nell’azzurro dei loro corpi, ravvivati dal bianco dei cappucci e dal rosa della Puffetta, unico personaggio femminile in un universo tutto maschile. Ci sono Puffi di ogni genere, alti “su per giù due mele o poco più” come canta una sigla televisiva, qualcuno magari ispirato ai nanetti di Biancaneve, che riflettono sempre tipi e situazioni del mondo degli uomini. Tra il Grande Puffo, un saggio dalla lunga barba bianca, e il Puffo pigro e quello burlone, il Puffo inventore e quello goloso, c’è anche una sorta di "puffo cattivo", l’unico che abbia un nome (Gargamella [lo stregone che cerca sempre inutilmente di catturare i Puffi, NdR]): indossa un saio nero, coltiva le arti magiche e, tutto sommato, non si trova affatto male fra tanti buoni. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 6/7/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Quando, a metà degli anni Settanta, Altan ideò il personaggio di Trino forse pensava già inconsciamente al suo futuro di disegnatore che nel corso degli anni avrebbe assunto tre caratteristiche diverse, passando con egual successo dalle vignette satiriche alle favole per bambini, alle biografie talora anche un po’ graffianti di famosi personaggi storici o letterari. Il primo è stato appunto Trino, un singolare creatore dell’universo impegnato a ripetere quello che aveva fatto miliardi di anni prima un altro creatore, ben più bravo e importante. Trino è un po’ pasticcione, fa del suo meglio e non sempre ci riesce. Le sue avventure, disegnate con un tratto scarno ed essenziale che avrebbe poi trasferito anche nelle vignette, possono apparire un po’ irriverenti ma contengono tutto lo spirito ironico e caustico che Altan riversa da anni nella sua satira. Dopo Trino è arrivato Cipputi, operaio metalmeccanico protagonista con i suoi compagni dagli inconfondibili cognomi padani di infinite vignette, ancor oggi attuali, e di precisi commenti della vita politica e sociale del nostro belpaese. Oggi Cipputi e i suoi appaiono fuori tempo e sono stati sostituiti nell’universo di Altan da politici arroganti, industriali, speculatori, faccendieri vari e belle donne perennemente annoiate, ovvero dai protagonisti, quasi tutti negativi, del nostro tempo. A lungo Altan ha anche raccontato, a modo suo e con un taglio graficamente grottesco, le vite di Cristoforo Colombo, di Sandokan, di Casanova e altri protagonisti della storia o dell’immaginario, dimostrando grandi doti di narratore ironico, che ha trasferito, con massicce dosi di fantasia, nei piccoli eroi di tante storielle dedicate ai bambini, da Kamillo Kromo alla Pimpa, la simpatica cagnetta a pois che da oltre trent’anni diverte grandi e piccoli con le sue poetiche imprese che ne fanno risaltare la bontà e la generosità in un mondo spesso cattivo e cinico nel quale vive insieme al suo padrone Armando. Il mondo di Altan passa dai fumetti all’illustrazione, dalle fiabe al giornalismo, come ricorda il titolo di una grande mostra curata da Mara Chaves, Sergio Noberini e Ferruccio Giromini allestita al Museo Luzzati a Genova e aperta fino al prossimo 8 novembre. Tra tavole originali e grandi sagome è possibile incontrare tutti i personaggi inventati da questo straordinario autore, e vedere i cortometraggi che nel corso degli anni sono stati realizzati dal cinema d’animazione, dedicati soprattutto alla Pimpa, la cagnetta che Altan inventò per raccontare qualche storia alla sua bambina. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 16/6/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Andrea Pazienza è scomparso ormai da venti anni, il 16 giugno 1988, ma il geniale disegnatore continua a vivere nel ricordo dei lettori e nelle molte ristampe che periodicamente ripropongono i suoi personaggi. Nato nel 1956, in una dozzina di anni di intenso lavoro, Pazienza ha disegnato centinaia di vignette satiriche e tantissime storie che hanno lasciato un segno nel fumetto italiano. Tra il 1977, quando su Alterlinus comparve Pentothal, al 1988 quando Comic Art iniziava a pubblicare la sua ultima storia rimasta incompiuta, Pazienza ha narrato, anche rabbiosamente, tutto il disagio giovanile di quegli anni attraverso personaggi non sempre positivi ma certamente emblematici di quel periodo. Il primo è stato Pentothal, protagonista di storie sospese tra sogno e realtà, con risvolti umoristici e avventurosi, tra droga e violenza, e con un disegno dissacrante e grottesco. Ma il personaggio simbolo del suo mondo giovanile è stato Zanardi, che esprime disagio, emarginazione, rabbia, violenza, e talora anche un po’ di cinismo. Altro eroe negativo è Pompeo, un giovane che attraversa numerose esperienze prima di giungere al suicidio. Le storie di Pazienza hanno talora un carattere evasivo, ma non sono mai una fuga dalla realtà perché radicate in quel mondo che trascurava, allora come oggi, i giovani, i loro sogni, le loro aspirazioni e tentava di stroncarne le ribellioni. Negli ultimi anni si era stabilito nella campagna toscana, a Montepulciano e dintorni, dove forse cercava quella tranquillità agreste e bucolica che talvolta si avverte nelle sue storie metropolitane. A Montepulciano si è conclusa la sua avventura, dopo che era anche uscito dal tunnel di anni prima. Ma come detto, Andrea Pazienza continua a vivere nei suoi personaggi, anche perché molte delle cause che lo avevano spinto a raccontarne le storie, sussistono ancora, e Andrea è lì a indicare il cammino da percorrere. [Carlo Scaringi] - [Click le immagini dei video, per vedere una rara e malinconica intervista di Red Ronnie ad Andrea Pazienza. NdR]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 12/6/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Forse non avevano tutti i torti quei censori che nei primi anni Cinquanta accusavano Tex e i fumetti in genere di proporre ai giovani lettori abbondanti dosi di violenza. Secondo una attenta indagine statistica di Claudio Paglieri, giornalista del Secolo XIX di Genova, il popolare ranger ha commesso, nell'arco di circa 600 numeri, albi speciali compresi, pubblicati fino a tutto il 2007, 2783 uccisioni, che salgono a 4160 se si calcolano quelle attribuite anche ai suoi compagni d'avventura. Facendo una media si ottiene che in ogni albo ci sono più o meno sette morti, una cifra senz'altro inferiore a quella che comunque si trova in un qualsiasi film western. Le statistiche che abbiamo citato sono riportate a conclusione dell’originale volume “Non son degno di Tex” che Paglieri ripropone, in versione aggiornata, dieci anni dopo la prima edizione, edita, come questa, dalla Marsilio. Con la precisione e la pazienza d'un certosino, Paglieri si è divertito non solo a raccontare, con indubbia ironia ma senza cattiveria, la sessantennale storia di Tex, ma ha anche catalogato tutte le imprese compiute dal simpatico quartetto in questi anni. Risulta così che il ranger ha ucciso 1199 bianchi, 904 pellerossa, 328 messicani e svariati altri nemici di varie nazionalità, per un totale superiore ai due terzi della cifra globale dei morti ammazzati in tutti gli albi. Ma anche Kit Carson si difende bene, totalizzando 767 uccisioni, in maggioranza nemici bianchi, 271, ma anche molti pellerossa e messicani. Decisamente inferiori sono invece le cifre relative al figlio di Tex, Kit, e a Tiger Jack, che hanno fatto fuori poco più di 300 nemici ciascuno, ma bisogna precisare che la loro presenza è saltuaria, a differenza di quella di Tex e Kit Carson, protagonisti fissi di tutte le avventure. Nelle storie di Tex non si uccide sempre: spesso si fa a pugni, circa 600 volte, ci sono infiniti agguati e Tex, che Paglieri si diverte a dipingere come una sorta di supereroe per le esagerazioni degli sceneggiatori, è stato catturato dai nemici, indiani per lo più, circa un centinaio di volte. Ma ovviamente verrà sempre salvato, soprattutto da quel brontolone di Kit Carson (in una quarantina di occasioni), ma qualche volta anche dalle giacche blu dell’esercito, che il ranger non ama molto. Con molto umorismo e tutta la simpatia di un lettore decennale, Paglieri si diverte a smontare i testi degli autori, soprattutto quelli dei primi anni, individuando errori storici, scene ispirate a film western e altre sviste. Ma lo fa con un senso di dissacrazione e di divertimento che vorrebbe condividere con i lettori. Qualche volta forse esagera, ma il suo non è il saggio di uno storico, quanto il risultato di un’indagine semiseria sul personaggio più longevo e forse più amato del fumetto italiano, che è cresciuto soprattutto per merito di papà Bonelli e Galleppini, ma poi è maturato con le storie di Sergio Bonelli, spesso più credibili di quelle del padre, di Claudio Nizzi e di Mauro Boselli che, come ha scritto l’autore, ci stanno dando un Tex più moderno, forse più investigatore che pistolero, ma in ogni caso sempre ben radicato all’interno della tradizione del western all’italiana. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 7/6/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Tra le centinaia di personaggi proposti da una trentina e più anni dalle riviste contenitore dell’Eura Editoriale, Chiara è senz’altro tra i più graditi dai lettori di Skorpio dove compare ogni settimana da svariati anni. Chiara è decisamente una figura originale nell’universo delle nuvolette, dove la presenza femminile è sempre scarsa, e in ogni caso inserita entro schemi fissi e forse prevedibili. Ci sono, per esempio, le eterne fidanzate qualche volta finalmente sposate, come Lois Lane o Diana Palmer, mogli felici di Superman e di Phantom. Ci sono le donne avventurose come Wonder Woman, Modesty Blaise o la Valentina di Crepax. E ci sono le maliarde, come la Dragon Lady del ciclo di Terry degli anni Trenta, che sembrano uscite dai film dell’epoca: belle, desiderabili, fumatrici incallite e tentatrici, sono anche perfide, malvage, spietate, che rendono la vita difficile all’eroe di turno. Chiara è invece del tutto diversa, se non altro per il mestiere che esercita, quello della prostituta. Ideata da Carlos Trillo e in parte da Maicas, Chiara è protagonista di vicende racchiuse in due tavole e una dozzina di vignette che Jordi Bernet disegna con indubbio garbo e un po’ di ironica cattiveria, che riserva quasi sempre alla vasta clientela di Chiara formata da individui complessati, violenti, squattrinati e ovviamente maschilisti che Bernet tratteggia con un taglio caricaturale, quasi per sottolineare meglio la differenza con l’immagine di Chiara, solare, bella, con tutte le curve al posto giusto, e anche allegra. Ma di tanto in tanto Chiara – le cui avventure sono ora raccolte in un nuovo cartonato a colori in uscita a metà maggio – si abbandona anche a malinconiche riflessioni. E’ forse stanca del suo lavoro, e quasi quasi – dice – mi conviene accettare quel posto da impiegata, tanto che Paolino sta arrivando a un’età in cui capisce meglio le cose, e questa non è una vita per lui. Un altro aspetto della vita di Chiara è la solitudine: sono tanto sola – dice – che mi piace sognare che un giorno un principe azzurro venga a togliermi da questa solitudine. Ma il bel principe non arriva mai, e Chiara è costretta a continuare il suo lavoro, per la fortuna di tutti i lettori… [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 2/6/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Rino Albertarelli, nato a Cesena l’8 giugno del 1908, può essere considerato il padre del western all’italiana, anche se il primo fumetto con i pellerossa è stato disegnato da Guido Moroni Celsi, autore peraltro di molte riduzioni dei romanzi salgariani. Ma Albertarelli è stato il primo a inventare, nel 1937, un personaggio del tutto singolare, quel Kit Carson che una decina di anni dopo papà Bonelli e Galleppini avrebbero fatto entrare nell’epopea di Tex. La seconda metà degli anni Trenta e parte dei Quaranta furono un momento particolarmente felice per Albertarelli che realizzò, soprattutto per il settimanale Topolino, una serie di avvincenti storie, dal Dottor Faust a Mefistofele, dal Gentiluomo di sedici anni a Gioietta Portafortuna, ecc. che gli hanno dato grande popolarità. Ma il suo nome resta legato soprattutto a Kit Carson e al mondo della frontiera. Il disegnatore, scomparso nel settembre del 1974, scelse il nome di Kit Carson perché lo considerava ideale in un universo fumettistico dove c’erano già altri protagonisti dal nome altrettanto breve e incisivo, come Dick Tracy o Flash Gordon. “Avrei voluto farne un personaggio patetico, alla Don Chisciotte – disse una volta – un uomo giusto, ma anche un po’ in là con gli anni, che talvolta non faceva centro con la sua pistola. Ma forse un personaggio del genere era un po’ fuori tempo, e Kit divenne un eroe positivo, accettabile nella mitologia della frontiera”. Accompagnato da Zio Pam come il cavaliere spagnolo lo era da Sancho Pancia, Kit Carson vive avventure piene di emozioni, ma anche venate da una sorta di crepuscolarismo che forse non si addiceva alla realtà del West. Oltre ai fumetti, Albertarelli ha disegnato tantissime vignette umoristiche e nei difficili anni della guerra ha realizzato anche disegni propagandistici per la stampa della repubblichetta di Salò. Ma ormai il periodo d’oro del fumetto era passato, malgrado il boom di Tex e altri personaggi western, e Albertarelli si rifugiò nella pittura e nell’illustrazione pubblicitaria. Negli anni Settanta Sergio Bonelli lo richiamò dall’esilio, permettendogli di ritornare al suo vecchio e caro West con una storia, purtroppo rimasta incompiuta, dei personaggi che nel bene e nel male avevano costruito l’America della frontiera. Sono dieci ritratti straordinari per il disegno e la precisione storica del racconto, quasi una enciclopedia del Far West dove compaiono capi pellerossa, militari e fuorilegge, protagonisti di quella che fu forse l’ultima guerra cavalleresca, se mai un aggettivo simile si possa avvicinare a un evento bellico. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 31/5/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Giugno 1938: sul numero 1 di Action Comics compare un nuovo eroe dei fumetti. Lo vediamo in copertina mentre, ancora in fasce, solleva come un fuscello una grossa automobile per scagliarla chissà dove. Il nome lo scopriamo all’interno, insieme alle sue origini: si chiama Superman, è stato adottato ancora bambino dai coniugi Kent che lo hanno raccolto in un rudimentale razzo giunto sulla Terra dal lontano pianeta Krypto, esploso nello spazio. Crescendo Superman scopre di avere poteri straordinari: può volare, ha una vista che perfora i metalli, sente un sussurro a chilometri di distanza, e non invecchia. Mette al servizio della giustizia le sue superqualità, e per celare la sua identità prende il nome di Clark Kent e lavora come giornalista. E’ buon amico di Lois Lane, una collega che vorrebbe sposarlo (ci riuscirà dopo molti anni), ma che è innamorata di Superman. Le sue avventure sono un successo che dura ormai da settant’anni, periodicamente rinnovato dai kolossal cinematografici e alimentato da altri eventi insoliti, come la sua morte e la successiva resurrezione. I suoi autori – Jerry Siegel e Joe Shuster – non si sono arricchiti perché ingenuamente ne cedettero i diritti per pochi dollari alla DC Comics. La prima storia è apparsa nel 1938, ma era dal 1933 che i due giovani autori giravano per editori, ricevendo sempre decisi rifiuti e collezionando pareri negativi sul loro personaggio, giudicato ridicolo, rozzo, affrettato, un esempio di immaturità. L’idea di Superman venne a Siegel leggendo un racconto di Philip Wylie, The Gladiator. Nel corso degli anni Superman – il capostipite di una serie lunghissima di superori – ha vissuto infinite avventure, spesso emozianti, talvolta ripetitive, ma sempre divertenti e avvincenti. La sua origine forse affonda le radici nel folklore americano, nelle leggende di Paul Bunyan, il gigantesco boscaiolo che usava le montagne come sgabelli, o di Pecos Bill, il cow boy che cavalcava i tornado e prendeva al lazo gli uragani. Ma dietro l’esagerazione dell’essere invincibile, c’è forse solo la speranza di giocare una carta vincente, nella realtà e nell’immaginario. Nella parabola di Superman c’è anche la storia dell’immigrato che sbarca in America in cerca di fortuna. In un certo senso la sua figura è l’incarnazione del mito americano, è la storia stessa degli Stati Uniti, nati, cresciuti, diventati potenti grazie alle continue iniezioni di linfa nuova, dai Padri Pellegrini del lontano Seicento alle continue ondate di immigrazione, dal primo Novecento a oggi. Molti immigrati, italiani compresi, hanno scalato i vertici della società, e purtroppo della criminalità. Ma questo non è il caso di Superman, eroe senza macchia, e vero simbolo dell’americano forte, generoso, giusto e forse anche umano. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 31/5/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi L’abbiamo incontrata per la prima volta tanto tempo fa mentre lasciava l’orfanotrofio dove era vissuta per tutta l’adolescenza, per recarsi presso una strana famiglia dove avrebbe dovuto lavorare come domestica. Ma le speranze e le ambizioni di Amanda – questo il nome della ragazza uscita dalla fantasia inesauribile di Robin Wood, disegnata con garbo e realismo da Alejandro Falugi e ospitata su Skorpio – erano ben diverse. Pensa già all’amore. forse al matrimonio, purchè non debba baciare un rospo per trovare il principe azzurro, come esclama nel primo episodio della lunga saga. Il primo uomo che incontra è il signor Andreani, che non è un rospo, tutt’altro, e di mestiere fa lo stilista di moda. Il primo approccio è positivo, perché Amanda – come dice lei stessa – è come un cane, guidata più dall’olfatto che dal cervello. Ma tutto mi dice – aggiunge subito – che Andreani sarà molto importante per la mia vita. Da questo momento, abbandonati i goffi abiti dell’orfanotrofio, inizia per lei una serie di vicende che la porteranno a girare il mondo, a fare incontri di ogni genere, con individui buoni e con molti cattivi, che le faranno scoprire amare realtà. Spesso è colpa del destino, ma noi donne – dice – possiamo fare qualcosa di più che mettersi a piangere. Il matrimonio forse è una tentazione ricorrente, ma lei pensa che sia più bello conoscere gente e posti nuovi, per esempio Roma, Monaco, Los Angeles e tanti altri luoghi sconosciuti che lampeggiano come stelle nella notte della sua ignoranza. Con questa visione della vita, Amanda vivrà infinite avventure, sempre amata dai lettori di Skorpio, e per qualche tempo sarà anche protagonista di una collana mensile di ristampe, poi interrotta dalla stessa Eura che ora ha deciso di riprendere le ristampe, inserendo le storie di Amanda nei volumetti dei Giganti dell’Avventura, che ospitano già da tempo molti dei più popolari personaggi pubblicati sui due settimanali. A fine maggio compariranno, perciò, quattro storie di Amanda, questa ragazza molto credibile che si affianca ad altri famosi eroi, da Mojado a Modesty Blaise, al Cosacco, ecc., presenze quasi fisse nella collana. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 24/5/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi A pochi mesi di distanza dal felice debutto di Volto Nascosto, le edizioni di Sergio Bonelli hanno lanciato in questi giorni una nuova miniserie, con cadenza bimestrale, che propone un altro scenario insolito nell’universo bonelliano, che ha ormai esplorato quasi tutti i campi dell’immaginario. Dopo le imprese coloniali dell’Italia fine Ottocento narrate da Manfredi nel ciclo africano di Volto Nascosto, ecco quelle di Jan Dix, un singolare consulente ed esperto d’arte che lavora per un grande museo di Amsterdam, che è spesso alle prese con traffici clandestini di celebri dipinti e con mercanti senza scrupoli. Jan Dix è stato ideato da Carlo Ambrosini che ne disegna anche le avventure. Ambrosini è tra i migliori autori completi della scuderia bonelliana, e per 9 anni, fino al 2006, ha realizzato oltre 50 storie di Napoleone, singolare portiere di notte in un albergo ginevrino con l’hobby dell’investigazione. Tra i due personaggi ci sono alcuni punti in comune, al di là del lavoro di detective che considerano quasi un divertimento, ma che svolgono con attenzione e bravura. Le indagini di Napoleone erano spesso punteggiate dagli interventi di tre strani folletti e con incursioni nel mondo della fantasy che spezzavano il ritmo e forse la tensione del racconto. Jan Dix è invece alle prese con ricorrenti sogni, anticipati dall’arrivo di alcuni corvi gracchianti, che talora si trasformano anche in paurosi incubi, nei quali rivive o anticipa i momenti delle sue indagini. Nel primo albo, Jan Dix si sposta da Amsterdam a Budapest sulle tracce di un famoso dipinto di Vermeer, forse originale o probabilmente abilmente falsificato. Prima di accertare la verità il nostro eroe entra in contatto con un pittore fallito diventato un abile falsario, con un mercante spregiudicato e imbroglione, con uno strano collezionista e con altri figuri che gravitano in quell’ambiente. E’ inutile dire che Jan Dix scoprirà la verità e uscirà indenne da quel losco mondo. Ci riuscirà con le sue intuizioni e con l’aiuto di Gherrit, un suo fido collaboratore, che già da questa prima storia sembra assumere la dimensione di una preziosa spalla. Non manca nemmeno una presenza femminile, Annika, dirigente del museo olandese, e forse innamorata di Jan, malgrado i frequenti battibecchi destinati però a consolidare la loro relazione. Il primo episodio, ovviamente, ha un chiaro taglio introduttivo, presentando personaggi e situazioni che presto diverranno familiari ai lettori bonelliani, ormai abituati a seguire e apprezzare queste storie apparentemente insolite nell’universo delle nuvolette. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 17/5/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Nel giugno del 1938 arrivava negli Stati Uniti Superman, il primo di una serie infinita di supereroi. Nello stesso periodo in Italia cominciava il successo di Dick Fulmine, un personaggio ideato dal giornalista sportivo Vincenzo Baggioli e disegnato a lungo da Carlo Cossio. Presentato come il grande poliziotto italo-americano nemico di tutti i gangsters, Dick Fulmine operava soprattutto negli Stati Uniti, in particolare a Chicago. Per anni Fulmine ha combattuto la delinquenza, lottando contro tutti coloro che il regime considerava come suoi nemici, dai criminali cinesi ai banditi negri, e spesso anche contro i mercanti ebrei, come volevano le leggi razziali del fascismo votate proprio in quel 1938. Muscoloso, atletico, dal pugno che non perdonava, Dick Fulmine affrontava coraggiosamente tutti i nemici che ovviamente sbaragliava senza fatica, proprio come un supereroe americano. Non aveva superpoteri, non volava né vedeva attraverso i muri, ma conquistava la simpatia di migliaia di lettori, ammirati dalle sue imprese da supereroe casareccio. Le avventure di Fulmine sono durate per 476 episodi, una serie lunga circa una decina di anni e aperta da un albo intitolato La banda del pazzo. Nel 1945, praticamente alla conclusione del lungo ciclo, le storie di questo originale poliziotto hanno trovato ospitalità su un giornalino, Fulmine, che ebbe vita breve, anche perché altri personaggi stavano conquistando nuovi lettori, senza contare che il clima in cui era nato e maturato era ormai superato. Ma negli anni tra il 1938 e il 1943 Dick Fulmine fu il personaggio più popolare, da molti considerato la migliore risposta agli eroi americani. Fu forse il primo grande successo del fumetto italiano che cominciava ad avviarsi sulla strada della maturità, divenuta meno difficile sul finire degli anni Quaranta quando arrivarono Tex, Pecos Bill e tanti altri eroi scaturiti soprattutto dalla fantasia di papà Bonelli. Ma questa è un’altra storia, lunga e indubbiamente bella. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 2/5/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi
Non c’è dubbio che il pluridecennale successo delle collane edite da Sergio Bonelli derivi dalla scelta dei personaggi principali, fra i più significativi del fumetto italiano, e non solo. Da Tex a Zagor, da Dylan Dog a Nathan Never, da Magico Vento a Julia, e così via, tutti hanno uno spessore e una personalità ben caratterizzata, grazie alla bravura degli autori che li hanno ideati. Sia gli sceneggiatori, da Bonelli padre e figlio a Nizzi, da Manfredi a Berardi, da Castelli a Burattini, a Sclavi, ecc. che i disegnatori, da Galleppini a Ferri, da Ambrosini a Freghieri, a Ticci e tantissimi altri, sono tutti professionisti di altissima qualità, specializzati soprattutto nel disegno realistico. Forse non hanno la genialità artistica di un Pratt o di un Crepax, ma fanno il loro lavoro con passione e serietà. Ma c’è un altro elemento che contribuisce al successo delle collane bonelliane: la scelta dei personaggi che di solito accompagnano i vari protagonisti nelle loro avventure, aiutandoli nei momenti più difficili, comportandosi quasi come le “spalle” che nel vecchio teatro di rivista porgevano la battuta al primo attore. Gli albi di Bonelli sono ricchi di queste figure di contorno, a cominciare dal vecchio Kit Carson, amico e compagno inseparabile di Tex: forse è troppo pessimista e più rifllessivo di lui perché anni di esperienza lo hanno reso più prudente. Anche Zagor ha un fedele compagno, il messicano Cico, grassottello e sempre affamato e soprattutto poco disposto a rischiare la pelle. Ma si riscatta subito se deve correre in suo aiuto, dimentica la sua innata prudenza, o paura, e si getta coraggiosamente nella mischia. Altrettanto prudente è Groucho, il maggiordomo di Dylan Dog che assomiglia tanto a uno dei celebri fratelli Marx del cinema muto. La sua specialità sono le freddure e le battute demenziali che servono per spezzare la tensione della storia. Anche lui quando occorre è pronto a correre in aiuto del suo capo, gettandogli la pistola. Anche Mister No, troppo presto scomparso e sempre rimpianto, ha un amico, Esse Esse, come lui reduce della seconda guerra mondiale che ha combattuto tra i nazisti. Adesso però le divisioni di un tempo sono dimenticate, e i due sono protagonisti di straordinarie avventure. Questi che abbiamo ricordato sono tutti personaggi originali, frutto della fantasia degli autori, che in qualche caso però si sono superati, come ha fatto Castelli inventando Java, il massiccio uomo primitivo prezioso aiutante di Martin Mystère, l’unico capace di comprendere il suo linguaggio gutturale e di raccoglierne le sue intuizioni. Altrettanto bravi a inventare spalle credibili sono stati Gianfranco Manfredi che ha affiancato a Magico Vento un singolare giornalista che ricorda il celebre scrittore Edgar Allan Poe e Giancarlo Berardi che ha dato alla sua Julia una domestica nera, umana e saggia, come Emily che sembra uscita da Via col vento e un corteggiatore come Leo, l’investigatore privato che l’aiuta nelle sue indagini. Le “spalle” in ogni caso non sono un’esclusiva bonelliana: c’erano prima e dopo la guerra, per esempio con Lothar, fedele servitore di Mandrake, oppure nelle storie western della EsseGesse, ovvero i torinesi Sinchetto, Guzzon e Sartoris che in Capitan Miki hanno creato le figure di Doppio Rhum, un petulante vecchietto come quelli degli antichi film western e del dottor Salasso, medico forse senza laurea. Nelle storie di Blek c’è invece un simpatico imbroglione come il prof. Occultis, mentre nel ciclo del Comandante Mark, sempre degli stessi autori, incontriamo Mister Bluff e un pellerossa pessimista già nel nome, Gufo Triste, che dice tutto. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 26/4/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi In questi giorni quotidiani e periodici ricordano Giovannino Guareschi, nato il primo maggio del 1908 e scomparso sessant’anni dopo, nel luglio del 1968. Molti, la maggioranza probabilmente, lo ricorderanno come straordinario cronista di quell’Italia di provincia che a cavallo degli anni Cinquanta era spaccata in due dagli scontri ideologici fra comunisti e democristiani, emblematicamente raffigurati nei personaggi di Don Camillo, parroco del paesino della Bassa dove Peppone è il sindaco comunista. Altri metteranno in evidenza il Guareschi giornalista polemico e il carattere dello scrittore, antifascista quanto bastava per farsi deportare dai nazisti, spesso antidemocristiano e anticomunista sempre. A noi piace ricordarlo come un amico dei fumetti che in più occasioni difese dagli attacchi dei soliti moralisti, e spesso disegnò in strisce e raccontini dall’umorismo stralunato. Ma Guareschi è stato soprattutto un grande vignettista, autore di centinaia di disegni satirici e caricaturali contro i politici corrotti, gli affaristi spregiudicati e anche contro i governi in carica. Ma il suo obiettivo principale erano i comunisti spesso raffigurati come omaccioni rozzi con tre narici, perché la terza serviva per respirare l’aria di Mosca. Le vignette di maggior successo erano quelle in cui metteva in ridicolo l’obbedienza pronta, cieca e assoluta dei compagni che accettavano come verità tutto ciò che era scritto sull’Unità, errori di stampa compresi. In ogni vignetta Guareschi si divertiva con giochi di parole: se sul giornale era scritto che bisognava portare i nani al guinzaglio, ecco allora i fedeli lettori uscire con quei poveri sfortunati al posto dei cani. Gli esempi sono infiniti e quelle vignette divennero un tormentone che infastidiva non poco i suoi avversari, costretti comunque a sorridere a denti stretti. I disegni sono spesso bruttarelli, volutamente caricaturali, ma ogni autore ha il suo stile personale. Quello di Guareschi è ormai entrato nella storia del vignettismo satirico, e l’autore occupa un posto di rilievo fra i grandi disegnatori di un passato lontano, quando - allora come adesso - c’era poco da ridere. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 26/4/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Sessant’anni fa, più o meno, i fumetti furono trascinati sul banco degli imputati, accusati dai soliti moralisti di presentare ragazze poco vestite, una diffusa violenza non solo nelle immagini ma anche nelle nuvolette spesso piene di coloriti improperi come quelli che papà Bonelli metteva in bocca al suo Tex, e un notevole materialismo frutto soprattutto dei modelli di vita americana. Quando il 24 aprile del 1948 apparve in edicola il primo albo di Pantera Bionda le accuse si moltiplicarono, perché l’eroina inventata da Gian Piero Dalmasso e disegnata da Enzo Magni (che si firmava esoticamente Ingam) era una bella ragazza sempre in succinto bikini di pelle di leopardo che viveva nella giungla del Borneo e sembrava una copia al femminile del celebre Tarzan. Con un pugnale infilato nello slip e con arco e frecce in mano dava la caccia agli ultimi soldati giapponesi che non avevano riconosciuto la sconfitta del loro Paese, e a trafficanti e criminali di ogni genere. Più che per l’esilità delle storie, spesso ripetitive e prevedibili, gli albi di Pantera Bionda furono subito criticati per l’esiguo abbigliamento della protagonista costretta dopo qualche numero a coprire il suo slip con uno svolazzante gonnellino. La soluzione adottata da Ingam non accontentò però i moralisti che costrinsero la bionda eroina a indossare una gonna che col tempo divenne sempre più lunga, fino a coprire totalmente le belle gambe. Tra minacce di sequestri e forse per il boicottaggio degli edicolanti, Pantera Bionda visse per un centinaio di numeri, appena due anni, prima di scomparire, lasciando però un gran rimpianto tra molti ragazzi. Nelle sue avventure Pantera Bionda era accompagnata da una vecchia governante cinese di nome Fior di Loto e da uno scimmione ammaestrato che già nel nome, Tao, ricordava la più celebre Cita di Tarzan. Nelle sue battaglie contro giapponesi e criminali vari era spesso aiutata da un baldo esploratore americano, Fred, che la trattava quasi come una sorella. Evidentemente per quei tempi era eccessivo osare di più. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 18/4/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Sul numero del Vittorioso uscito il 23 aprile del 1938 compariva un nuovo personaggio, Romano il legionario, forse il primo esempio di fumetto realistico in Italia, se si escludono quelli dedicati alle vite dei santi o a eventi e protagonisti della storia, ospitati per lo più sui periodici di ispirazione cattolica. Con la lunga vicenda di Romano, collocata nella guerra di Spagna allora ancora in corso, il fumetto italiano fa un ulteriore passo sullo sviluppo di quella scuola, nata a metà degli anni Trenta grazie a ottimi sceneggiatori come papà Bonelli, Pedrocchi o lo stesso Zavattini e a disegnatori altrettanto bravi, da Moroni Celsi ad Albertarelli, a Molino. Sfrondata dagli elementi retorici e propagandistici, la saga di Romano è un fumetto di indubbia qualità grazie soprattutto alla bravura di Caesar, un sudtirolese di nome Cesare Avai che l'ha realizzata fino a metà del 1943 quando il crollo del fascismo portò anche alla chiusura di molti giornali. Caesar apprezzava molto il Gordon di Alex Raymond, soprattutto per i costumi e la ricchezza di tecnologia dei mezzi militari usati sul pianeta Mongo e dintorni. Sfruttando al meglio il suo passato di disegnatore tecnico, Caesar ha realizzato con attenzione aerei, sottomarini, divise e armi ricoprendo con un alone di credibilità una vicenda non sempre verosimile, con i suoi momenti di esagerazione che trasformano il protagonista in una sorta di supereroe casareccio, che a bordo del suo aereo da caccia mitraglia gli avversari, bombarda e distrugge i carri armati nemici e vince quasi da solo quella che fu la prova generale del secondo conflitto mondiale. Finita la guerra, Romano parte per nuove avventure ed è protagonista di altri episodi, come Nel deserto bianco dove con una motoslitta fantascienfica si spinge fino al Polo Nord, e Negli abissi del mare con una batisfera che scende a grandi profondità per recuperare i relitti navali. Un'altra storia lo condurrà addirittuta al di là dell'Atlantico per sconfiggere un nemico invisibile. A questo punto si concede una pausa per sposare Isa, la ragazza che lo aveva atteso trepidante dopo ogni avventura. Sulla via del ritorno verso l'Italia i due sposini sentono alla radio, nella puntata del 6 luglio 1940, la dichiarazione di guerra di Mussolini contro Francia e Gran Bretagna e Romano non può evitare di rispondere al richiamo della patria. Indossa la divisa e torna a pilotare il suo caccia, protagonista con lui di altri episodi, intitolati fra l'altro Il siluro umano e Caposaldo P, che lo vedranno ovviamente sempre vittorioso, forse in omaggio al regime e al giornalino che ospitava le sue imprese. Rispetto ai precedenti sono più deboli, probabilmente perchè Caesar e il suo eroe stavano perdendo fiducia nell'immancabile vittoria. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 10/4/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi I fumetti continuano a ispirare produttori e sceneggiatori di Hollywood che dopo aver trasformato in film di successo quasi tutti i maggiori supereroi, da Superman all'Uomo Ragno, vanno ora alla ricerca dei personaggi apparentemente minori dell'universo della Marvel. Uno dei primi ad arrivare sugli schermi sarà Iron Man, in un film che uscirà in Italia il prossimo primo maggio. Questo eroe, ideato come tanti altri da Stan Lee, vola come Superman, indossa una riconoscibilissima tuta da lavoro e si dedica a lavori non sempre nobili, compreso il traffico di armi. E' soprattutto una sorta di agente segreto sempre impegnato in difficili missioni che spesso ricordano quelle di James Bond, e le sue avventure sono una riuscita miscela di mistero e di tensione. Nei mesi seguenti arriveranno almeno altri due film che prevedibilmente sbancheranno i botteghini: si tratta di un nuovo episodio del ciclo quasi infinito di Batman, quello realizzato da un maestro dei comics come Frank Miller che ha trasformato l'Uomo Pipistrello in un Cavaliere Oscuro, e di una nuova avventura che avrà come protagonista l'Incredibile Hulk, ovvero quell'improbabile e fortissimo gigante verde che diventa ogni tanto una furia della natura. La moda dei film ispirati al mondo delle nuvolette avrà nel 2009 nuovo impulso con due nuove pellicole che in un certo senso riproporranno il confronto, nella dimensione cinematografica, tra due maestri dei fumetti come Will Eisner e Alan Moore. Il primo è l'autore di moltissime graphic novels che nel corso degli anni hanno narrato, con grande qualità grafica e una profonda partecipazione umana, la vita spesso drammatica e amara degli immigrati europei approdati a New York e dintorni e quasi sempre confinati nei quartieri periferici e poverissimi delle metropoli. Ma prima di questi forti racconti di vita, Will Eisner si era dedicato negli anni Quaranta a un singolare personaggio come Spirit, un originale detective che tutti credevano morto e che viveva in una tomba da dove usciva per dare la caccia a criminali di ogni risma. Il film di Spirit sarà diretto da Frank Miller che avrà modo di confrontarsi con un altro grande del fumetto mondiale come Alan Moore, autore di V come vendetta e di Watchman, una lunga storia inquietante e forse profetica come quella di V, peraltro già trasferita in un film di grande richiamo, quasi a conferma che l'universo dei comics è una fonte inesauribile di soggetti spettacolari e di personaggi problematici che divertono, appassionano ma fanno anche riflettere. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Martedì, 1/4/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il dilemma ricorda un po' quello classico dell'uovo e della gallina, ma trasferito nel mondo delle nuvolette per scoprire se in una striscia o in una storia sia più importante il testo oppure il disegno. Se si sfoglia un albo, è chiaro che l'attenzione cade subito sulla grafica e solo in un secondo momento si sposta sul testo, e non solo perchè questo richiede un attimo di riflessione. E' sin troppo evidente che il successo di un fumetto, di un personaggio, di una serie dipende dal valore di entrambi gli elementi, seppure in percentuali diverse. Il testo, dal soggetto alla sceneggiatura, è senz'altro importante, ma non è sufficiente per fare un buon fumetto, perchè il disegno è egualmente importante, dato che una grafica modesta, con tavole mal costruite e con i personaggi privi di carattere e personalità, non potrà mai soddisfare il lettore, dato che l'occhio vuole la sua parte. Senza voler tentare divisioni arbitrarie e soggettive, si può comunque dire che al disegno va un buon 60 per cento del successo di una storia, percentuale che può anche crescere, ma può ridursi se il testo è firmato da autori che sono anche veri scrittori. Gli esempi non mancano, e la storia del fumetto italiano è fin troppo ricca di nomi celebri, sin dagli anni Trenta, con autori che vanno da Zavattini che prima di venir catturato dal cinema è stato un grande sceneggiatore, ai grandi autori degli anni seguenti, a cominciare da Giovanni Luigi Bonelli, cui si deve fra l'altro la nascita di Tex, per giungere al figlio Sergio che per molti anni si era nascosto dietro lo pseudonimo di Guido Nolitta, ma senza dimenticare altri nomi famosi come Guido Martina, autore di molte storie di Topolino e della parodia dell'Inferno dantesco con tutti i personaggi disneyani, o Andrea Lavezzolo, prolifico inventore negli anni Quaranta e seguenti di storie ed eroi del fumetto avventuroso. Anche adesso non mancano gli sceneggiatori di talento come Alfredo Castelli, Carlo Chendi, Tiziano Sclavi, Moreno Burattini o Claudio Nizzi che ha raccolto l'eredità di papà Bonelli, e tanti altri che forse sarebbe troppo lungo citare. Tutti hanno avuto la fortuna di imbattersi in ottimi disegnatori come Galleppini o Gallieno Ferri e tantissimi altri che hanno saputo fondere la carica emotiva dei testi con i loro disegni, dando vita a un prodotto che non è esagerato definire perfetto. In questi casi l'incontro tra un autore di qualità e un bravo disegnatore ha fornito risultati di alto livello, costruendo racconti che ormai fanno parte della storia del fumetto italiano. Può anche accadere che il disegnatore e il soggettista siano la stessa persona (Pratt, Jacovitti, Crepax, e molti altri), e allora il risultato finale diventa ancora migliore. Ma può anche succedere che un autore completo, come lo sono molti vignettisti satirici, sia migliore come battutista che come disegnatore. Altan, per esempio, è inarrivabile a inventare dialoghi e battute pungenti e polemiche come quelli messi in bocca al metalmeccanico Cipputi o alle annoiate signore borghesi, mentre non è eccezionale il suo segno grafico, al di là dell'originale stile personale. In sostanza Altan è un autore che brilla soprattutto per le sue battute, a differenza invece di Forattini le cui vignette, sempre piene dei protagonisti del teatrino della politica, diventano più cattive e precise quando sono completate da didascalie o da dialoghi. A questo punto diventa difficile separare il peso del testo da quello del disegno, anche perchè al successo di un fumetto contribuiscono, seppure non in egual misura, entrambi gli elementi che come abbiamo visto sono sempre essenziali. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 30/3/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi All'inizio i fumetti hanno proposto una lunga serie di personaggi infantili, perchè i comics erano destinati ai bambini. Partiamo da Yellow Kid, il famoso monello giallo ideato da Richard Felton Outcault, che esponeva i motivi della sua protesta sul camicione giallastro e un po' sporco che indossava nei quartieri più poveri di New York. Per farsi perdonare, lo stesso Outcault disegnò, qualche anno dopo, Buster Brown, un ragazzino elegante, educato e insopportabile cresciuto negli ambienti borghesi di New York e trasformato in Italia in un melenso Mimmo Mammolo. Negli stessi anni altri autori idearono altri piccoli protagonisti, da Bibì e Bibò, ovvero gli scatenati Katzenjammer Kids che facevano ammattire con le loro marachelle il Capitano, l'Ispettore e la Tordella, cuoca insuperabile di questa piccola comunità insabbiata in una colonia tedesca nell'Africa nera, a Little Nemo, bambino sognatore che la notte evadeva dal suo mondo per tuffarsi in universi fantastici, da Venezia a lontani Paesi esotici, dove viveva straordinarie avventure. Col passar degli anni i bambini hanno lasciato il posto ad altri personaggi, agli animali per esempio, come Krazy Kat o Felix the Cat, noto in Italia come Mio Mao, oppure a piccoli eroi coraggiosi protagonisti di ardimentose imprese durante la grande guerra, pubblicati dal Corriere dei Piccoli e disegnati da Antonio Rubino e altri. Negli anni Trenta, sulla scia di Cino e Franco - i due giovani americani finiti in Africa nella Pattuglia dell'Avorio - c'è stata in Italia una fioritura di giovanissimi che giravano il mondo in cerca di avventure e per tener alto il buon nome del regime fascista. Nel dopoguerra questo filone sarebbe stato ulteriormente incrementrato da varie collane come quella di Sciuscià (un gruppo di scugnizzi napoletani che risalgono la Penisola al seguito degli Alleati), o quelle dedicate ai tanti eroi del West, dal Piccolo Sceriffo al Piccolo Ranger, tanto per citarne solo un paio. Ma i giovani lettori anzichè identificarsi con questi coetanei, cercavano altri eroi, adulti e coraggiosi. Ma il mondo infantile sarebbe ritornato alla ribaltà nella seconda metà del Novecento, prima con i Peanuts disegnati per oltre mezzo secolo da Schulz, e poi con Mafalda, risposta più arrabbiata a Charlie Brown e ai suoi piccoli compagni. A differenza dei Peanuts, dove i piccoli protagonisti vivono apparentemente felici nella loro dimensione, in Mafalda - disegnata per una decina di anni dall'argentino Quino - c'è sempre una forte carica polemica, con questa bambina terribile che contesta tutto, dai genitori alla scuola, dalla minestra all'intera società. E' diventata quasi il simbolo della rivolta giovanile e a distanza di alcuni decenni continua a vivere in infinite ristampe e nei cartoni animati realizzati a Cuba. Una ricca selezione delle strisce migliori e dei cortometraggi animati viene proposta dalla Salani in un cofanetto (libro e dvd) che riporta alla ribalta anche i piccoli compagni di Mafalda, da Manolito a Susanita, da Felipe a Manuelito, ciascuno con i suoi problemi, che spesso sono anche gli stessi che assillano gli adulti, assenti in queste strisce come sono sempre invisibili i genitori dei Peanuts. [ Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 22/3/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi
Cocco Bill galoppava con successo da una decina di anni quando sul numero 12 del 24 marzo 1968 del Corriere dei Piccoli comparve un altro personaggio uscito dalla fantasia di Jacovitti. Si chiamava Zorry Kid e si ispirava a Zorro, il protagonista dei romanzi dell'americano Johnston McCulley, cronista di cronaca nera, che lo aveva ideato nel 1919. Se le storie del cow boy di Jac riproponevano in chiave umoristica quelle del cinema western, in Zorry Kid il disegnatore prendeva di mira il filone di cappa e spada, in particolare i tanti film dedicati al celebre vendicatore mascherato. Il suo personaggio tuttavia non riscosse il successo che meritava, e fu protagonista solo di una dozzina di storie pubblicate nel corso di circa sei anni, ma poi più volte ristampate in libri e riviste. Il disegnatore ricalcò i personaggi e le situazioni dei romanzi e dei film, reinterpretandoli con originale e pungente umorismo. Così diede vaghe origini partenopee al governatore spagnolo della California, facendolo parlare in dialetto napoletano, mentre di sua figlia, Alonza Alonza detta Alonza, ne fece una ragazza dallo schiaffo facile che liquidava uno dopo l'altro i suoi pretendenti. Il celebre sergente Garcia di tanti telefilm divenne Martin Pelota, sempre destinato comunque a venir ridicolizzato da Zorro, insieme al suo comandante, il capitano Perfidio Malandero. Ed eccoci al protagonista del ciclo, Zorro, un personaggio che nella vita quotidiana si mostra come un indolente e sfaticato don Lope de la Vega che passa il tempo danzando il flamenco al suono delle nacchere. Ha un fedele servitore, Carmelito Batiston, semianalfabeta, perchè sa leggere ma non sa scrivere, per cui i suoi fumetti sono in bianco. Quando indossa il costume da lavoro, Paloma Kid - così il suo autore ha chiamato Lope de la Vega - si trasforma, diventa un misterioso giustiziere mascherato, terrore degli spagnoli che tiranneggiano il suo popolo, e manovrando con grande abilità la spada e la frusta lascia un segno indelebile sulla fronte e sugli abiti dei suoi nemici, una lettera zeta che è divenuta il suo marchio. In questo ciclo Jacovitti ha dato libero sfogo a tutta la sua vena dissacrante e ironica, con una serie di trovate umoristiche favorite anche dalla dimensione in fondo melodrammatica dei romanzi e dei tanti film che hanno ispirato, spesso con grandi interpreti, da Douglas Fairbanks all'epoca del muto ad Antonio Banderas, che è stato l'ultimo di una serie lunghissima. [Carlo Scaringi] - [Fate click sull'immagine di questo articolo per godervi il trailer del cartone animato di Zorry Kid prodotto da Mas & Partners, RAI Fiction e Graphilm. NdR]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 12/3/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Scomparso nel 1991 a soli 64 anni, Gianni De Luca, calabrese di nascita e romano di adozione, è stato, e resta, uno dei maestri del fumetto italiano, anche se il suo ricordo si è dissolto troppo presto, saltuariamente ravvivato solo da qualche ristampa. De Luca è stato sempre schivo, quasi isolato, fuori da correnti e gruppi, legato soprattutto all'editoria cattolica, avendo debuttato sul Vittorioso e poi lavorato quasi esclusivamente per il Giornalino. A differenza di molti altri disegnatori, non ha mai realizzato un ciclo di storie con un protagonista fisso se si escludono i racconti del commissario Spada, apparsi lungo l'arco degli anni Settanta sempre sul Giornalino che sono una precisa e spesso drammatica cronaca di quel decennio difficile, dalla criminalità al terrorismo. De Luca è stato un disegnatore capace sempre di adattare il suo segno grafico allo spirito delle storie, passando dal realismo delle vicende del passato, storiche, bibliche, cristiane, ecc. al fantastico di Paulus, uno dei suoi ultimi capolavori in cui la storia del grande apostolo si mescola con risvolti fantascientifici, dal grottesco delle biografie di Totò e Marilyn Monroe al tratto quasi infantile del Giornalino di Gian Burrasca. E' difficile scegliere, fra le decine di fumetti di Gianni De Luca, i suoi capolavori. Lo è in un certo senso Le braccia di marmo in cui il colonnato di piazza San Pietro rappresenta simbolicamente l'abbraccio del Cristianesimo al mondo, ma lo è anche La freccia nera, robusta riduzione del celebre romanzo di Stevenson. Ma i suoi capolavori sono stati il Commissario Spada e i tre fumetti tratti da tre testi di Shakespeare, Amleto, La tempesta e Romeo e Giulietta. Qui De Luca si è non solo superato, ma ha innovato profondamente il mondo del fumetto, soprattutto con l'inedita e originale invenzione di dare un senso di profondità e di movimento a immagini e scene statiche. La duplice trovata di infrangere i rigidi confini delle vignette e di presentare i protagonisti come tanti fotogrammi ha infatti annullato la fissità della tavola, dandole una dimensione quasi scenografica, soprattutto nelle opere scespiriane, con Amleto o gli sfortunati amanti di Verona in primo piano e sempre in apparente movimento. Anche nelle storie di Spada De Luca sviluppa questa sua ricerca grafica, seppure in misura minore perchè qui il realismo delle indagini richiede un taglio più cinematografico e meno teatrale. Ed è stato proprio questo realismo a far temere una chiusura anticipata del ciclo nel 1978 in pieno caso Moro perchè alcune storie suscitavano perplessità nel gruppo dirigente del Giornalino. Adesso, trent'anni dopo, è facile attribuire un carattere profetico a qualche episodio di questa serie poliziesca che lo sceneggiatore Gian Luigi Gonano e il disegnatore avevano proposto con un taglio forse troppo adulto per un settimanale rivolto ai ragazzi, ma allora il clima era diverso. Adesso Gianni De Luca viene ricordato a Bologna in una grande mostra aperta fino al 4 maggio, in un'occasione pressocchè unica per ricordare un autore tra i maggiori del mondo delle nuvolette. [Carlo Scaringi] - [Click qui per accedere a un video con altre immagini. NdR]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 9/3/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi La presenza femminile nel mondo dei comics è senz'altro notevole, ma quasi mai le donne diventano protagoniste di lunghe serie di successo come la Valentina di Crepax o l'inglese Jane degli anni Trenta. Le incontriamo invece nel ruolo di mogli, petulanti e ambiziose come Petronilla, oppure rassegnate e insoddisfatte come Blondie, che vorrebbe tanto fare vita di società o shopping con le amiche ma non può perchè con due figli e un marito con stipendio da fame non si va avanti. Numerose sono le eterne fidanzate, da Minnie a Paperina, a Diana che dopo una quarantina di anni è finalmente riuscita a sposare Phantom, mentre altre finiscono per convivere felicemente con quel mago di Mandrake, come Narda, o con il re dei ladri, l'imprendibile Diabolik come Eva Kant. E' quindi con una certa sorpresa che abbiamo trovato su Skorpio - il settimanale che da una trentina di anni affianca Lanciostory, l'altra rivista-contenitore dell'Eura- ben tre storie con donne nel ruolo di protagoniste assolute. E' accaduto durante il mese di febbraio, un evento peraltro non raro nella vita di Skorpio. Le tre storie avevano, e hanno, per protagoniste Amanda, Modesty Blaise e Chiara. La prima è una povera ragazza di Buenos Aires che fugge in Europa in cerca di fortuna, e magari del principe azzurro, ma s'imbatte sempre in loschi figuri e in individui poco raccomandabili che sfruttando la sua ingenuità la mettono nei pasticci. Ideata da Robin Wood e disegnata con garbo da Alfredo Falugi, Amanda è un riuscito personaggio femminile e la vicenda assume spesso i contorni di un affresco amaro e realistico del nostro tempo. Modesty Blaise è stata ideata nei romanzi di Peter O'Donnell ed è poi passata nel mondo delle nuvolette, disegnata da Enrique B. Romero. Le sue storie, ambientate nell'universo dello spionaggio, spaziano per tutti i continenti e propongono spesso vicende romanzesche ma verosimili. Con Chiara, ideata da Trillo, sceneggiata da Maicas e disegnata da Jordi Bernet, il mondo della prostituzione ha fatto il suo ingresso nei fumetti. Sono brevi storie, quasi un intermezzo umoristico, senza alcun intento moralistico, che Bernet ha disegnato con leggera ironia, ma con l'obiettivo di mostrare la complessa e anche amara realtà di un mondo quasi insolito. Oltre a queste, è appena giunta su Skorpio una quarta eroina, Malena, in una storia avventurosa con risvolti fantascientifici e di horror, scritta da Gustavo Schimpp e disegnata con fantasia e realismo da Marcelo Valentini, giovane promessa del fumetto argentino. Ispirata al filone delle leggende metropolitane, Malena narra una storia ambientata nei sotterranei di una metropoli dove insieme a torme di topi si aggirano spaventosi mostri preistorici, che forse sopravvivono solo nelle profondità del Pacifico. Questa massiccia presenza femminile non è un caso isolato, perchè le due riviste dell'Eura hanno sempre ospitato fumetti con eroine, spesso inserite anche nelle due collane cartonate, da Barbara di Zanotto a Jessica Blandy, alla saga di Pin Up, tanto per citare alcuni dei successi maggiori. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 9/3/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Da oltre una dozzina di anni migliaia di lettori di Hugo Pratt sono in attesa del ritorno di Corto Maltese, ma finora la Cong, la società che cura i diritti e le ristampe delle opere del grande autore, non ha trovato un disegnatore capace non solo di imitarlo, ma anche di ricreare il clima e le atmosfere, e soprattutto le sensazioni che Pratt trasfondeva nelle avventure del famoso marinaio, che forse è destinato a scomparire per sempre come è accaduto a Tintin di Hergè, ai Peanuts di Schulz o alla Valentina di Crepax. Sono immortali invece i personaggi disneiani perchè il loro successo non dipende unicamente dalla bravura o dalla fantasia degli autori, molti dei quali sono rimasti pressocchè sconosciuti perchè Walt Disney li costringeva a un anonimato dal quale sono comunque usciti due maestri del fumetto come Floyd Gottfredsson o Carl Barks, autori in anni ormai lontani delle migliori storie di Topolino e di Paperino, oppure come molti disegnatori italiani, da Scarpa a Carpi, da Cavazzano a Bottaro, allo sceneggiatore Carlo Chendi, inventore di molti personaggi che fanno da appetitoso contorno ai protagonisti maggiori e di infinite parodie storiche e letterarie. Ma torniamo a Hugo Pratt la cui presenza è sempre viva nel mondo delle nuvolette grazie anche alle molte ristampe curate dalla Lizard. Se è difficile, quasi impossibile rinnovare il mito e l'immagine di Corto Maltese, più facile è immergersi nel mondo di un altro classico ciclo di Pratt, quello degli Scorpioni del deserto, ovvero delle avventure di un plotone di soldati di varia nazionalità compreso l'italiano tenente Stella, per lo più sbandati o stanchi della guerra, raccolti intorno al capitano Koinsky, polacco di nascita, mezzo ebreo e inglese d'adozione, che come guerriglieri autonomi si mettono al servizio delle truppe alleate per combattere tedeschi e fascisti. Quando è morto, Pratt aveva pubblicato i primi cinque episodi di questa saga bellica, e qualche anno fa il disegnatore franco-elvetico Pierre Wazen aveva cercato di proseguirla con un altro capitolo, Appuntamento a Dire Dauda, con esito molto modesto che ha spinto la Cong a cercare altri autori, che sono stati trovati in una coppia di emiliani di Reggio, Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli, formatisi alla scuola della Marvel e della DC Comics. Il risultato è stato un volume, pubblicato due anni fa dalla Lizard, dal titolo Quattro sassi sul fuoco, che viene ora riproposto in edizione cartonata e a colori, con un'avventura ben congegnata e coinvolgente, che probabilmente avrà un seguito nei prossimi anni. Forse è un primo passo, quasi una piccola tappa di avvicinamento a quella impegnativa montagna rappresentata dall'universo di Corto Maltese, certo pieno di insidie ma molto affascinante. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 1/3/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il mito della guerra civile spagnola ha spesso attratto cineasti e romanzieri per quella sua carica di romanticismo mescolata purtroppo a drammatici episodi di violenza. Hugo Pratt aveva pensato di concludere la lunga saga di Corto Maltese in Spagna facendo scomparire il suo eroe nel clima del conflitto, ma il destino ha deciso diversamente. In Spagna si svolge gran parte dell’avventura di Joan, ideato da Robin Wood e disegnato da Carlos Pedrazzini. Joan è un giovane spagnolo sbandato finito in mezzo al conflitto. Va in cerca dell’avventura e la troverà ampiamente nei primi episodi della lunga storia, apparsa su Skorpio, il settimanale dell’Eura Editoriale, che abbraccia gli anni tra il 1936 e dintorni e i primi anni Quaranta quando il protagonista parte per l’Algeria ancora francese per arruolarsi nella Legione Straniera. Questa prima lunga parte ricorda un po’ la storia di Dago, il giovane veneziano catturato dai Saraceni, le cui avventure si svolgono quattro secoli prima di quelle vissute da Joan, un piccolo eroe forse privo dell’idealismo di Dago, cinico e cattivo quanto basta per tirarsi fuori dai guai. Dopo questo ciclo ne inizierà un altro, collocato negli anni quaranta e nel Nord Africa. Nell’attesa l’Eura ha inserito Joan nella sua collana di cartonati a colore. Il primo volume ha un chiaro taglio introduttivo, presentando personaggi e situazioni della lunga vicenda, ma contiene tutti gli elementi che suscitano il giusto interesse. merito del testo di Robin Wood, sempre attento in egual misura alla realtà storica e all’avventura, e dei disegni di Carlos Pedrazzini, autore di espressivi primi piani e di scene corali di guerra e di violenza, senza trascurare quel pizzico di erotismo che insaporisce la storia. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 20/2/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Ideato da Gianfranco Manfredi in 14 episodi, il ciclo di Volto Nascosto ha forse un po' deluso quanti si aspettavano battaglie, scontri all'arma bianca, agguati e tutti gli ingredienti tradizionali di un western della vecchia frontiera trasferito nell'Africa fine Ottocento. In realtà questo ultimo successo delle edizioni di Sergio Bonelli si distacca sensibilmente dai canoni classici del fumetto d'avventura e di azione, in quanto cerca di scavare nel retroterra che è alla base dello scontro fra il misterioso personaggio dal viso celato da una maschera d'argento e gli italiani invasori, principalmente con Cesare, un ufficiale finito in Etiopia per evitare la noia di un servizio militare a Roma, apparentemente inutile. Ma una volta in Africa, Cesare entra in contatto con l'ambizione e spesso con l'incompetenza degli ufficiali, preoccupati più dalla mancanza di Chianti che di quella dei rinforzi indispensabili per respingere l'assedio degli etiopici intorno alla fortezza di Makallè. In questo clima prende corpo il futuro scontro fra Cesare e Volto Nascosto, personaggio che finora ha fatto poche apparizioni ma il cui ruolo crescerà notevolmente nei prossimi episodi che ci sveleranno i segreti motivi per cui nasconde la sua faccia e combatte gli italiani. Volto Nascosto non è molto differente da Magico Vento, entrambi infatti hanno un passato da nascondere e combattono per difendere la loro terra, anche se talvolta è una patria di adozione. Non mancano, in questo ciclo, accanto a figure storiche, altri personaggi di forte spessore che vivono a Roma, da Matilde, innamorata di Cesare, a Ugo, amico dell'ufficiale, che seguono da lontano gli eventi africani, partecipandovi emotivamente. Interessanti, infine, le presenze del Negus e di sua moglie, la regina Taitù, di religione cristiana che vuole evitare l'inutile uccisione di nemici anch'essi cristiani come gli italiani. Anche il Negus non vuole lo scontro e cerca di evitarlo trattando segretamente con affaristi italiani disposti ad aiutarlo economicamente. E qui entra in ballo un altro aspetto di quegli anni, la crescente corruzione che da Roma si estenderà anche nell'area africana, che sarà oggetto dei prossimi episodi, accanto agli scontri militari fra etiopi e italiani, che imprimeranno una forte dose di azione a questa storia un po' romanzesca, ma sostanzialmemte vera. (Carlo Scaringi). Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 16/2/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Da tempo gli editori, compresi quelli maggiori dalla Disney Italia a Bonelli, dall’Astorina all’Eura, lamentano cali più o meno pesanti nelle vendite. Non è una novità, ma il risultato di una crisi che ha molteplici motivi, il più evidente dei quali è la concorrenza dei videogiochi e di Internet, che distolgono dalla lettura ampi settori di appassionati dei fumetti, anche se non sempre si ritrovano nel freddo computer il calore e il fascino emanati dalla carta stampata. La crisi lamentata dagli editori non è solo crisi di vendite, ma anche, e forse soprattutto, crisi di idee, nel senso che storie e personaggi di oggi risultano di gran lunga inferiori a quelli di qualche anno fa. E’ indubbio che Claudio Nizzi, sceneggiatore di Tex e altri eroi bonelliani, non è per nulla inferiore a papà Bonelli, così come molti disegnatori di oggi non fanno rimpiangere Galleppini. Ma sembrano mancare, in queste storie, il fascino, il clima, magari anche il piacere dell’avventura che caratterizzava i vecchi racconti. Una conferma ci arriva dal successo che stanno ottenendo le ristampe, spesso di qualità, allegate a quotidiani e periodici. Se fossero in crisi il fumetto e i suoi personaggi, non si avrebbe quel successo di vendite che ottengono gli eroi anche un po’ datati, acclusi ai giornali venduti nelle edicole. D’accordo che Tex o Diabolik hanno alle loro spalle decenni di avventure e fanno parte di quel piccolo, o grande, mondo dell’immaginario tanto amato dal pubblico, oppure che un ciclo di vecchi fumetti – realizzati da Carl Barks, uno dei maestri dei comics americani – dedicato alla dinastia dei paperi disneyani, registri a sua volta un successo di vendite considerevole, ma forse è il caso di cercare i motivi di questi piccoli boom editoriali. Non è necessario svolgere indagini di mercato per scoprire che il pubblico resta spesso affezionato alle cose più belle del passato, che adesso il mondo delle edicole propone in abbondanza. Del resto non è un caso che alcuni editori dal magazzino pressocchè inesauribile, come la Disney o Bonelli o la stessa Astorina, affianchino le collane originali con numerose ristampe, che spesso ripropongono dal primo numero i cicli più famosi, da Tex a Dylan Dog, dalle parodie disneyane alle imprese di Diabolik. Accanto a queste iniziative ci sono le miniserie, che caratterizzano l’attuale produzione bonelliana, o gli sporadici numeri unici con racconti autoconclusivi, interessanti ma dall’incerto futuro. La realtà è che dalla crisi si esce solo con nuovi personaggi e con storie originali. Ma per il momento l’orizzonte è nebuloso. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 8/2/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Nel 1960 Fellini, impegnato nelle riprese della Dolce Vita, inventò il termine paparazzo, che non significava nulla, ma che indicava con precisa efficacia il fotografo impiccione, che inseguiva i VIP in cerca di tranquillità. Oltre trent’anni prima, nel 1928, il disegnatore Bruno Angoletta – vignettista satirico costretto dal regime a riciclarsi in illustratore per l’infanzia – aveva inventato il nome di Marmittone per un singolare soldatino che fece il suo esordio sul Corriere dei Piccoli del 29 gennaio del 1928. Al pari di Paparazzo, il termine rendeva molto bene l’immagine del piccolo fante un po’ sportunato e perennemente impegnato in guerre che combatteva con coraggio ma senza molta convinzione. Malgrado questa sua posizione critica, il regime tollerò fino alla sconfitta del 1943 la presenza di questo piccolo fante schiacciato da un cappello a cono tronco, che girava per l’Europa in armi, dai deserti africani alle pianure nevose della Russia, sempre a piedi, e guardando con nostalgia e invidia i traballanti camion carichi di altri commilitoni più fortunati. Le sue imprese non erano mai eroiche e si concludevano quasi sempre in cucina a pelar patate. Marmittone è stato il personaggio che ha reso celebre il suo autore, ma Angoletta ha inventato altri protagonisti che hanno divertito a lungo i suoi piccoli lettori, da Ermete Centerbe a sor Calogero Sorbara, contribuendo sensibilmente al successo del Corriere dei Piccoli, e della nascente scuola italiana del fumetto. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 30/1/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Tra i tanti personaggi di attualità approdati su Topolino, l’ultimo è Francesco Totti, il calciatore della Roma che si esibisce negli aspetti migliori del suo repertorio, dal celebre cucchiaio alle barzellette. Nel corso degli anni lo sport ha fornito vari personaggi e molti spunti per storie a fumetti. Quasi sempre sono stati pugili, perché la boxe offre sempre elementi di drammaticità e di spettacolarità. L’unico calciatore diventato anche un eroe delle nuvolette è Gunner, ideato nel 1971 dall’argentino Salinas e poi proseguito da Lucho Olivares. È un attaccante protagonista di imprese sportive sul campo di calcio e di indagini poliziesche nella società. Ma non ha lo spessore drammatico di molti pugili, campioni nei fumetti ma anche nella realtà, immortalati in molti film famosi. Il primo eroe di carta di un certo peso, e non solo perché è un campione dei massimi, è Joe Palooka, creato nel 1920 dall’americano Ham Fisher che lo ha disegnato a lungo. Sulla scia del suo successo è arrivato nel 1949 Big Ben Bolt, campione dal cuore d’oro, ma duro sul ring dove conquista molti titoli mondiali. In mezzo fra i due campioni americani s’inserisce, nel 1938, Dick Fulmine, pugile di successo disegnato da Carlo Cossio. Fulmine risente del clima dell’epoca e i suoi nemici sono gli stessi del regime, dai gangsters americani agli affaristi ebrei, ai subdoli asiatici. Nel dopoguerra un altro famoso pugile italiano come Primo Carnera, è diventato un eroe dei fumetti, in storie che alternano la cronaca dei suoi successi sportivi a vicende avventurose, a sfondo poliziesco. Più sporadica la presenza di altri sport, come il pattinaggio o l’hockey su ghiaccio dove si esibisce, con scarso successo, Snoopy, il bracchetto amico di Charlie Brown e compagni. In questo panorama di sport e fumetti non manca l’automobilismo con Michel Vaillant, spregiudicato e coraggioso pilota disegnato da Jean Graton, protagonista di spettacolari gare su tutti i circuiti del mondo. Il successo di questo fumetto ha spinto Paolo Ongaro, sempre attento alle vicende sportive, a narrare con avvincenti disegni le più famose gare di formula uno, in una miscela di fantasia e realtà. Lo sport, infine, ha fatto il suo ingresso anche nel regno di Phantom, che ha organizzato una singolare Olimpiade con la partecipazione di pigmei e belve, rese mansuete dalla tregua olimpica. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 25/1/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi I problemi, le inquietudini, le incertezze, le contraddizioni del mondo di oggi sono stati trasferiti da John Hart, uno dei massimi autori americani, scomparso un anno fa, in una dimensione preistorica. L invenzione della striscia risale al 1958, ma non ha perso mai quello spirito amaro e polemico che è il succo della vicenda. Nel corso degli anni a B C e ai suoi amici si è unita una singolare fauna composta da formiche, formichieri, serpenti, dinosauri e uccelli vari che dialogano, si scontrano, si accompagnano ai cavernicoli in vicende che toccano tutti i temi della vita quotidiana. Malgrado il loro numero limitato, questi cavernicoli e le loro donne, spesso raffigurate come vecchie matrone autoritarie e dispotiche, vivono ciascuno nel proprio universo in un clima nel quale si ritrovano la stessa alienazione e la stessa incomunicabilità della frenetica società moderna. Ciascun personaggio ha una propria caratteristica: Peter è un avventuroso esploratore lanciato verso gli estremi limiti del mondo, Thor ha inventato la ruota e se ne serve come un automobilista spericolato, Wiley, poeta e filosofo con gamba di legno e barba incolta, è macerato interiormente ed esternamente. Infine c’è B C che scaglia sentenze e giudizi rivolti principalmente al mondo dei posteri. Ma tutti soffrono di solitudine, la stessa che si ritrova nelle metropoli di oggi dove l’affollamento, le auto imbottigliate, i grattacieli spingono gli uomini a chiudersi in tanti microcosmi entro i quali ciascuno coltiva i propri interessi. Come i cavernicoli di B C. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 20/1/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Con un nuovo interprete nel ruolo del bellicoso Gallo, arriva a fine gennaio in Francia e qualche giorno dopo in Italia il terzo film della saga di Asterix, la fortunata serie a fumetti di Goscinny e Uderzo. Non mancherà Gerard Depardieu nei panni del massiccio Obelix, braccio destro di Asterix interpretato da Clovis Cammarac. Tra le novità di questo terzo film spicca la presenza di Alain Delon, al suo ritorno sul set dopo una lunga depressione, che interpreta un settantenne Giulio Cesare. In un film proiettato nello scenario olimpico non mancano infine le presenze di campioni dello sport, come Zidane che con la maglia Numerodix è un asso del pallone, o quella di Michael Schumacher impegnato in una corsa delle bighe, consigliato dal muretto da Jean Todt. Infine le jene televisive Bizzarri e Kessisoglu sono due giudici di gara corrotti. Insomma ci sono tutti gli ingredienti per un pieno successo di questo terzo Asterix con attori e per smentire così una tradizione che i film ispirati agli eroi di carta non soddisfano il pubblico dei lettori di fumetti, perché non vi ritrova le atmosfere suscitate nelle pagine cartacee. Certo non è facile conservare sul grande schermo il fascino dei piccoli disegni, ma il matrimonio tra cinema e fumetto continua a resistere, grazie anche alla saga di Asterix, un personaggio che col tempo ha un po’ perso la carica iniziale, ma che resta comunque uno dei più originali e riusciti dei fumetti. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 11/1/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Per lungo tempo gli autori dei fumetti hanno saccheggiato il mondo della fantasia, nei suoi molteplici aspetti, dall’avventura al sentimento, al mistero. Ma da qualche tempo molte storie propongono temi e personaggi che sembrano uscire dalla realtà, con situazioni ispirate alla cronaca, quasi sempre nera. Gli esempi di questo nuovo modo di narrare storie a fumetti sono già numerosi, a cominciare dalla lunga saga di Dago che pur essendo un fumetto storico è saldamente radicato nella realtà, sia pure quella di mezzo millennio fa. Già, perchè le vicende di Dago propongono situazioni realistiche che sono sempre credibili, anche se avvenute qualche secolo fa. Non altrettanto può dirsi invece di un altro famoso personaggio dell’Eura, quel Martin Hel, ideato dallo stesso autore di Dago, ovvero Robin Wood, che all’inizio è stato protagonista di racconti in qualche modo ispirati alla realtà, ma che poi si sono un po’ snaturati, inseguendo vicende sempre magiche, ma con situazioni spesso al limite del verosimile. Ma il realismo è più massicciamente presente nelle storie poliziesche, quelle che spaziano dalla mafia al terrorismo, temi sempre presenti nella nostra vita quotidiana. Un esempio decisamente riuscito ci arriva con Vlad, un lungo ciclo realizzato da Swolfs, che porta alla ribalta la Russia del 2050, dominata dalle devastanti incursioni della mafia, quel gruppo di potere che in vari Paesi ha rimpiazzato i dissolti poteri politici. Il protagonista di questa lunga serie – proposta nei cartonati dell'Eura Editoriale – è appunto Vlad, un ex ufficiale che per venire in possesso di una ricca eredità deve rintracciare Igor, suo fratello gemello da tempo irreperibile e presumibilmente coinvolto in loschi affari di mafia. La ricerca non si prospetta facile, ma offre l’occasione per entrare nel mondo oscuro e nebuloso della mafia russa, non molto diverso da quello in cui si muovono tutti gli universi criminali. La storia è ben congegnata, coinvolgente e ricca di colpi di scena, con momenti di violenza sparsi nei posti giusti, e dimostra soprattutto come sia possibile realizzare fumetti di buona qualità ispirandosi alla cronaca quasi quotidiana del nostro tempo. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Martedì, 1/1/2008 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Il prossimo 2008 sarà un anno ricco di ricorrenze che scandiranno, un mese dopo l’altro, un secolo di storia del fumetto italiano. Già, perché i comics sono arrivati nel nostro Paese il 27 dicembre del 1908, quando uscì il primo numero del Corriere dei Piccoli, il giornalino per decenni lettura preferita dei ragazzi italiani. Accanto a personaggi americani come Buster Brown o Happy Hooligan, diventati rispettivamente Mimmo Mammolo e Fortunello, c’era anche un simpatico negretto inventato da Attilio Mussino, uno dei grandi illustratori di Pinocchio, che aveva la caratteristica di mutare colore secondo gli stati d’animo. Accanto al centenario del Corrierino, il 2008 ne propone altri, come quello di Giovanni Luigi Bonelli, nato il 22 dicembre, e quelli di Rino Albertarelli, uno dei maggiori disegnatori, scomparso all’inizio degli anni Settanta, e di Giovanni Guareschi, che è stato non solo il padre della lunga saga di Don Camillo, ma anche grande vignettista e appassionato di fumetti. La cadenza col numero 8 è stata particolarmente ricca di anniversari. Nel 1928, per esempio, nasceva Marmittone, il soldatino poco eroico in un’epoca virile e muscolosa, le cui imprese lo portavano spesso in cucina a pelar patate. Dieci anni dopo (1938) invece era la volta di Romano il legionario, inserito nel clima bellico di quegli anni. Allo stesso anno risale anche Dick Fulmine, avventuriero e poliziotto alle prese con il banditismo imperante, soprattutto negli Stati Uniti. Particolarmente ricco anche il 1948, dominato dalla presenza di Tex, il più longevo eroe del nostro del nostro fumetto, ideato da papà Bonelli e disegnato da Galleppini. Accanto a lui ci sono Misterix, il Piccolo Ranger e il Piccolo Sceriffo, protagonisti bambini tanto di moda in quegli anni. Diversa è invece Pantera Bionda, una sorta di Tarzan al femminile, che incappò anche nella censura per il suo gonnellino troppo svolazzante. Finora ci siamo soffermati su ricorrenze italiane, ma altrettanto ricco è il panorama mondiale, dominato dai 70 anni di Superman, il primo e il più celebre dei supereroi. Al 1928 risale invece la prima apparizione, in un film animato, di Topolino, che due anni dopo debutterà sulla carta stampata, e sempre nel 1928 nascono Cino e Franco, che solo nel 1932 inizieranno il loro viaggio in Africa sulle tracce della regina Loana. Nel 1938 avvengono invece i debutti di Lone Ranger e soprattutto di Paperino, già protagonista di alcuni cortometraggi animati. Nel 1948 arriva uno dei più riusciti personaggi del fumetto francese, quel Lucky Luke cow boy strampalato inserito all’interno di uno scenario realistico. La carrellata si conclude nel 1958 con l’arrivo dei cavernicoli di B. C. e dei Puffi, resi celebri da una serie infinita di cartoni animati. Ma dobbiamo purtoppo ricordare anche alcune dolorose scomparse, quella di Segar, il creatore di Popeye avvenuta nel 1938 o quelle di Milton Caniff e di Andrea Pazienza, morti entrambi nel 1988. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 22/12/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Negli anni Trenta in Italia c’era poco da ridere, eppure si ebbe una gran fioritura di giornali umoristici, dal Marc’Aurelio al Bertoldo che il regime considerava come valvole di sfogo del malcontento popolare. Nei regimi dittatoriali di oggi la situazione è molto diversa e soprattutto più pesante, come in Cina dove il regime ha messo al bando ogni forma di dissenso, che sarà repressa con pugno di ferro. Ma c’è chi si ribella, in Cina e nel resto del mondo, e non intende far mancare un gesto di solidarietà verso quanti, sfidando le ire del regime di Pechino, vogliono far sentire la propria voce in difesa della libertà e della democrazia. E’ il caso, per esempio, della quindicesima edizione dell’Humourfest in programma a Foligno negli stessi giorni in cui la Cina ospiterà le Olimpiadi, nel prossimo agosto. Come è accaduto nel passato, la classica rassegna dedicata alla satira offrirà quest’anno un panorama della migliore produzione dei prossimi mesi puntando l’obiettivo proprio su quelle vignette che vogliono essere altrettante frecce scagliate contro il regime cinese. Gli organizzatori sperano di poter offrire anche qualche contributo di autori satirici cinesi, pur sapendo che non sarà facile perforare le maglie della censura di Pechino. Ma ci saranno in ogni caso vignette di molti celebri disegnatori italiani ed europei, tutti uniti contro l’isolamento che il regime cinese sta cercando di creare intorno al dissenso. La rassegna di Foligno non è rivolta contro la Cina, che vanta antiche tradizioni di civiltà, ma contro quanti, calpestando questo passato, vogliono bloccare l’avanzata, seppur difficile, della Cina verso la conquista di una piena democrazia. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Martedì, 11/12/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Tra le decine di personaggi che Jacovitti ha disegnato nella sua lunga carriera, non c’è dubbio che Cocco Bill sia il più popolare, il più amato, quello meglio riuscito. Ma non ci piace dimenticare lo Jacovitti degli anni giovanili quando forse andando alla ricerca di una più chiara collocazione politica, realizzò storie oggi quasi dimenticate, con un sottofondo qualunquistico che si chiamavano L’onorevole Tarzan, Mandrago il mago o anche Battista l’ingenuo fascista. In tutte c’era sempre una chiara colorazione politica, ma senza sposarne le tesi più oltranziste, forse perché già allora il disegnatore aveva scelto di essere un estremista di centro, come si è sempre definito. In queste storie ci sono qua e là alcune originali intuizioni che avremmo ritrovato in tanti film neoralisti di De Sica e Zavattini, peraltro già autore e lettore di fumetti, e c’è anche quel simbolo cattocomunista che Forattini disegna spesso sulle bandiere di Prodi, la classica falce e martello con la Croce al posto del martello. Ma le storie sono dei piccoli capolavori di satira politica e di costume, con situazioni non insolite in quegli anni. Poi Jacovitti ha imboccato la via della comicità, dell’umorismo surreale o demenziale che ha raggiunto l’apice con il lungo ciclo di Cocco Bill, pubblcato dal marzo 1957 fino alla primavera del 1998 quando sul Giornalino apparve l’ultima storia postuma, pochi mesi dopo la morte del disegnatore, avvenuta il 3 dicembre del 1997 quasi contemporaneamente a quella della sua amata moglie, uccisa dal dolore. A questo duplice anniversario è dedicato il grosso volume Cocco Bill, mezzo secolo di risate western, edito da Stampa Alternativa e curato da Gianni Brunoro, che ci permette di tuffarci in una dimensione insolita dell’antico West, quella umoristica, ma anche realistica, che Jacovitti ha raffigurato con la precisione dell’appassionato del regno di Tex. Tutte le storie non sono mai superficiali, i personaggi sono ben scolpiti e le situazioni, al di là dello spirito demenziale dell’autore, sono sempre verosimili. Nel ciclo di Cocco Bill c’è sempre il piacere dello sberleffo, dell’ironia, della dissacrazione, tutte qualità tipiche di Jacovitti, un maestro del fumetto italiano, che forse non ha varcato i confini della provincia, ma con un livello pari a quello dei grandi autori mondiali. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 6/12/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Dopo 9 anni di vita e 18 numeri pubblicati, Gea ha concluso la sua storia editoriale. E’ stato un periodo molto lungo, ricco di vicende avvincenti e coinvolgenti per la varietà dei personaggi e dei temi proposti, sempre avventurosi e fantascientifici, ma legati anche a situazioni vicine al nostro tempo, come l’ecologia e la difesa del nostro pianeta. Il vuoto lasciato dall’eroina di Luca Enoch viene subito colmato da una nuova serie, anch’essa semestrale, perchè le edizioni di Bonelli sono una fucina che lavora senza sosta. Si tratta di Universo Alfa, una collana affidata allo stesso staff di Nathan Never, che approfondirà e svilupperà le situazioni della fortunata collana mensile, con storie auto conclusive e articoli e interventi di varia umanità, che faranno della nuova serie bonelliana una piccola e interessante rivista contenitore, un genere di cui si sente da tempo la mancanza. Tra le novità di casa Bonelli ricordiamo infine un nuovo numero speciale di Mister No, dedicato a una avventura che Jerry Drake e Esse Esse vivono fra Bolivia e Brasile, nella quale l‘ex nazista svolge quasi un ruolo da protagonista. La storia conferma che la nostalgia per lo scanzonato pilota è sempre grande nella casa editrice e perfino fra i lettori, orfani di un eroe storico del fumetto italiano. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 1/12/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Negli anni Cinquanta, in fondo alle chiese accanto agli avvisi sacri, c’erano spesso elenchi con i film da vedere e quelli vietati. Talvolta c’erano anche elenchi con i fumetti da leggere come quelli del Vittorioso o del Giornalino, e quelli proibiti, capeggiati quasi sempre da Tex, condannato sia per la sua violenza che per il colorito linguaggio che papà Bonelli metteva in bocca al celebre Ranger. Nello stesso tempo al Parlamento alcuni deputati dc chiedevano la proibizione dei fumetti considerati strumento di corruzione dei giovani. Ma le critiche arrivavano anche dall’interno dello stesso partito comunista con Togliatti che polemizzando con Gianni Rodari, noto scrittore per ragazzi, difendeva i disegnatori che illustravano con realismo e poesia le fiabe russe,contrapponendoli agli autori dei fumetti americani. Lo scontro durò a lungo e i fumetti ebbero momenti di vita difficile per colpa soprattutto dell’inedita alleanza che si era creata fra destra e sinistra. In soccorso di Rodari e degli altri esponenti della sinistra arrivò anche Giovanni Guareschi, vignettista e polemista di destra, che difese apertamente i fumetti. Col passar del tempo la polemica si è spenta, superata da altri temi più seri, ma rievocarla serve per tener acceso il ricordo di una guerra piccola e forse ridicola e per riportare alla ribalta anni difficili, per tutti, e non solo per i fumetti. Adesso che gli steccati sono caduti, non sarebbe male che destra e sinistra si unissero per combattere un’altra minaccia ben più pericolosa, quella che anche nei fumetti arriva dal lontano Oriente, con la massiccia invasione dei manga giapponesi che non sono solo una minaccia morale ma anche economica. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 16/11/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi In casa di mamma RAI accade spesso che il programma celebrativo di un evento o di un personaggio storico venga trasmesso con ritardo rispetto alla data da celebrare. Lo stesso è accaduto con Supergulp, il programma di successo in onda da metà marzo del 1977, ricordato solo recentemente con un cofanetto composto da un dvd di Rai Trade con i migliori cortometraggi della trasmissione e da un volume edito da Salani con ricordi, testimonianze, curiosità su quel programma e i suoi autori. Il merito di Supergulp è stato quello di aver portato il fumetto italiano in prima serata con una serie di filmati di animazione dedicati ad alcuni famosi personaggi da Corto Maltese ad Alan Ford, da Jack Mandolino a Nick Carter, ideato per l’occasione da Guido de Maria e Bonvi. Erano storielle di una decina di minuti ciascuna spesso tratte dai fumetti di carta e spesso ideate appositamente. Non tutte erano animate ma “mosse” da giochi di telecamera. In un periodo in cui il fumetto italiano attraversava un momento felice con riviste d’autore come Linus ed Eureka e le migliori edizioni del Salone di Lucca, i migliori autori del mondo delle nuvolette affrontavano il giudizio del pubblico televisivo, che risultò positivo tanto che oggi continuano a giungere dagli autori Guido de Maria e Giancarlo Governi appelli per una nuova edizione di Supergulp. I personaggi che riempivano l’ora scarsa di Supergulp erano indubbiamente popolari e varii, dall’avventura di Corto Maltese alla comicità di Jacovitti, dal grottesco di Alan Ford all’umorismo cattivo di Nick Carter. Il programma ebbe il merito di rilanciare il fumetto italiano e i suoi autori da Hugo Pratt a Jacovitti, da Luciano Secchi e Magnus a Bonvi che con i loro filmati spinsero molti giovani sulla strada del disegno con buoni risultati protrattisi a lungo nel tempo. Il successo di Supergulp è scaturito anche dalla varietà delle sue proposte che accontentavano un po’ tutti gli appassionati del fumetto, ma forse il merito maggiore fu quello di aver contrastato per qualche tempo l’avanzata dei prodotti giapponesi che tra lance spaziali e alabarde rotanti nonché le lacrime di Heidi o di Candy Candy avrebbero occupato a lungo i teleschermi italiani con Goldrake, Ufo Robot, Mazinga e Capitan Harlock, e altri eroi dell’avventura fantascientifica. Oggi anche i giapponesi attraversano un momento di stasi e quanti amarono Supergulp non fanno che rimpiangere quel momento felice di trent’anni fa. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 10/11/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Due romanzi a fumetti di recente pubblicazione fanno supporre un singolare plagio, ma il dubbio, a una lettura più attenta, scompare perché le due storie imboccano strade diverse, seppure con qualche inevitabile punto di contatto. Si tratta del romanzo a fumetti Bonelli, Gli occhi e il buio, scritto e disegnato da Gigi Simeoni, quarantenne bresciano passato dal genere comico a quello realistico, e de La vendetta del conte Skarbek, disegnato dal polacco Grzegorz Rosinski, pubblicato tempo fa dalla Lizard. I protagonisti sono due pittori del primo Novecento, uno italiano l’altro francese, che si trovano al centro di oscure vicende non sempre legate al mondo artistico. Nel romanzo di Simeoni il pittore, dopo ripetuti fallimenti artistici, scompare, mentre Milano è sconvolta da una serie di delitti firmati da una sorta di giustiziere misterioso, il Fante di Cuori, che mette a dura prova l’abilità di un poliziotto che indaga anche secondo moderne tecniche scientifiche. Simeoni è molto bravo sia a raccontare la storia che a illustrarla per circa trecento tavole, quasi sempre ambientate in una Milano dove corrono le prime auto e i primi tram elettrici. Scenari pressocchè analoghi a quelli disegnati da Rosinski, in una realistica Parigi primo Novecento. Il conte Skarbek, amico di un pittore scomparso da qualche tempo, sembra intenzionato a rivalutarne il ricordo, trascinando in tribunale un mercante d’arte e alcuni industriali, in uno scandalo clamoroso. Lo sceneggiatore Yves Sente ha saputo ricostruire la Parigi d’un secolo fa, anche attraverso dialoghi e situazioni coinvolgenti che imprimono alla storia il taglio di un racconto a mezza via tra l’avventuroso e il poliziesco, ben coadiuvato anche dalle tavole di Rosinski, passato dal fantasy al romanzo storico, sempre con ottimi risultati. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 2/11/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Forse quello di Trillo e Bernet è il primo e unico caso di un fumetto dedicato a una prostituta, ma nelle mani di questi autori Chiara, questo il nome della ragazza allegra, ha perso ogni riferimento a storie e situazioni a luce rossa, per diventare una storia un po’ ripetitiva, disegnata con abilità e narrata con un dialogo spumeggiante. Ci sono tutte le situazioni tipiche del rapporto con i clienti, ma anche quelle personali di Chiara con il figlio Paolino al quale la donna cerca di tenere nascosta la professione, ignorando che il bambino, fin troppo sveglio, sa tutto. Chiara è una donna di mondo, al di là del facile gioco di parole, e tenta di sensibilizzare le sue colleghe sui problemi sindacali del loro lavoro, ma è soprattutto una donna che deve lavorare e non può scegliersi i clienti. Le capita pertanto una clientela spesso male assortita, che va dall’impiegato precario che vuole uno sconto sostanzioso al vizioso cronico, dal sadico al masochista, dal riccone che pretende chissà cosa allo studentello in cerca di svago la notte prima dell’esame, e così via in un assortimento di uomini che Trillo e Bernet hanno caratterizzato con esperienza e abilità. Pubblicate da molti anni su Skorpio, le storie di Chiara sono periodicamente raccolte nei cartonati dell’Eura il cui formato più grande assicura maggiore visibilità e ariosità alle tavole. Il prossimo uscirà il 10 novembre e sarà l’ennesima occasione per scoprire alla luce del sole il mondo di Chiara di notte. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 24/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Oggi hanno spesso varcato il mezzo secolo di vita, ma amano voltarsi indietro per rievocare il passato e gli anni dell’infanzia. Sono gli orfani di Carosello, la famosa trasmissione pubblicitaria della televisione. Negli anni Sessanta erano bambini e sono cresciuti con quella sorta di baby sitter tecnologico che era, ed è, la televisione. Una sequenza di brevi scenette presentava, con bravi attori o con ottimi disegni animati, i vari prodotti commerciali. A Carosello hanno collaborato non solo famosi registi e bravi attori, ma anche ottimi disegnatori, da Bruno Bozzetto a Paul Campani, modenese vissuto tra il 1923 e il 1991, cresciuto in Argentina con Hugo Pratt e altri italiani, e affermatosi poi in Italia come insuperabile creatore di personaggi umoristici, protagonisti di veloci spot pubblicitari. Tra il centinaio e più di piccoli protagonisti ci sono l’omino con i baffi della Bialetti, Toto e Tata, il capelluto Riccardone, Angelino Supetrim, Svanitella e tanti altri. Tutti questi, insieme a decine di tavole originali, sono esposti a Modena, in una mostra aperta fino al 28 ottobre, che farà certo felici i bambini di ieri cresciuti con Carosello. Un altro aspetto di questa ricerca del tempo perduto, ci viene offerta anche dalla TV che fra Italia 1 e Raidue propone alcuni dei più famosi cicli di cartoni animati, quasi tutti prodotti dai giapponesi negli anni Ottanta, e adesso replicati per far felici i trentenni di oggi oppure per farli scoprire ai ragazzi del Duemila, che non hanno ancora conosciuto i Puffi, Heidi con la sua capretta, Remi oppure i tanti eroi fantascientifici, da Ufo Robot a Goldrake, a Mazinga, spesso anche violenti con le loro alabarde spaziali o i razzi rotanti. In questo piccolo revival dell’animazione giapponese c’è posto anche per la Pimpa, la cagnetta a pois ideata nel 1975 da Altan, caustico vignettista satirico ma anche poetico narratore per bambini. Oltre ai cortometraggi, Raidue presenterà a Natale il film animato La Pimpa e l’anatroccolo Alì, quasi a conferma della scuola italiana di animazione, forse artigianale ma per nulla inferiore a quella giapponese. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 21/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Non è facile narrare con i fumetti l’immane tragedia dei campi di sterminio nazisti, perché i disegni, per quanto realistici, precisi, fedeli alla realtà, non riusciranno mai a rendere credibile l’orrore di Auschwitz e di tutti gli altri campi di sterminio. C’è riuscito, molti anni fa, Art Spiegelman con la geniale trovata di raffigurare gli ebrei come poveri topolini perseguitati e uccisi da un esercito di perfidi gattacci, dai denti aguzzi e le unghie affilate, in divisa da nazisti. Dopo infiniti libri dedicati alla drammatica esperienza dei lager, scritti per lo più dagli scampati come Primo Levi, i campi di sterminio sono entrati nel mondo dei fumetti. Se in Maus c’erano l’originalità dell’invenzione e un pizzico di umorismo ebraico, in “Sono figlia dell’Olocausto” di Bernice Eisenstein, ci sono molta amarezza e tanta poesia, perché l’autrice del libro è una scrittrice e illustratrice canadese, cresciuta nell’angosciante ricordo dell’esperienza vissuta dai suoi genitori, Berek Ben Eisenstein e Regina Bedzin, ebrei polacchi deportati ad Auschwitz. Scampati alla morte, poco prima della liberazione s’incontrarono e dopo un breve fidanzamento si sposarono per vivere poi qualche tempo in un altro lager, quello di Bergen Belsen, trasformato dagli Alleati in centro d’accoglienza. La coppia sarebbe quindi partita per il Canada per rifarsi una vita. Qualche tempo dopo nacque la figlia Bernice, oggi cinquattottenne, cresciuta nel clima della Shoah e negli atroci incubi dei suoi genitori. Scomparso il padre, ucciso circa 15 anni fa dal solito cancro, Bernice ha cominciato a disegnare, ritratti del padre soprattutto, ma anche persone e ambienti della sua famiglia. Un po’ per volta è entrata nel mondo dell’illustrazione e ha deciso di narrare, in una chiave intimistica e familiare, il grande dramma dello sterminio, che rivive attraverso scene e figure a lei familiari, nelle quali si mescolano immagini e personaggi dell’universo del lager, come le gelide camerate o il volto di Adolf Eichmann, il freddo burocrate della morte. Il libro è già uscito, con grande successo, negli Stati Uniti e in Canada, e da metà ottobre uscirà anche in Italia, edito da Guanda che con questo volume vuole inaugurare una collana dedicata alla forma graphic novel. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 18/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Nel piccolo mondo delle nuvolette c’è sempre un anniversario da ricordare. Questo, per esempio, è l’anno centenario di Milton Caniff, uno dei maestri del fumetto mondiale, nato appunto nel 1907 nell’Ohio e morto nel 1988 dopo una vita passata a disegnare soprattutto storie di ambiente bellico e militare. Dopo l’esordio nei primi anni Trenta con un fumetto d’avventura come Dickie Dare, avrebbe imboccato la via del successo nell’ottobre del 1934 quando cominciò a disegnare per il New York Times la striscia di Terry e i pirati, una storia ambientata nella Cina contemporanea dove Terry e altri ragazzi vanno in cerca, con l’aiuto di alcuni adulti, di un fantomatico tesoro. Il malloppo non si troverà, ma Terry scoprirà il fascino dell’avventura esotica. Col passare degli anni il personaggio di Caniff cresce in età ed esperienza, si troverà in mezzo ai mille contrasti che agitano il paese asiatico, si scontrerà con veri pirati e banditi di strada, con fanciulle ingenue e perfide maliarde, belle donne infilate dentro attillati abiti lunghi e sempre avvolte nel fumo voluttuoso di una sigaretta fumata con un lungo bocchino. Arrivati gli anni Quaranta, Terry deve rispondere all’appello della patria in guerra, e lo troviamo perciò ancora nell’Estremo Oriente dove combatterà come pilota. La bravura di Milton Caniff permette al disegnatore di realizzare quasi una cronaca visiva della guerra, un po’ romanzata ma con personaggi e situazioni immersi in scenari reali. In un’epoca dominata dai supereroi, il Terry di Caniff è l’immagine dell’americano in divisa, che magari odia la guerra ma la combatte come una missione, convinto di essere nel giusto. Raggiungerà quasi sempre la vittoria, ma spesso a prezzo di dure fatiche, il che ne fa un personaggio in fondo umano, anche in queste storie talora venate di propaganda. Milton Caniff ha disegnato Terry sino a tutto il 1946, quando lo ha ceduto a George Wunder, per dedicarsi ad un altro eroe in divisa, Steve Canyon, ancora un pilota impegnato in operazioni di controspionaggio sui fronti della guerra fredda, dal Medio Oriente alla Corea, fino al Vietnam. Gli anni Trenta hanno visto una grande fioritura di autori, da Hal Foster, il primo disegnatore di Tarzan, poi finito nelle mani di altri autori, perché Foster aveva deciso di immergersi nel mondo medievale dei cavalieri della Tavola Rotonda e di Re Artù con la saga di Valiant, il principe Valentino, testimone e protagonista delle lotte dinastiche che avrebbero fatto nascere la Gran Bretagna. Altri maestri di quel decennio sono stati Chester Gould, creatore del grifagno Dick Tracy, il poliziotto dalla mira infallibile e dal pugno facile, e soprattutto Alex Raymond che per almeno l’intero 1934 ha disegnato personaggi entrati nella storia del fumetto mondiale, da Flash Gordon all’Agente X-9, a Jim della Giungla. Davanti a simili autori non resta altro che ammirarli e se possibile rileggere le loro storie, come si rileggono i capolavori della letteratura. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 18/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Sul n. 2 del 1923 del Corriere dei Piccoli compare una insolita e divertente scenetta comica che ha per protagonisti il mite Omobono e un negretto. Questi deve andare alla stazione ma non conosce la strada. Omobono gli dà le indicazioni e il negretto si avvia. In mano ha un vaso con un fiore. Nella vignetta successiva ritorna lo spaesato negretto al quale il paziente Omobono fornisce ulteriori e più precise indicazioni per raggiungere la stazione. La scena si ripete per diverse vignette mentre il fiore nel vaso comincia a crescere: diventa un piccolo arbusto, poi un alberello che trabocca dal vaso, infine diventa un grande albero, mentre Omobono perde la pazienza e aggredisce il malcapitato negretto. Solo il tempestivo intervento del signor Bonaventura eviterà lo scontro, anzi Bonaventura indennizzerà il negretto col fatidico milione. Una ventina di anni dopo questa tavola di Sergio Tofano diverrà un tormentone in quel capolavoro di comicità demenziale che è il film Hellzapopping. E’ stato un plagio o il frutto di una singolare coincidenza? Lasciamo tutti nel dubbio e passiamo a ricordare i 90 anni del Signor Bonaventura, apparso il 28 ottobre del l917 sul Corriere dei Piccoli, disegnato e ideato da Tofano, nato a Roma nel 1886 e destinato a una lunga e brillante carriera teatrale. Erano i giorni di Caporetto, con una disfatta che non invogliava al sorriso. Ma gli italiani sanno sempre far fronte alle difficoltà, con disincanto e fiducia nel futuro, e il Signor Bonaventura con le sue storielle a lieto fine, premiate con un milione di lire (diventato un miliardo nel secondo dopoguerra), regalava ai lettori qualche momento di umorismo e forse di serenità. Nato come risposta all’Happy Hooligan che Frederick Burr Opper aveva inventato all’inizio del secolo, Bonaventura, si distacca dal Fortunello americano perché a lui le cose vanno sempre bene, sin dalla prima avventura. All’inizio la tavola ha un taglio un po’ caricaturale, ma poi Tofano aggiusta il tiro e inventa storie e personaggi abbastanza credibili, anche se il milione finale appare un po’ irreale in un’Italia dove si sarebbero cominciate a sognare le mitiche “mille lire al mese” solo a metà degli anni Trenta. Il celebre biglietto con la famosa scritta compare per la prima volta nella terza storia, ma solo a metà del 1918 diventa la conclusione fissa della tavola. Se Bonaventura è il protagonista assoluto, non vanno dimenticati i molti personaggi di contorno, come il cane Bassotto, che Tofano fa morire dopo poche puntate (salvo resuscitarlo dopo qualche tempo, forse per accontentare i lettori). Dopo poche avventure Bonaventura si sposa, addirittura con la figlia del re, la Principessa, ma bisognerà attendere a lungo per vedere il figlio della coppia: si chiama Pizzirì e compare per la prima volta nel 1931. Importanti sono anche il Bellissimo Cecè, scapolo, elegantone, amante della bella vita, forse anche ricco ma sfortunato, e “il torvo Barbariccia dalla maschera verdiccia” che ricorre a tutto per impossessarsi del fatidico milione. La sua cattiveria gli si legge sul volto che muta colore con gli stati d’animo, ma non sconfiggerà la fortuna di Bonaventura. L’eroe di Tofano – autore anche della Vispa Teresa e di Taddeo e Veneranda – viene ricordato con una ricca mostra aperta all’Auditorium di Roma dal 18 ottobre all’11 novembre: un’occasione per fare un tuffo nel passato o per scoprire uno dei più famosi personaggi del fumetto italiano, che Sergio Tofano ha portato al successo anche in film e spettacoli teatrali. [Carlo Scaringi] - Il sito ufficiale di Bonaventura è www.sto-signorbonaventura.it Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 15/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Gli italiani, non tutti ma una buona parte, ignorano la storia del proprio Paese, soprattutto gli eventi accaduti negli ultimi decenni dell’Ottocento e all’inizio di quello successivo. In compenso sanno tutto, o quasi, della storia americana, dalle guerre indiane ai fuorilegge, al banditismo degli anni Trenta. Merito del cinema e dei fumetti quelli western in particolare. La saga di Tex, per esempio, ha offerto con le centinaia di albi pubblicati in circa sessant’anni, una vera enciclopedia del West in cui compaiono tutti i maggiori protagonisti, dal gen. Custer a Toro Seduto, dai pistoleri ai ranger, ecc.. Un’enciclopedia garantita da due veri esperti come papà Bonelli e Galleppini. Forse adesso, seguendo le vicende di Volto Nascosto, gli italiani scopriranno cosa è avvenuto nell’ultimo decennio dell’Ottocento, quando l’Italia s’imbarcò in un’avventura coloniale per conquistare l’Etiopia del negus Menelik e della regina Taitù. La nuova serie bonelliana (14 albi in tutto, in uscita ogni mese fino al novembre 2008) racconterà quelle vicende in una dimensione ovviamente fantastica, ma calata in uno scenario reale dove si muovono personaggi realmente esistiti. Saltando dall’Africa a Roma la storia proporrà guerrieri coraggiosi e ufficiali implicati in oscure alleanze, politica e mondanità, ma anche intrecci tra speculazioni finanziarie e edilizie, belle donne e predoni decisi a tutto per salvare il proprio Paese. Su tutti svetta ovviamente Volto Nascosto, un uomo che ha senz’altro qualcosa da nascondere, forse ha uno scheletro nell’armadio o un futuro da costruire. La storia è stata scritta da Gianfranco Manfredi, autore di romanzi sempre attenti alla storia del passato e padre di Magico Vento, in edicola ogni mese ormai da dieci anni. Con Volto Nascosto sia Manfredi che Bonelli hanno tentato una nuova scommessa. Con molte probabilità di vincerla, almeno a giudicare dal primo episodio nel quale Volto Nascosto sembra strizzare l’occhio al Sandokan salgariano, soprattutto quando manda un messaggio a re Umberto avvertendolo che i confini in Africa sono destinati a venir cancellati dal vento. Il primo albo è stato disegnato da Goran Parlov che alterna primi piani espressivi con tavole che ricordano certi momenti delle storie africane di Hugo Pratt. I prossimi albi saranno di altri validi disegnatori, da Roberto Diso a Giovanni Freghieri, da Leomacs a Gigi Simeoni, a Massimo Rotundo, autore anche delle copertine. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 12/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Due romanzi a fumetti di recente pubblicazione fanno supporre un singolare plagio, ma il dubbio, a una lettura più attenta, scompare perché le due storie imboccano strade diverse, seppure con qualche inevitabile punto di contatto. Si tratta del romanzo a fumetti Bonelli, Gli occhi e il buio, scritto e disegnato da Gigi Simeoni, quarantenne bresciano passato dal genere comico a quello realistico, e de La vendetta del conte Skarbek, disegnato dal polacco Grzegorz Rosinski, pubblicato tempo fa dalla Lizard. I protagonisti sono due pittori del primo Novecento, uno italiano l’altro francese, che si trovano al centro di oscure vicende non sempre legate al mondo artistico. Nel romanzo di Simeoni il pittore, dopo ripetuti fallimenti artistici, scompare, mentre Milano è sconvolta da una serie di delitti firmati da una sorta di giustiziere misterioso, il Fante di Cuori, che mette a dura prova l’abilità di un poliziotto che indaga anche secondo moderne tecniche scientifiche. Simeoni è molto bravo sia a raccontare la storia che a illustrarla per circa trecento tavole, quasi sempre ambientate in una Milano dove corrono le prime auto e i primi tram elettrici. Scenari pressocchè analoghi a quelli disegnati da Rosinski, in una realistica Parigi primo Novecento. Il conte Skarbek, amico di un pittore scomparso da qualche tempo, sembra intenzionato a rivalutarne il ricordo, trascinando in tribunale un mercante d’arte e alcuni industriali, in uno scandalo clamoroso. Lo sceneggiatore Yves Sente ha saputo ricostruire la Parigi d’un secolo fa, anche attraverso dialoghi e situazioni coinvolgenti che imprimono alla storia il taglio di un racconto a mezza via tra l’avventuroso e il poliziesco, ben coadiuvato anche dalle tavole di Rosinski, passato dal fantasy al romanzo storico, sempre con ottimi risultati. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 2/11/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Forse quello di Trillo e Bernet è il primo e unico caso di un fumetto dedicato a una prostituta, ma nelle mani di questi autori Chiara, questo il nome della ragazza allegra, ha perso ogni riferimento a storie e situazioni a luce rossa, per diventare una storia un po’ ripetitiva, disegnata con abilità e narrata con un dialogo spumeggiante. Ci sono tutte le situazioni tipiche del rapporto con i clienti, ma anche quelle personali di Chiara con il figlio Paolino al quale la donna cerca di tenere nascosta la professione, ignorando che il bambino, fin troppo sveglio, sa tutto. Chiara è una donna di mondo, al di là del facile gioco di parole, e tenta di sensibilizzare le sue colleghe sui problemi sindacali del loro lavoro, ma è soprattutto una donna che deve lavorare e non può scegliersi i clienti. Le capita pertanto una clientela spesso male assortita, che va dall’impiegato precario che vuole uno sconto sostanzioso al vizioso cronico, dal sadico al masochista, dal riccone che pretende chissà cosa allo studentello in cerca di svago la notte prima dell’esame, e così via in un assortimento di uomini che Trillo e Bernet hanno caratterizzato con esperienza e abilità. Pubblicate da molti anni su Skorpio, le storie di Chiara sono periodicamente raccolte nei cartonati dell’Eura il cui formato più grande assicura maggiore visibilità e ariosità alle tavole. Il prossimo uscirà il 10 novembre e sarà l’ennesima occasione per scoprire alla luce del sole il mondo di Chiara di notte. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 24/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Oggi hanno spesso varcato il mezzo secolo di vita, ma amano voltarsi indietro per rievocare il passato e gli anni dell’infanzia. Sono gli orfani di Carosello, la famosa trasmissione pubblicitaria della televisione. Negli anni Sessanta erano bambini e sono cresciuti con quella sorta di baby sitter tecnologico che era, ed è, la televisione. Una sequenza di brevi scenette presentava, con bravi attori o con ottimi disegni animati, i vari prodotti commerciali. A Carosello hanno collaborato non solo famosi registi e bravi attori, ma anche ottimi disegnatori, da Bruno Bozzetto a Paul Campani, modenese vissuto tra il 1923 e il 1991, cresciuto in Argentina con Hugo Pratt e altri italiani, e affermatosi poi in Italia come insuperabile creatore di personaggi umoristici, protagonisti di veloci spot pubblicitari. Tra il centinaio e più di piccoli protagonisti ci sono l’omino con i baffi della Bialetti, Toto e Tata, il capelluto Riccardone, Angelino Supetrim, Svanitella e tanti altri. Tutti questi, insieme a decine di tavole originali, sono esposti a Modena, in una mostra aperta fino al 28 ottobre, che farà certo felici i bambini di ieri cresciuti con Carosello. Un altro aspetto di questa ricerca del tempo perduto, ci viene offerta anche dalla TV che fra Italia 1 e Raidue propone alcuni dei più famosi cicli di cartoni animati, quasi tutti prodotti dai giapponesi negli anni Ottanta, e adesso replicati per far felici i trentenni di oggi oppure per farli scoprire ai ragazzi del Duemila, che non hanno ancora conosciuto i Puffi, Heidi con la sua capretta, Remi oppure i tanti eroi fantascientifici, da Ufo Robot a Goldrake, a Mazinga, spesso anche violenti con le loro alabarde spaziali o i razzi rotanti. In questo piccolo revival dell’animazione giapponese c’è posto anche per la Pimpa, la cagnetta a pois ideata nel 1975 da Altan, caustico vignettista satirico ma anche poetico narratore per bambini. Oltre ai cortometraggi, Raidue presenterà a Natale il film animato La Pimpa e l’anatroccolo Alì, quasi a conferma della scuola italiana di animazione, forse artigianale ma per nulla inferiore a quella giapponese. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 21/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Non è facile narrare con i fumetti l’immane tragedia dei campi di sterminio nazisti, perché i disegni, per quanto realistici, precisi, fedeli alla realtà, non riusciranno mai a rendere credibile l’orrore di Auschwitz e di tutti gli altri campi di sterminio. C’è riuscito, molti anni fa, Art Spiegelman con la geniale trovata di raffigurare gli ebrei come poveri topolini perseguitati e uccisi da un esercito di perfidi gattacci, dai denti aguzzi e le unghie affilate, in divisa da nazisti. Dopo infiniti libri dedicati alla drammatica esperienza dei lager, scritti per lo più dagli scampati come Primo Levi, i campi di sterminio sono entrati nel mondo dei fumetti. Se in Maus c’erano l’originalità dell’invenzione e un pizzico di umorismo ebraico, in “Sono figlia dell’Olocausto” di Bernice Eisenstein, ci sono molta amarezza e tanta poesia, perché l’autrice del libro è una scrittrice e illustratrice canadese, cresciuta nell’angosciante ricordo dell’esperienza vissuta dai suoi genitori, Berek Ben Eisenstein e Regina Bedzin, ebrei polacchi deportati ad Auschwitz. Scampati alla morte, poco prima della liberazione s’incontrarono e dopo un breve fidanzamento si sposarono per vivere poi qualche tempo in un altro lager, quello di Bergen Belsen, trasformato dagli Alleati in centro d’accoglienza. La coppia sarebbe quindi partita per il Canada per rifarsi una vita. Qualche tempo dopo nacque la figlia Bernice, oggi cinquattottenne, cresciuta nel clima della Shoah e negli atroci incubi dei suoi genitori. Scomparso il padre, ucciso circa 15 anni fa dal solito cancro, Bernice ha cominciato a disegnare, ritratti del padre soprattutto, ma anche persone e ambienti della sua famiglia. Un po’ per volta è entrata nel mondo dell’illustrazione e ha deciso di narrare, in una chiave intimistica e familiare, il grande dramma dello sterminio, che rivive attraverso scene e figure a lei familiari, nelle quali si mescolano immagini e personaggi dell’universo del lager, come le gelide camerate o il volto di Adolf Eichmann, il freddo burocrate della morte. Il libro è già uscito, con grande successo, negli Stati Uniti e in Canada, e da metà ottobre uscirà anche in Italia, edito da Guanda che con questo volume vuole inaugurare una collana dedicata alla forma graphic novel. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 18/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Nel piccolo mondo delle nuvolette c’è sempre un anniversario da ricordare. Questo, per esempio, è l’anno centenario di Milton Caniff, uno dei maestri del fumetto mondiale, nato appunto nel 1907 nell’Ohio e morto nel 1988 dopo una vita passata a disegnare soprattutto storie di ambiente bellico e militare. Dopo l’esordio nei primi anni Trenta con un fumetto d’avventura come Dickie Dare, avrebbe imboccato la via del successo nell’ottobre del 1934 quando cominciò a disegnare per il New York Times la striscia di Terry e i pirati, una storia ambientata nella Cina contemporanea dove Terry e altri ragazzi vanno in cerca, con l’aiuto di alcuni adulti, di un fantomatico tesoro. Il malloppo non si troverà, ma Terry scoprirà il fascino dell’avventura esotica. Col passare degli anni il personaggio di Caniff cresce in età ed esperienza, si troverà in mezzo ai mille contrasti che agitano il paese asiatico, si scontrerà con veri pirati e banditi di strada, con fanciulle ingenue e perfide maliarde, belle donne infilate dentro attillati abiti lunghi e sempre avvolte nel fumo voluttuoso di una sigaretta fumata con un lungo bocchino. Arrivati gli anni Quaranta, Terry deve rispondere all’appello della patria in guerra, e lo troviamo perciò ancora nell’Estremo Oriente dove combatterà come pilota. La bravura di Milton Caniff permette al disegnatore di realizzare quasi una cronaca visiva della guerra, un po’ romanzata ma con personaggi e situazioni immersi in scenari reali. In un’epoca dominata dai supereroi, il Terry di Caniff è l’immagine dell’americano in divisa, che magari odia la guerra ma la combatte come una missione, convinto di essere nel giusto. Raggiungerà quasi sempre la vittoria, ma spesso a prezzo di dure fatiche, il che ne fa un personaggio in fondo umano, anche in queste storie talora venate di propaganda. Milton Caniff ha disegnato Terry sino a tutto il 1946, quando lo ha ceduto a George Wunder, per dedicarsi ad un altro eroe in divisa, Steve Canyon, ancora un pilota impegnato in operazioni di controspionaggio sui fronti della guerra fredda, dal Medio Oriente alla Corea, fino al Vietnam. Gli anni Trenta hanno visto una grande fioritura di autori, da Hal Foster, il primo disegnatore di Tarzan, poi finito nelle mani di altri autori, perché Foster aveva deciso di immergersi nel mondo medievale dei cavalieri della Tavola Rotonda e di Re Artù con la saga di Valiant, il principe Valentino, testimone e protagonista delle lotte dinastiche che avrebbero fatto nascere la Gran Bretagna. Altri maestri di quel decennio sono stati Chester Gould, creatore del grifagno Dick Tracy, il poliziotto dalla mira infallibile e dal pugno facile, e soprattutto Alex Raymond che per almeno l’intero 1934 ha disegnato personaggi entrati nella storia del fumetto mondiale, da Flash Gordon all’Agente X-9, a Jim della Giungla. Davanti a simili autori non resta altro che ammirarli e se possibile rileggere le loro storie, come si rileggono i capolavori della letteratura. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Giovedì, 18/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Sul n. 2 del 1923 del Corriere dei Piccoli compare una insolita e divertente scenetta comica che ha per protagonisti il mite Omobono e un negretto. Questi deve andare alla stazione ma non conosce la strada. Omobono gli dà le indicazioni e il negretto si avvia. In mano ha un vaso con un fiore. Nella vignetta successiva ritorna lo spaesato negretto al quale il paziente Omobono fornisce ulteriori e più precise indicazioni per raggiungere la stazione. La scena si ripete per diverse vignette mentre il fiore nel vaso comincia a crescere: diventa un piccolo arbusto, poi un alberello che trabocca dal vaso, infine diventa un grande albero, mentre Omobono perde la pazienza e aggredisce il malcapitato negretto. Solo il tempestivo intervento del signor Bonaventura eviterà lo scontro, anzi Bonaventura indennizzerà il negretto col fatidico milione. Una ventina di anni dopo questa tavola di Sergio Tofano diverrà un tormentone in quel capolavoro di comicità demenziale che è il film Hellzapopping. E’ stato un plagio o il frutto di una singolare coincidenza? Lasciamo tutti nel dubbio e passiamo a ricordare i 90 anni del Signor Bonaventura, apparso il 28 ottobre del l917 sul Corriere dei Piccoli, disegnato e ideato da Tofano, nato a Roma nel 1886 e destinato a una lunga e brillante carriera teatrale. Erano i giorni di Caporetto, con una disfatta che non invogliava al sorriso. Ma gli italiani sanno sempre far fronte alle difficoltà, con disincanto e fiducia nel futuro, e il Signor Bonaventura con le sue storielle a lieto fine, premiate con un milione di lire (diventato un miliardo nel secondo dopoguerra), regalava ai lettori qualche momento di umorismo e forse di serenità. Nato come risposta all’Happy Hooligan che Frederick Burr Opper aveva inventato all’inizio del secolo, Bonaventura, si distacca dal Fortunello americano perché a lui le cose vanno sempre bene, sin dalla prima avventura. All’inizio la tavola ha un taglio un po’ caricaturale, ma poi Tofano aggiusta il tiro e inventa storie e personaggi abbastanza credibili, anche se il milione finale appare un po’ irreale in un’Italia dove si sarebbero cominciate a sognare le mitiche “mille lire al mese” solo a metà degli anni Trenta. Il celebre biglietto con la famosa scritta compare per la prima volta nella terza storia, ma solo a metà del 1918 diventa la conclusione fissa della tavola. Se Bonaventura è il protagonista assoluto, non vanno dimenticati i molti personaggi di contorno, come il cane Bassotto, che Tofano fa morire dopo poche puntate (salvo resuscitarlo dopo qualche tempo, forse per accontentare i lettori). Dopo poche avventure Bonaventura si sposa, addirittura con la figlia del re, la Principessa, ma bisognerà attendere a lungo per vedere il figlio della coppia: si chiama Pizzirì e compare per la prima volta nel 1931. Importanti sono anche il Bellissimo Cecè, scapolo, elegantone, amante della bella vita, forse anche ricco ma sfortunato, e “il torvo Barbariccia dalla maschera verdiccia” che ricorre a tutto per impossessarsi del fatidico milione. La sua cattiveria gli si legge sul volto che muta colore con gli stati d’animo, ma non sconfiggerà la fortuna di Bonaventura. L’eroe di Tofano – autore anche della Vispa Teresa e di Taddeo e Veneranda – viene ricordato con una ricca mostra aperta all’Auditorium di Roma dal 18 ottobre all’11 novembre: un’occasione per fare un tuffo nel passato o per scoprire uno dei più famosi personaggi del fumetto italiano, che Sergio Tofano ha portato al successo anche in film e spettacoli teatrali. [Carlo Scaringi] - Il sito ufficiale di Bonaventura è www.sto-signorbonaventura.it Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 15/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Gli italiani, non tutti ma una buona parte, ignorano la storia del proprio Paese, soprattutto gli eventi accaduti negli ultimi decenni dell’Ottocento e all’inizio di quello successivo. In compenso sanno tutto, o quasi, della storia americana, dalle guerre indiane ai fuorilegge, al banditismo degli anni Trenta. Merito del cinema e dei fumetti quelli western in particolare. La saga di Tex, per esempio, ha offerto con le centinaia di albi pubblicati in circa sessant’anni, una vera enciclopedia del West in cui compaiono tutti i maggiori protagonisti, dal gen. Custer a Toro Seduto, dai pistoleri ai ranger, ecc.. Un’enciclopedia garantita da due veri esperti come papà Bonelli e Galleppini. Forse adesso, seguendo le vicende di Volto Nascosto, gli italiani scopriranno cosa è avvenuto nell’ultimo decennio dell’Ottocento, quando l’Italia s’imbarcò in un’avventura coloniale per conquistare l’Etiopia del negus Menelik e della regina Taitù. La nuova serie bonelliana (14 albi in tutto, in uscita ogni mese fino al novembre 2008) racconterà quelle vicende in una dimensione ovviamente fantastica, ma calata in uno scenario reale dove si muovono personaggi realmente esistiti. Saltando dall’Africa a Roma la storia proporrà guerrieri coraggiosi e ufficiali implicati in oscure alleanze, politica e mondanità, ma anche intrecci tra speculazioni finanziarie e edilizie, belle donne e predoni decisi a tutto per salvare il proprio Paese. Su tutti svetta ovviamente Volto Nascosto, un uomo che ha senz’altro qualcosa da nascondere, forse ha uno scheletro nell’armadio o un futuro da costruire. La storia è stata scritta da Gianfranco Manfredi, autore di romanzi sempre attenti alla storia del passato e padre di Magico Vento, in edicola ogni mese ormai da dieci anni. Con Volto Nascosto sia Manfredi che Bonelli hanno tentato una nuova scommessa. Con molte probabilità di vincerla, almeno a giudicare dal primo episodio nel quale Volto Nascosto sembra strizzare l’occhio al Sandokan salgariano, soprattutto quando manda un messaggio a re Umberto avvertendolo che i confini in Africa sono destinati a venir cancellati dal vento. Il primo albo è stato disegnato da Goran Parlov che alterna primi piani espressivi con tavole che ricordano certi momenti delle storie africane di Hugo Pratt. I prossimi albi saranno di altri validi disegnatori, da Roberto Diso a Giovanni Freghieri, da Leomacs a Gigi Simeoni, a Massimo Rotundo, autore anche delle copertine. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 12/10/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Evaristo by Sampayo e Lopez | L’arrivo dell’autunno coincide con la ripresa a pieno ritmo di tutte le attività, da quelle produttive a quelle scolastiche. Inizia un nuovo anno anche per la programmazione televisiva e cinematografica con programmi e film che anticipano il meglio della stagione. Anche nel calcio il campionato propone gli incontri più importanti, oltre alle sfide di grande richiamo nelle coppe europee. Lo stesso avviene nel piccolo mondo dei fumetti, anche se gli editori maggiori, come la Disney o Bonelli, hanno delle scadenze settimanali o mensili che non permettono facilmente l’inserimento di numeri fuori collana. I due settimanali dell’Eura Editoriale invece in autunno arrichiscono la loro già ampia offerta con nuove storie e nuovi autori che si affiancano a fumetti storici come Dago o Modesty Blaise, Martin Hel o Chiara, tanto per citare alcune colonne di Lanciostory o di Skorpio. In questo mese di ottobre è possibile compiere una sorta di giro del mondo con i nuovi fumetti di Lanciostory, partendo dall’insolito western avventuroso venato di magia e di mistero di Jim Cutlass di Jean Giraud, apprezzato e conosciuto anche come Moebius o Gir, su testi di Christian Rossi. Si passa poi ad Afrika, una storia contemporanea tra safari e avventurieri, di Hermann, e si può fare un tuffo nel pssato, nella Parigi della Rivoluzione con L’ordine sbagliato del terzetto formato da Cuadra, Miel e Teng. Il giro del mondo si conclude nella Buenos Aires degli anni Cinquanta con Evaristo, uno dei tanti poliziotti di carta ideato negli anni Settanta da Carlos Sampayo e disegnato da quel maestro del fumetto argentino che è Solano Lopez, un ottantenne ancora in attività. Solano Lopez si è ispirato ad un vero commissario di Baires, disegnando un Evaristo grande come un armadio, col cappello calcato sugli occhi e spesso con le mani in tasca, forse per non dover ricorrere ai suoi pugni o alla pistola. Sampayo ne ha raccontato le avventure condensandole in una mezza dozzina di pagine, con Evaristo che quasi sempre entra in scena nelle tavole finali quando, dopo aver teso la tela, tira la rete con i malfattori presi in trappola. Solano Lopez ha disegnato i criminali - di solito rapinatori in cerca di fortuna, mariti traditi, esaltati che si credono giustizieri o difensori dell’ordine – come uomini sgraziati, quasi deformi, con il volto che sprizza malvagità, secondo i più classici schemi lombrosiani. Seppure contenute in poche pagine, le indagini di Evaristo sono minuziose, attente e ovviamente coronate da successo perché i poliziotti di carta non perdono mai. A meno che non si chiamino Ginko, il nemico di Diabolik. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 30/9/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Adesso la figura di Ernesto Che Guevara – il guerrigliero che voleva esportare la rivoluzione in tutto il Sud America, ucciso giusto 40 anni fa in Bolivia da militari forse al servizio della CIA – ha perduto molto del carisma che aveva negli scorsi decenni, ma resta pur sempre l’icona cui guardano masse di giovani di tutto il mondo. Ma c’è stato un periodo tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta in cui il Che Guevara era stato messo all’indice dai militari golpisti dell’Argentina. Questo atteggiamento totalitario non è servito tuttavia a intimorire German H. Oesterheld, grande scrittore e sceneggiatore di fumetti, che prima di venir misteriosamente ucciso, trent’anni fa, dai militari aveva scritto una Vita del Che, che Alberto Breccia e suo figlio Enrique avrebbero trasformato in un fumetto. Pubblicato in volume, il libro fu subito sequestrato, molte copie distrutte... Questo forzato silenzio non avrebbe però cancellato l’opera perché Alberto Breccia pose in salvo qualche copia avvolta in carta di giornale e in una busta di plastica, sotterrata nel giardino di casa. Solo dopo la caduta della dittatura, Breccia consegnò le copie a un editore spagnolo che pubblicò il libro nel 1987. In seguito questo straordinario documento storico e artistico ha avuto varie ristampe, ma la sua circolazione fu sempre limitata, tanto che questa Vita del Che è diventata preziosa come un fumetto cult. In Italia il libro ha avuto una sola edizione, a metà degli anni Novanta, curata dal gruppo editoriale Topolin. Adesso trova nuovamente la via delle librerie, e si spera con una diffusione adeguata, grazie alla Rizzoli che pubblica il volume a un prezzo abbordabile. La collaborazione fra Oesterheld e Breccia ci ha dato un fumetto realistico dove momenti storici si alternano a immagini quasi di taglio cinematografico, il tutto narrato con quell’essenzialità tipica delle storie di questo sceneggiatore che ha lasciato nella storia del fumetto eroi indimenticabili, dal Sergente Kirk a Ernie Pike, dalle saghe western di fine Settecento alla lunga vicenda dell’Eternauta, il suo capolavoro. I due disegnatori hanno offerto il meglio delle loro qualità, soprattutto Enrique Breccia che ha arricchito le tavole con un uso funzionale del bianco e nero. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 29/9/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Uno dei primi giorni del 2005 Sergio Bonelli chiuse il computer e disse: Basta. Aveva appena finito di scrivere le battute conclusive della lunga storia di Mister No, che già Roberto Diso e altri disegnatori avevano iniziato a trasferire nei dieci albi che dalla fine del 2005 all’agosto successivo avrebbero posto termine alla ultraquarantennale vita di questo simpatico e storico eroe delle edizioni Bonelli. Mister No è stato ideato dallo stesso editore all’inizio degli anni Sessanta, praticamente insieme a Zagor, che gode tuttora di buona salute. Ma Mister No negli ultimi anni si era pericolosamente avvicinato alla soglia delle 20 mila copie, limite che per l’editore è segno di crisi. Ma oggi, dopo un anno senza Mister No, molti lettori ne avvertono l’assenza, mitigata la scorsa primavera da uno “speciale” dedicato al famoso pilota. Ma chi è Mister No? Un americano di nome Jerry Drake che combatte nella seconda guerra mondiale come pilota di caccia nell’Estremo Oriente e in Europa, Italia compresa. Nel dopoguerra, falliti i tentativi di trovare un lavoro in patria, finisce in Brasile dove si sistema a Manaus, nel cuore dell’Amazzonia. Per vivere diventa una sorta di guida turistica che con un vecchio Piper porta i ricchi turisti a vedere dall’alto il cuore del Brasile. Mister No ha poche pretese, gli bastano una stanza, un letto perennemente disfatto e qualche bottiglia per togliersi la sete. Qua e là qualche segno indica il fugace passaggio di una presenza femminile. Il nostro eroe è amico di tutti, belle ragazze comprese, ma evita di impegnarsi sentimentalmente perché ama troppo la libertà e non sopporta legami, come indica il suo stesso nome di battaglia che individua perfettamente la sua volontà di andare sempre controcorrente. Ha un solo amico fidato, anch’esso reduce di guerra, combattuta però nell’esercito tedesco. Adesso, con la pace è arrivato anche il pentimento e il vecchio nazista, che tutti chiamano Esse Esse, è diventato il suo migliore amico che lo aiuta anche nei momenti difficili del suo lavoro. Già, perché spesso in mezzo ai turisti che vogliono fare un giro sopra la selvaggia Amazzonia, ci sono anche spregiudicati speculatori, avanzi di galera, pericolosi gangsters e altri personaggi poco raccomandabili che obbligano Mister No a compiere atti criminosi. Ma ovviamente, anche con l’aiuto di Esse Esse, infallibile lanciatore di coltelli, Mister No riesce a cavarsela, e tornare a Manaus col suo Piper mezzo scassato che talvolta decolla solo dopo qualche calcio ben assestato. Nel corso della sua carriera, che si colloca storicamente negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, Mister No ha girato per mezzo mondo, dal Sud America all’Africa, agli Stati Uniti, un po’ per lavoro, ma molto per soddisfare la sua sete di avventura. Adesso che la lunga carriera si è conclusa, ha lasciato un gran vuoto e molto rimpianto, anche se Bonelli fa del suo meglio per darci altri personaggi e altri momenti di emozionanti avventure. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Martedì, 18/9/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Fare sondaggi o stilare classifiche sul tipo “il meglio di” è quasi sempre solo un gioco, che tuttavia ha talora un pizzico di attendibilità indicando preferenze e tendenze. Anche il mondo dei fumetti non sfugge a questo gioco e a nostro giudizio ai vertici dell’editoria si trovano la Walt Disney Italia e la scuderia di Sergio Bonelli, forse superati dalla Star Comics e dalla Panini che hanno quasi monopolizzato il mercato dei “manga“, invadendo il mercato italiano non solo di albi ma anche di giochi, videocassette e altri prodotti legati a questa produzione di fumetti prettamente commerciali che solo raramente assumono anche una dimensione artistica. Logico quindi escluderli da questa sorta di gioco, dominato in ogni caso dalla Disney presente nelle edicole con almeno una trentina di collane mensili, fra novità e ristampe. In effetti la Disney può contare su un patrimonio inesauribile come quello delle infinite ristampe d’annata che oltre che dai lettori più giovani sono seguite dagli adulti in cerca delle sensazioni avute in anni lontani. Del resto un settimanale come Topolino è acquistato soprattutto dagli adulti che magari lo nascondono fra le pagine di un giornale di economia. Al secondo posto è saldamente presente la Bonelli con una ventina di albi mensili. Ovviamente le novità di questo editore sono sempre molte, anche se i punti di forza restano personaggi come Tex, Zagor, Dylan Dog o Nathan Never peraltro periodicamente ristampati da questo editore in fondo tradizionalista, ma stuzzicato dalla curiosità per qualche novità. Recentemente ha proposto Drago Nero, un personaggio insolito protagonista di un lungo racconto, quasi un romanzo di Luca Enoch realizzato da alcuni interessanti disegnatori bonelliani. Con Drago Nero la fantasy è entrata nel mondo bonelliano portando un bagaglio di mostri, streghe e misteri vari come in un romanzo di Tolkien. Per Bonelli Drago Nero è quasi una scommessa, non necessariamente persa in partenza, al pari di quella che affronterà dal prossimo ottobre con un nuovo eroe per molti aspetti lontanissimo dal mondo bonelliano come Volto Nascosto, misterioso personaggio ideato da Gianfranco Manfredi, lo stesso autore di Magico Vento. Volto Nascosto è un guerriero che guida un gruppo di predoni del deserto che negli ultimi anni dell’Ottocento s’inserisce nella guerra coloniale dell’Italia lanciata alla conquista di un impero. Da bravo avventuriero con un passato da dimenticare e il viso nascosto dietro una maschera d’argento, il nostro eroe diverrà protagonista di originali imprese fra l’Italia e l’Africa in un’area del Mediterraneo finora esclusa dalla geografia bonelliana. Al terzo posto di questa ipotetica classifica andrebbe forse collocata l’Astorina, la casa editrice che da oltre quarant’anni ospita le avventure di Diabolik. Ma la sua produzione è limitata al Re del terrore, per cui malgrado i buoni risultati di tiratura e fatturato l’Astorina non raggiunge le dimensioni di altri editori per cui il terzo posto va all’Eura Editoriale che propone una dozzina di collane mensili e altre ristampe, accanto ai due settimanali storici come Lanciostory e Skorpio, in edicola da oltre 30 anni. I loro punti di forza sono Dago e Martin Hel, ma non vanno sottovalutati altri personaggi come Modesty Blaise, Savarese, Amanda o Nippur senza trascurare Chiara, spumeggiante prostituta che è senz’altro una figura insolita nel mondo dei fumetti. Come detto l’Eura presenta altre collane, alcune cartonate che ripropongono a colori celebri storie del passato, e altre in bianconero, come quella bimestrale dei Giganti dell’avventura che presentano in forma antologica vecchi e nuovi eroi. A fine settembre ne uscirà uno con i racconti di Mazzitelli e Alcatena dedicati a temi ecologici o misteriosi e magici resi suggestivi dal disegno di Alcatena, quasi geometrico e sempre poetico. Alle loro spalle premono molti piccoli editori dalla vita spesso stentata ma meritori per il lavoro che svolgono che talora porta alla ribalta nuovi interessanti autori, anche italiani. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 5/9/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Lo scorso giugno Magico Vento ha compiuto dieci anni inserendosi fra i personaggi più longevi delle edizioni Bonelli. Il compleanno ci offre l’occasione per un rapido giro d’orizzonte del western all’italiana la cui data di nascita si può far coincidere con il debutto del Tex di papà Bonelli e Galleppini, anche se prima c’erano state altre storie come quelle di Kit Carson di Walter Molino. Con Tex è nata una nuova visione del West classico, con i pellerossa non sempre cattivi e i bianchi che in questo scontro di civiltà hanno avuto la loro parte di colpe. Tex è amico degli indiani tanto da diventare, col nome di Aquila della Notte capo di una tribù e da sposare una ragazza pellerossa. Ovviamente non mancheranno, nel corso di sessant’anni di vita di questo personaggio, anche drammatici scontri fra bianchi e indiani che Tex aveva cercato di evitare, fedele ai suoi ideali di pacifismo e di giustizia, quel profondo senso di onestà che lo porterà a combattere con eguale ostinazione contro speculatori e trafficanti di armi, politicanti corrotti e pellerossa testardi nemici dei bianchi. Le avventure di Tex non sono solo divertenti e coinvolgenti, ma presentano anche delle pillole di saggezza e di educazione, risvegliando nei lettori un profondo senso di giustizia. In 60 anni di vita (il compleanno cadrà nel settembre del 2008) le avventure di Tex hanno offerto un quadro realistico e sostanzialmente preciso di alcuni momenti della storia americana. Potremmo continuare a lungo, ma è difficile aggiungere qualcosa di nuovo. Si può solo dire che il celebre ranger resta un personaggio unico nell’universo delle nuvolette, come conferma un successo che dura da così tanto tempo. Una vita assai più breve ha invece avuto Ken Parker, cow boy crepuscolare ideato nel 1977 da Giancarlo Berardi e realizzato da diversi disegnatori, tra cui il cocreatore Ivo Milazzo. Come Tex, anche Ken Parker non sopporta le ingiustizie e l’arroganza, ma è sostanzialmente un isolato. Il ciclo è durato cinque anni per un totale di una sessantina di albi mensili con storie che hanno proposto momenti cruciali della storia americana. Un paio di albi hanno affrontato i temi dei primi scioperi e della corruzione esistente anche ai massimi livelli della politica. In altri Ken Parker lotta contro l’inettitudine degli ufficiali e contro la cattiveria dei pellerossa sobillati da mercanti di armi e di alcool privi di scrupoli. Lo spirito che anima questo cow boy è lo stesso che spinge Tex, per cui non è azzardato dire che il ranger è un suo fratello maggiore. Del tutto diverso è invece Magico Vento creato nel 1977 da Gianfranco Manfredi, scrittore e sceneggiatore particolarmente attento ai miti e ai misteri del passato. Magico Vento infatti si chiama in realtà Ned Ellis: quando era nell’esercito è rimasto ferito perdendo la memoria. Curato dai pellerossa, è guarito ma ha acquistato poteri magici divenendo uno sciamano rispettato dalle tribù indiane. Vorrebbe ritrovare il suo passato, ma intanto è contento della sua situazione. Insieme al giornalista Willy Richard, meglio conosciuto col soprannome di Poe perché assomiglia al grande scrittore, è spesso impegnato a lottare accanto agli indiani e non esita a combattere anche contro l’esercito. Ma lui si batte soprattutto contro Hogan, un losco affarista che si è arricchito costruendo, spesso con l’aiuto dei soliti politicanti di Washington, nuove città all’ovest. Rispetto agli eroi tradizionali, in queste storie, accanto ai classici temi avventurosi ci sono magia e mistero in un tentativo, riuscito, di inserire nel mondo del West elementi originali e moderni. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 3/9/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Fra i meriti di papa Wojtyla c’è anche quello di aver favorito lo sviluppo del fumetto religioso attraverso le biografie che numerosi disegnatori gli hanno dedicato. In Italia sono apparse su periodici o raccolte in albi numerose storie dedicate a Giovanni Paolo II, mentre negli Stati Uniti la sua biografia è stata pubblicata dalla Marvel, la casa editrice dei supereroi in un accostamento solo in apparenza irriverente, perché la sua vita è stata veramente super, dalla difficile infanzia in un villaggio contadino della Polonia al lavoro in fabbrica durante l’occupazione nazista, dalla passione per il teatro alla vocazione religiosa. Una volta sacerdote avrebbe scalato l’intera carriera scontrandosi contro l’ostilità del regime comunista. Poi con la stessa ostinata fermezza ha combattuto l’arroganza, la violenza, l’oppressione di regimi dispotici e dittatoriali, con l’impegno del missionario e il coraggio del crociato, senza mai rifiutare il dialogo. Prima del pontificato di Wojtyla le storie religiose erano pubblicate quasi esclusivamente da giornalini cattolici, dal Vittorioso al Giornalino, al Messaggero dei ragazzi. Ne erano spesso autori alcuni dei migliori disegnatori italiani, come Gianni De Luca che fra un’indagine del commissario Spada e una versione disegnata di alcuni capolavori scespiriani ha realizzato una straordinaria storia di san Paolo. Vite di santi hanno narrato anche Sergio Toppi e Dino Battaglia, autore fra l’altro delle vite di san Francesco e di sant’Antonio da Padova. Negli anni a cavallo del Sessantotto due vignettisti satirici hanno realizzato strisce che prendevano in giro, senza mai cadere nell’irriverenza l’universo religioso. Skiaffino ha proposto un ciclo intitolato Santincielo, mentre Pino Zac ha disegnato gli scontri fra un sacrestano alla Don Camillo e un diavoletto dispettoso che lo disturbava nel suo lavoro in chiesa. Un taglio decisamente umoristico hanno invece le strisce di Paolo Del Vaglio che hanno come protagonisti una serie di angioletti che come tanti angeli custodi commentano da lassù, con battute pungenti o con pillole di saggio umorismo quello che accade sulla nostra terra. In tempi più recenti un autore giapponese, Yoshikazu Yasuhiko, ha proposto una sua singolare visione della storia del Cristianesimo facendone di San Paolo il fondatore e presentando Gesù Cristo come una sorta di profeta riformatore ebreo. Un tentativo che si inserisce nella attenzione, dettata soprattutto da motivi commerciali, che gli autori giapponesi hanno dedicato a fatti e personaggi della storia occidentale trasformati in manga e poi venduti in tutto il mondo nella versione animata. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 11/8/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi ... E adesso non c’è più, potremo aggiungere per completare il titolo un po’ nostalgico di questa notarella. Già, il collezionismo: la sua stagione migliore c’è stata negli anni Settanta, l’epoca d‘oro del Salone di Lucca, ancora totalmente dedicato al fumetto e ai suoi disegnatori, ben lontano dal baraccone commerciale dei nostri giorni e dalla massiccia invasione dei videogiochi. A quel tempo invece centinaia di appassionati e di collezionisti si aggiravano nel “pallone” allestito davanti al Teatro del Giglio, con in mano minuscoli foglietti fitti di numeri, quelli mancanti per completare le collezioni. O forse erano solo un modo per inseguire gli anni lontani della gioventù. Gli albi più ricercati erano quelli degli anni Trenta, come i primi numeri dell’Avventuroso o di Topolino. I mercanti non chiedevano prezzi altissimi, perché ancora non si erano resi conto del valore di quegli albi, talora ingialliti o sgualciti, poi quando si accorsero che quel mercato poteva offrire interessanti prospettive i prezzi lievitarono. Aumentavano i prezzi, ma calava il numero dei collezionisti, molti già in pensione che non sempre potevano soddisfare la loro passione. Questa richiesta di vecchi fumetti venne accolta da alcuni editori, con una serie di ristampe in tutto simili agli originali, seppure prive ormai del fascino del tempo e quel sottile aroma di muffa che testimoniava l’originalità dei vecchi albi. I prezzi erano inferiori e molti si accontentavano ritrovando in quegli albi gli eroi della loro infanzia, tanto più che alcuni editori, come Nerbini, avevano alle spalle un patrimonio pressocchè inesauribile dei migliori fumetti italiani e americani. Ai comics americani erano per lo più dedicate le ristampe della Comic Art di Rinaldo Traini, da Terry a Dick Tracy, da Mandrake a Phantom, e così via. Con le ristampe di questi e altri è stata praticamente completata quasi tutta la produzione del passato. Adesso a distanza di anni, considerando che la platea dei lettori si rinnova periodicamente alcuni editori, primo fra tutti quel colosso della Disney Italia, hanno realizzato un serie di ristampe, come la serie infinita dei classici e delle grandi parodie, quasi sempre di autori italiani che attraverso personaggi storici o la riduzione di celebri romanzi hanno compiuto una significativa operazione culturale. Un’altra ristampa interessante è quella di Torpedo, grottesco gangster ideato dalla coppia Abulì e Bernet. A queste e ad altre ristampe si possono collegare anche le molte collane dedicate a Tex, Diabolik, Corto Maltese e altri celebri eroi di carta. Al di là dell’aspetto economico, questa operazione compiuta in questi mesi da quotidiani e periodici, è un importante aiuto in difesa del fumetto d’autore, e forse un primo passo per riscoprire i fumetti degli anni Ottanta, spesso non inferiori a quelli “storici” degli anni Trenta. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 3/8/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Per molti Topolino viene considerato come il simbolo del fumetto umoristico, anche perché la maggior parte delle sue avventure hanno un taglio decisamente comico. Ma quando occorre il celebre topo è capace di indossare gli abiti dell’impegno civile messo al servizio della collettività. Lo ha fatto nei primi anni Trenta quando affiancò il commissario Basettoni nella sua battaglia contro la criminalità organizzata, e lo ha fatto dieci anni dopo indossando la divisa americana. Per la verità il primo tentativo andò a male perché quando, insieme a Pippo, si presentò come volontario in una fabbrica di materiale bellico, la coppia venne rifiutata perché Topolino venne giudicato troppo piccolo e Pippo troppo stupido. Al di là del risvolto comico, questa storia, intitolata “Topolino e il misterioso corvo”, apparsa tra l’agosto e il novembre del 1942 e disegnata da Floyd Gottfredson, è indicativa del clima di quegli anni perché alla fine Topolino si arruola come artigliere impegnato nel fronte interno. Circa un anno dopo, lo stesso disegnatore realizza, tra il luglio e l’ottobre del ’43, “Missione segreta” che è considerato il più bel racconto di guerra di Topolino. Il topo questa volta è alla guida di un aereo segreto chiamato Bat, pipistrello, poi diventato Falco nella versione italiana. Gamba di Legno, passato al servizio dei nazisti, vorrebbe rubare l’aereo per spedirlo in Germania, ma Topolino sventa il complotto, anzi riesce ad atterrare nella stessa Germania nazista facendo fallire i piani del barone Von Mess nel quale è facile riconoscere il feld-maresciallo nazista Goering. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 30/7/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi L’indovinata definizione scelta da Gramsci per un genere di letteratura allora di moda, continua ad essere sempre attuale a decenni di distanza. Gramsci l’aveva adottata per indicare i romanzi di Carolina Invernizio, scrittrice del primo Novecento dal nome che evocava scenari mitologici con mucche al pascolo e prati fioriti. Invece ha scritto decine di romanzi pieni di orfanelle cieche, di trovatelle ospitate in ospizi simili a galere e di padroni spietati e senza cuore. Insomma un mondo visto con realismo e forse con un po’ di cinico compiacimento. Col passar del tempo il filone si è esaurito per rispuntare negli anni Sessanta nel mondo dei fumetti, con Diabolik, il personaggio tenebroso ideato dalle sorelle Giussani che si erano ispirate a un campione del crimine come Fantomas. Le storie di Diabolik, subito imitate da altri personaggi di basso spessore, ebbero il merito di aver portato alla luce proprio quel mondo evocato, in altre situazioni, dalla Invernizio, e trovarono subito altre imitazioni, non necessariamente negative, nelle saghe di infinite puntate o nelle storie brevi pubblicate dai primi anni Settanta da Lanciostory e da Skorpio. Nel corso degli anni ci sono stati infiniti esempi di questo genere letterario applicato ai fumetti, anche se praticamente nessun personaggio ha avuto la carica emotiva ed espressiva di Diabolik oppure di Dago, per citare il più noto fra le decine di personaggi inventati da Robin Wood, uno sceneggiatore che è un piccolo campione del nazionalpopolare. Oltre ai fumetti questo filone si adatta anche ai telefilm nei quali non è raro scoprire situazioni comuni al mondo dei fumetti, come (citiamo un ciclo in programmazione su Raidue) in Jericho, che evoca il clima di Nippur, l’eroe sumerico ideato da Robin Wood, uno dei maggiori successi dell’Eura. Oggi il nazionalpopolare si è trasformato in fantasy, un genere che scava nel passato più fantastico e ha i suoi massimi esponenti in Conan, Tolkien e nel maghetto Harry Potter. La fantasy aveva stuzzicato anche l’attenzione di papà Bonelli quando era incerto fra il mestiere di pugile o quello dello scrittore. Ma dopo i primi romanzi, interessanti e originali ma senza la carica degli intrecci di Tex, ha scelto per sua e nostra fortuna la via del fumetto. A decenni di distanza, la fantasy sta tentando Sergio Bonelli che ha appena lanciato una collana dalla periodicità incerta che in circa 300 pagine raccoglie una lunga avventura fantastica, con draghi, mostri, maghi e streghe contro cui combatte Dragonero, l’eroe senza macchia e senza paura protagonista della lunga vicenda. Non sappiamo quanto un pubblico cresciuto fra sparatorie e scazzottate, fra indiani buoni e fuorilegge cattivi, possa apprezzare una storia calata in scenari insoliti come Dragonero. Ma è l’ennesima scommessa di Sergio Bonelli, cui vanno la nostra simpatia e i nostri auguri. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 16/7/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Due sono le grandi passioni di Dylan Dog, le belle ragazze e gli animali, soprattutto quelli abbandonati che quando può cerca di strappare dai pericoli di una strada dove padroni senza cuore li hanno abbandonati. E’ un tema ricorrente di ogni estate e appare a proposito la pubblicazione, a cura di Stampa Alternativa, di “Dylan Dog, l’amico degli animali”, curato da Alessandro Paronuzzi, veterinario, che accanto a tavole sulle storie del nostro eroe, ne propone altre di molti personaggi di carta, sempre sensibili all’amicizia fra gli uomini e gli animali. Le ragazze invece l’indagatore dell’incubo le trova spesso sull’uscio di casa, tremanti e impaurite perché appena sfuggite dalle grinfie d’un bruto, violento e con il cuore di pietra. Un bacio e un abbraccio sanciscono il contratto e in pratica cancellano la classica formula dei detectives, cento sterline più le spese, con grande disperazione di Groucho. Il rapporto fra gli eroi dei fumetti e l’altra metà del cielo ci viene illustrato da un originale volumetto edito dalle edizioni di Francesco Coniglio, sempre attento al mondo femminile. Andrea Leggeri in “Dammi un bacio da fumetto” offre un divertente panorama dei più famosi baci di carta, compresi naturalmente quelli di Dylan Dog. Intanto nell’attesa di scoprire altri suoi aspetti inediti, il nostro eroe è sempre sulla cresta dell’onda perché a fine giugno Sergio Bonelli festeggia l’uscita del numero 250, non solo con un albo tutto a colori, ma con il ritorno alla grande di Tiziano Sclavi, lo scrittore che lo ideò una ventina di anni fa. Disegnata da Bruno Brindisi, la storia si intitola “Ascensore per l’inferno”, che richiama un altro famoso film di Louis Malle di mezzo secolo fa, un capolavoro del cinema noir, e assicura una lettura che come dicono certe pubblicità ingannevoli, “non vi farà dormire”. Non è certo questo il caso di Sclavi, un nome garanzia di fumetto sicuro. Dopo l’albo 250, all’inizio di agosto uscirà un volume di 96 pagine, con quattro storie realizzate da quattro disegnatori diversi (non mancherà Bruno Brindisi) che nei programmi di Bonelli dovrebbe avere cadenza annuale. [Carlo Scaringi] [NdR. La versione italiana del film Angel Heart di Alan Parker del 1987 s'intitolava Ascensore per l'inferno, ma ovviamente non è quello cui si riferisce Scaringi, di Malle del 1958, che invece si intitola Ascensore per il patibolo.]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 16/6/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Zio Paperone è arrivato nell’universo disneyano nel 1947 disegnato da un grande come Carl Barks che si era ispirato alla figura dell’usuraio Ebenezer Scrooge, personaggio centrale del Cantico di Natale di Dickens. Con la nascita di Paperone finisce la tranquillità di Paperino, altro simpatico abitante di Disneyland, nato nel 1934 in un famoso disegno animato, e poi passato negli anni seguenti nei fumetti tradizionali. Dallo scontro tra i caratteri profondamente opposti di questi due personaggi, sono nate molte delle più divertenti, bizzarre e anche umane storie di Disney. La grande abilità dell’imperatore di Burbank è di aver proposto il ritratto di due personaggi molto umani che si scontrano con atteggiamenti spesso opposti. Da una parte c’è Zio Paperone che passa le sue giornate a lustrare i dollari o a fare benefiche immersioni in quel mare di oro che trabocca dalla sua casa-cassaforte. Dall’altra c’è Paperino che invece passa le sue giornate a escogitare il sistema per sbarcare il lunario. Da una parte all’altra il problema principale è quello del denaro: denaro che può dare la felicità o l’infelicità in maniera inversamente proporzionale ai rispettivi possessori. Basta un cent, per esempio, per portare ai sette cieli Paperino, o per gettare nella più cupa disperazione Paperone. Il mito del denaro è una presenza costante di queste storie, perché la ricchezza è un obiettivo principale della storia e del costume americani, un mito che si affianca ad altri, come quello dell’avventura o della frontiera, su cui si è fondata tutta la societa americana. Il denaro che angoscia Paperone o che è la disperazione di Paperino, è presente anche nei ruoli solo apparentemente marginali, per esempio della Banda Bassotti spregiudicato gruppo di rapinatori, che mette sempre in pericolo l’integrità del patrimonio di Paperone, oppure di quelle tre pesti di Qui, Quo e Qua, i nipotini di Paperino che si fanno pagare ogni lavoretto che fanno per lo zio. Per la verità, poi, i tre nipotini risolvono anche molti problemi dello zio, un lavoro extra pagato fuori busta, un regalino per l’acquisto di un videogioco o qualche altro aggeggio simile, passatempi moderni che anche a Paperopoli hanno sostituito i vecchi giocattoli di legno. Pur nella implicita denuncia della grettezza e dell’avarizia di Paperone, in queste storie si scivola spesso in una dimensione paternalistica, con il vecchio zio che si commuove e ricompensa il povero nipote, dopo una giornata di lavoro, con un misero cent, che Paperino intasca subito, pensando che forse, in questi tempi di crisi economica, un cent strappato a Paperone è un successo. Ma non si accorge che alle sue spalle il buon zio ha trovato il modo di mettere in cassaforte qualche altro gruzzoletto. Proprio come fanno i veri capitalisti. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 2/6/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Dire che l’Eternauta è la più bella storia a fumetti di sempre, è forse eccessivo, ma certamente non sfigura accanto ad altri capolavori di un passato più o meno recente. Storie come Terry e i pirati di Milton Caniff (una lunga vicenda che inizia nella Cina degli anni Trenta con un gruppo di americani a caccia di un misterioso tesoro, e che poi attraversa una dozzina di anni di storia mondiale, guerre comprese, con il protagonista arruolato nell’aviazione americana) o come la saga fantascientifica di Flash Gordon in giro per l’universo, malgrado qualche momento di stanchezza finale, sono veri capolavori (Flash Gordon è nato dalla fantasia di un maestro come Alex Raymond), al pari delle storie poliziesche dello spigoloso e grifagno Dick Tracy, il primo poliziotto di carta ideato da Chester Gould o di quel vero romanzo disegnato che è Corto Maltese che Hugo Pratt ha trasformato in un eroe di grosso spessore. Potremmo continuare a lungo perché la storia dei comics è quanto mai ricca di racconti straordinari. In mezzo a questi si può tranquillamente collocare la lunga vicenda dell’Eternauta nella quale la fantasia della storia si mescola con i molti elementi reali, spesso drammatici, di quel periodo. Basta dire che l’autore, lo sceneggiatore German H. Oesterheld, ha pagato con la vita la sua opposizione al regime militare in Argentina. La vicenda è ambientata nel 1977, quando (narra Oesterheld) l’Argentina si trova ricoperta da una spessa coltre di neve che trasforma il Paese in qualcosa d’irreale. Quando la neve si scioglie inizia la misteriosa invasione degli Alieni che occupano militarmente il Paese e rendono schiavi gli abitanti. La storia assume un carattere allegorico: basta mettere i militari argentini al posto degli Alieni per capire la forza della denuncia di Oesterheld. La lunga storia, pubblicata negli anni Ottanta sui periodici dell’Eura Editoriale, prosegue con la ribellione di un piccolo gruppo di coraggiosi che combattono contro l’invasione degli extraterrestri. Qua e là perde qualche connotazione politica, ma conserva una grande carica avventurosa. E’ stata disegnata dall’argentino Francisco Solano Lopez (c’è anche una versione più sintetica ed egualmente efficace disegnata da Alberto Breccia, un maestro del fumetto sudamericano) che qualche anno fa ha ripreso in mano il vecchio capolavoro arricchendolo di un seguito, apparso pochi anni fa su Lanciostory in una versione a colori che forse ne stemperavano la tensione. Ora quella storia, intitolata L’Eernauta, il ritorno, viene raccolta in un volume antologico dell’Eura inserito nella collana dedicata ai Giganti dell’avventura, permettendo così una rilettura completa dell’intera saga, che forse non è soddisfacente come quella scritta da Oesterheld. Ma è noto che quasi sempre le continuazioni hanno il sapore di una minestra riscaldata. Lo diciamo senza offesa e con un invito a rileggere la lunga vicenda dell’Eternauta, un fumetto d’importanza storica. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 26/5/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Allegati a due numeri della fanzine Ink sono stati pubblicati recentemente due albi tascabili, nel formato originale della collana a suo tempo edita dal Vittorioso, che contengono storie disegnate da Sebastiano Craveri. Un nome che ormai non dice più nulla ai lettori di oggi che probabilmente ignorano anche l’esistenza del Vittorioso, nato giusto 70 anni fa come risposta cattolica al laico Corriere dei Piccoli. Chi alimenta il ricordo di Craveri è Mauro Giubbolini, medico sull’Amiata, in pensione da una ventina di anni. Appassionato di fumetti e a suo tempo amico del disegnatore, Giubbolini dedica tutto il suo tempo alla memoria dell’artista torinese, scomparso nel 1973 all’età di 74 anni. Dopo questi due albi Giubbolini spera di continuare con altre ristampe, magari in attesa che qualche editore riscopra il disegnatore. Certo il tratto grafico di Craveri non è modernissimo, né forse le storie sono originali, ma i suoi animali umanizzati (era la stagione d’oro di Walt Disney) dal taglio un po’ ingenuo e un po’ tozzi hanno ancora molta umanità, che non guasta in quest’epoca meccanica e tecnicista. Dopo aver illustrato dal 1929 al ’34 i programmi radiofonici del Radiocorriere, e aver realizzato decine di vignette umoristiche, Craveri è passato a inventare storie originali con animali domestici che si comportano come esseri umani (e non viceversa, come accade oggi). Ha disegnato su quasi tutti i periodici cattolici per ragazzi, inventando decine di personaggi talvolta volutamente infantili. Ma quello era il suo pubblico, una platea non ancora viziata dalla televisione, che si divertiva con una bambola di pezza o una palla di stracci. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 18/5/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Negli anni Trenta, in piena epoca d’oro del fumetto americano, si avvertiva negli Stati Uniti il soffio inquietante dei primi venti di guerra che qualche tempo dopo si sarebbero trasformati nel tornado che ha devastato il pianeta negli anni Quaranta. Quasi inconsciamente gli autori di fumetti, e di fantascienza, hanno identificato nel giallo il colore del pericolo: ecco allora la Terra minacciata da bellicosi cinesi o scatenati mongoli,cui in qualche modo si sono ispirati i disegnatori di Buck Rogers e di Flash Gordon, immaginando una Terra occupata dai mongoli nel 2429, esattamente mezzo millennio dopo la pubblicazione della storia, oppure un universo galattico dominato dall’imperatore Ming, signore di Mongo e dei mondi vicini. Contro costoro giunsero dalla Terra Flash Gordon, Dale Arden e Zarkov, eccentrico scienziato. Tutti questi individui gialli erano solo l’avvisaglia di quello che sarebbe avvenuto in seguito. Mezzo secolo dopo (Gordon è del 1934) il giallo sarebbe tornato alla ribalta, in un ciclo di fumetti e di cartoni animati che sembra anticipare l’invasione di tonnellate di prodotti cinesi e asiatici in genere, che in questi anni minacciano l’economia e i mercati occidentali. In questi giorni infatti si festeggiano i vent’anni dei Simpson che sembrano dominare la scena mondiale, con la puntata numero 400 della serie televisiva e l’uscita del primo lungometraggio, prevista in Italia a metà settembre. L’attesa è già grande fra gli appassionati, che ammontano a svariate decine di milioni in tutto il mondo. Ma chi sono i Simpson, portati al successo da due decenni da Matt Groening, un geniale disegnatore che ha trasformato questa famiglia nel ritratto deformante e dissacrante della società americana, e occidentale in genere? Sinceramente non riusciamo ancora a capire come un lettore di fumetti, ovviamente amante delle belle immagini, possa andare in visibilio per quei cinque “brutti cosi gialli” che compongono la famiglia Simpson. Sono brutti, sfacciati, arrabbiati e a prima vista non suscitano certo simpatia. Solitamente il lettore è portato a identificarsi con il protagonista del fumetto o del romanzo preferito. Ma chi ha il coraggio di riversare in se stesso pregi e difetti del protagonista? Eppure i Simpson piacciono, quasi esclusivamente per la sulfurea carica dissacratoria che esce dai loro fumetti. Come tutti gli eroi di carta, in vent’anni non sono cresciuti: Homer, il buffo protagonista, ha sempre 36 anni e lavora ancora, malgrado la sua palese incapacità, come responsabile della sicurezza di una centrale nucleare. Pesa 140 chili ed è contento della sua stazza. La moglie Marge ha 34 anni, calza scarpe numero 47, mezzo chilo di capelli le ballano sulla testa, fa la casalinga e deve trattare spesso con i figli, che hanno un’età a cavallo dei vent’anni. Il più grande è Bart, sfacciato, ignorante, indisponente. Lisa è la tipica prima della classe, brava ma in fondo scialba, mentre la sua sorella minore, Maggie, è una piccola peste che non risparma battute a nessuno. Come faccia una famiglia simile a vivere felice e contenta, è un mistero. Ma forse è un mistero più grosso, capire come milioni di spettatori si appassionino a storie così aspre e feroci. L’antiamericanismo che soffia sul mondo ha forse colpito anche i Simpson? [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 12/5/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Non c‘è stata, in questo 2007, un’abbondanza di interessanti anniversari nel mondo dei fumetti. La decade del “7” non è stata ricca come l’annata del 1934, vera stagione “doc” anche fra le nuvolette. Non sono comunque mancate nascite importanti come Cocco Bill (fine marzo del 1957), Ken Parker (1977), l’Eternauta (ancora nel 1977) o Paperone, un mito del fumetto umoristico reso celebre da un altro mito del disegno come Carl Barks. Ma il 2007 vede anche un altro anniversario importante, quello della nascita della più bella storia di avventura della seconda metà del Novecento, la lunga saga di Corto Maltese, incontrato nell’estate di 40 anni fa sulle pagine di “Kirk”, una delle più belle riviste di fumetti di quel periodo. Corto Maltese era in mezzo al Pacifico, aggrappato a una zattera alla deriva nell’oceano. Poche tavole dopo Hugo Pratt, che ne era lo straordinario autore, trascinava Corto e i lettori in quella lunga storia (quasi una graphic novel in anticipo sui tempi) che si chiama “La ballata del mare salato”, piena di passioni, di intrighi, di colpi di scena e di emozioni. Dopo quella lunga storia, Pratt ne ha scritte e disegnate infinite altre, nelle quali ha riversato tutto se stesso, perché forse Corto e Hugo sono stati la stessa persona. Artista, pittore, narratore, giramondo e cittadino del mondo, Pratt è sempre stato pervaso di irrequietezza e inquietudine, e intriso di spirito veneziano. Queste e altre caratteristiche le ha riversate nel celebre marinaio, facendone una proiezione fantastica di quello che forse avrebbe voluto essere. Corto come Pratt ha girato il mondo, senza sconfiggere la sua inquietudine. Nelle ultime storie lo abbiamo trovato alle prese con i mondi misteriosi e affascinanti degli alchimisti, e con gli universi sottomarini di Atlantide e di Mu, spinto sempre da un’ansia di conoscere, di scoprire, di vivere che lo ha portato dalla Cina all’Africa, dalla Russia rivoluzionaria all’America Latina, dalla guerra alla pace, dalla violenza alla giustizia, con quella generosità e quel coraggio tipici degli eroi di Conrad e di Stevenson. Marinaio e avventuriero, Corto è nato il 10 luglio del 1887 e come dice il suo nome è originario dell’isola di Malta. La madre era una famosa gitana, la Nina di Gibraltar, un po’ strega e a suo agio con i diavoli e gli uomini. Il padre era un marinaio che veniva dalla Cornovaglia, nipote di un vecchio diavolo che abitava a Tintagel dove visse il mago Merlino. Come se questi legami con l’occulto non bastassero, Corto ha trascorso gli anni della giovinezza sotto lo sguardo severo e paterno di Ezra Toledano, un rabbino che lo istruì ai misteri dell’occulto, del Talmud, della Cabbala, della magia. Quella magia che avremmo ritrovato in tante storie, con Corto che dialoga con eguale serietà con i folletti delle saghe irlandesi o con i colossi dell’isola di Pasqua, segno tangibile della passata esistenza di Mu. Corto è abituato a vivere in tutto il mondo, ma Venezia, proprio come Pratt, è la sua patria di adozione. I segni del misterioso passato della città lagunare lo affascinano e lo catturano, ma solo per poco perchè Corto trova sempre la forza per infrangere questo incantesimo, e fuggire verso l’intrigo, verso l’avventura, verso la giustizia. Vivrà ancora nuove storie, il marinaio con l’orecchino, forse fra un paio di anni realizzate da nuovi autori, ancora sconosciuti, ma già sotto esame da parte della casa editrice Lizard che accogliendo le richieste di tanti lettori di Pratt, sembra intenzionata di far rinascere il magico mondo di Corto e di Pratt. Nell’attesa è in preparazione la ristampa dell’ormai raro e prezioso “Corto come un romanzo” che l’autore Gianni Brunoro sta rivedendo e arricchendo, dato che la prima e unica edizione è uscita nel 1984. [Carlo Scaringi ]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 5/5/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi All’inizio di maggio con l’uscita del numero 48, John Doe festeggerà i quattro anni di vita, e due mesi dopo taglierà il traguardo del numero 50, un primato forse ancora modesto, ma pur sempre significativo per un personaggio che alla sua prima apparizione aveva suscitato qualche perplessità per la singolare tematica che affrontava. John Doe, chiamato col nome che negli Stati Uniti viene dato alle persone scomparse o non identificate, svolge infatti un lavoro decisamente insolito, ed in ogni caso originale: al servizio di Morte (una vera dark lady che gestisce la “Trapassati Inc.”,una organizzazione che si propone di mantenere inalterato l’equilibrio demografico sulla Terra pianificando il numero delle morti), va alla caccia di quanti vogliono sfuggire all’inevitabilità del destino degli uomini. Non sempre il lavoro del nostro eroe scorre su binari tranquilli, anzi gli ostacoli sono fin troppi, provocando squilibri cui pone rimedio la stessa Morte, scatenando i Cavalieri dell’Apocalisse che fedeli ai loro nomi (Carestia, Fame, Guerra, ecc.) rimetteranno le cose al posto giusto. La presenza di due forti personalità ai vertici di un’organizzazione come la Trapassati Inc. ed il difficile rapporto di odio e amore fra Morte e John Doe porterà ad una rottura insanabile della coppia, con Morte che si porta via il figlio avuto da John Doe per allevarlo nell’odio verso il padre. A questo punto, come negli antichi romanzi d’appendice, tutto si ingarbuglia, anche perchè scendono in campo altri personaggi che cercano di volgere a proprio favore il dissidio fra Morte e John Doe. Gli autori sono Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni, una coppia affermata che ha al suo attivo molti successi, come il ciclo di “Napoli Ground Zero” o di Detective Dante, oltre a molte altre storie autoconclusive. I primati di cui si diceva all’inizio sono stati già festeggiati con la ristampa dei primi episodi di “Trapassati Inc.”, già apparsi su Skorpio. Il settimanale dell’Eura Editoriale continua a pubblicare il ciclo di “Trapassati”, proponendolo insieme alla collana mensile, due vicende che risultano solo in apparenza differenti, ma che in realtà finiscono talvolta per integrarsi per la presenza di personaggi e di situazioni comuni ai due cicli. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 28/4/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Come ci ricorda “Fumettomania”, l’interessante rivista dell’omonima associazione culturale di Barcellona Pozzo di Gotto nel messinese, il prossimo giugno Martin Mystère celebrerà 25 anni di vita. In un quarto di secolo sono apparse oltre 300 storie, fra quelle uscite nella serie mensile e quelle inserite nei molti supplementi di diverso formato e periodicità, che Bonelli pubblica ogni anno. Dire che il BVZM goda di ottima salute è forse eccessivo, ma è indubbio che il filone “magico” abbia una vasta platea di pubblico, come testimoniano libri e film usciti sulla scia del successo del Codice da Vinci. Un tema che Fumettomania analizza da molteplici angolazioni, anche attraverso una lunga intervista ad Alfredo Castelli, creatore del celebre indagatore. Castelli ricorda fra l'altro un’idea avuta vent’anni fa, quando voleva fare l’agente del disegnatore Guido Buzzelli, scomparso nel 1992, e molto somigliante ad Haile Selassiè, l’imperatore etiopico che combattè contro gli italiani nel 1935. Secondo Castelli il negus sarebbe stato considerato una sorta di divinità “rasta” in Giamaica. Le popolazioni locali lo avrebbero colmato di doni in oro, pari al suo peso. Non sarebbe stato un grande guadagno, dato che Buzzelli era un vero peso piuma. L’idea però è senz’altro divertente e originale, anche se abbiamo qualche dubbio sui legami tra il negus e i rasta. Si fa presto a trasformare una semplice voce in realtà, come ci conferma poco più avanti lo stesso Castelli, ricordando come l’ipotesi da lui avanzata nel racconto “Il segreto di San Nicola” che il Graal fosse conservato nell’omonima cattedrale barese, venne considerata con serietà da studiosi e giornalisti, convinti della serietà della ”fonte”, uscita invece solo in una storia a fumetti. Concludiamo con un ritorno a Guido Buzzelli, disegnatore non ancora apprezzato in Italia come merita, a differenza di quanto accade per esempio in Francia. In questi ultimi anni qualcosa si sta muovendo anche per merito dell’associazione dedicata al disegnatore, animata da Grazia Buzzelli, sempre impegnata a promuovere mostre e la pubblicazione di libri. Il prossimo uscirà a maggio per la Lizard Edizioni. Intitolato “Buzzelli noir”, raccoglie cinque storie nere, tra cui la famosa “Guerra videologica”, in cui il disegnatore anticipa a fosche tinte una realtà ormai familiare alla società di oggi. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 23/4/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Per lungo tempo si è ritenuto che i fumetti fossero espressione della cultura anglosassone oppure latina, europea soprattutto. Ma la crescita culturale, oltre che politica ed economica, dei paesi africani e di molte aree asiatiche ci ha fatto scoprire quanto sia sviluppata in quelle zone la letteratura grafica. Certo non siamo ai livelli della cultura occidentale, ma i risultati sono già soddisfacenti offrendo significativi esempi dell’incontro fra gli stili spesso ingenui o addirittura infantili, con disegni che si richiamano alle tradizioni favolistiche. Se a ciò si unisce l’impegno politico espresso in molte vignette o strisce si hanno spesso risultati molto vicini ai migliori prodotti occidentali. E’ il caso per esempio della disegnatrice Marjane Satrapi nata in quella parte dell’Iran che si affaccia sul Mar Caspio nel 1969. Sin da piccola ha nutrito sentimenti democratici, secondo gli insegnamenti della sua famiglia. Di origini nobili ha frequentato gli ambienti migliori dell’Iran, poi ha deciso di abbandonare il suo paese, non sopportandone più il clima oppressivo. Dopo alcuni viaggi in Europa e un matrimonio concluso con un divorzio, nel 1994 si è stabilita a Parigi. L’incontro con un disegnatore la spinse a raccontare in un fumetto la storia dell’Iran, poi raccolta in quattro volumetti, Persepolis, pubblicati in Italia dalla Lizard. La stessa casa editrice ha ora pubblicato “Taglia e cuci”, una lunga storia ironica e molto amara, che sintetizza attraverso le vicende di un gruppo di signore e ragazze della buona società, tutti gli aspetti negativi del loro paese. Sedute davanti a una tazza di thé parlano dei matrimoni combinati dalle famiglie che fanno sposare le figlie ancora minorenni con uomini almeno di una quarantina di anni più vecchi, che le sventurate ragazze conosceranno solo il giorno delle nozze. La conversazione spazia dal mito della verginità alla vita in famiglia, ai sotterfugi escogitati dalle mogli per sottrarsi al controllo dei mariti, con ovvia crescita degli incontri clandestini. Il disegno in bianco e nero dà alla storia della Satrapi un’incisività quasi naif, trasformando “Taglia e cuci” in una graphic novel che può ricordare un altro celebre fumetto come Maus di Art Spiegelman con il maschilismo degli Ayatollah che evoca tanto l’universo oppressivo dei campi di sterminio nazisti. Nella stessa collana la Lizard edizioni ospita anche “Due”, una serie di storie brevi di Silvia Ziche nelle quali la disegnatrice, apprezzata esponente del Disney made in Italy, racconta la burrascosa vita di una coppia che spesso non si sopporta ma che in fondo continua ad amarsi. Il taglio dei disegni è caricaturale, aspro, spigoloso, quasi cattivo, come è spesso la vita delle coppie che stemperano l’amaro in cui sono immerse nel miele dell’amore. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Mercoledì, 11/4/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Una lunga permanenza in ospedale per una fastidiosa malattia che provoca la paralisi dei nervi e dei muscoli del corpo mi ha fatto scoprire che le infermiere di oggi sono molto diverse da quelle che Boccasile disegnava sui giornali umoristici degli anni Trenta, ma, seppure giovani e belle fisicamente, sono senz’altro più brave professionalmente. Le ragazze di Boccasile, con abitini attillati e tacchi a spillo, sarebbero diventate protagoniste di un settimanale, le Grandi Firme, che forse più logicamente poteva anche chiamarsi le Grandi Forme. Le vignette di Boccasile hanno inoltre anticipato il filone cinematografico della commedia all’italiana pieno di segretarie insidiate da panciuti commendatori, di infermiere alle prese con soldatini innamorati e con scolaresche indisciplinate composte da tanti pierini. Dopo questa introduzione, passiamo ai fumetti. Come sempre le edizioni di Sergio Bonelli sono una fucina perennamente accesa. In queste settimane hanno appena celebrato l’uscita del numero 500 di Zagor, che già anticipa il varo di una nuova collana che, sotto il titolo “Romanzi a fumetti di Bonelli” proporrà storie autoconclusive ambientate per lo più in scenari abbastanza insoliti nella produzione bonelliana. Il primo albo, in uscita a metà di giugno, si intitola “Dragonero” e narra la battaglia ingaggiata dal protagonista contro maghi, guerrieri e draghi che vogliono difendere il loro mondo fantastico e crudele dalle ingerenze del mondo esterno. Un tema abbastanza originale, anche se negli albi bonelliani non è rara la presenza di maghi, ovviamente maligni, di animali mostruosi o fantastici e di streghe come Anulka, bruciata nel Settecento e tornata in vita per combattere contro Zagor. E’ questo il tema del prossimo speciale in edicola dal 17 aprile, uno dei tre albi che in queste settimane fanno corona all’uscita del numero 500 di Zagor. La serie è completata dall’ennesimo supplemento dedicato a Cico, la simpatica spalla comica di Zagor, che sarà affiancato da mezza dozzina di strampalati personaggi che in tutti questi anni hanno aiutato o sono stati d impaccio al simpatico e affamato messicano. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 2/4/2007 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Se Robin Wood è uno specialista abituato a ricavare dal passato spunti e personaggi per le sue fantastiche storie (è inarrivabile, per esempio, nella lunghissima saga di Dago), non c’è dubbio che Jean van Hamme, uno dei massimi sceneggiatori di lingua francese, sia uno specialista della storia contemporanea, meglio ancora dei misteri e dei complotti di alcuni momenti oscuri dell’ultimo Novecento, dall’assassinio di Kennedy alle spregiudicate manovre di finanzieri e petrolieri senza scrupoli che spesso giocano con l’economia mondiale e con la vita di milioni di individui. A Van Hamme si deve, fra l’altro, il personaggio di XIII, un uomo senza memoria che porta tatuato il numero tredici scritto in simboli romani. Potrebbe far parte di un complotto per uccidere il presidente americano, ma potrebbe anche essere uno degli uomini che questo complotto deve sventare. Intorno a questo dubbio si snoda una vicenda avvincente, con colpi di scena a ripetizione, squarci di realtà e situazioni in cui la storia si mescola con la fantasia. La saga di XIII è stata più volte proposta dall’Eura Editoriale su Lanciostory e Skorpio, ma anche in una collana di cartonati che in questo periodo ospita la lunga vicenda di Largo Winch giunta all’albo numero 9. Disegnato da Philippe Francq, Largo Winch è stato ideato dallo stesso Jean van Hamme che ne ha fatto il protagonista di romanzi, telefilm e fumetti. Largo Winch il figlio adottivo di un bizzarro miliardario balcanico che alla sua morte lo lascia alla testa di un immenso impero finanziario che Largo Winch si appresta ad amministrare con la stessa leggerezza e la stessa disinvoltura con cui, per esempio, gioca a Monopoli. Il suo comportamento tutt’altro che ortodosso gli suscita subito l’ostilità del vecchio gruppo dirigente che sperava di mettere le mani su una ricchezza inesauribile. Ma Largo Winch sa scegliere gli amici giusti, forse non tutti hanno una fedina penale immacolata, ma sono senz’altro fedeli e generosi e lo aiuteranno a superare complotti e ostacoli in una sorta di giro del mondo che tocca tutti i punti caldi (e sono tantissimi) del pianeta. I pericoli non arrivano solo da terroristi e da killer prezzolati nelle giungle asiatiche o nei canali veneziani (come nell’ultimo albo Vedi Venezia), ma anche dagli ovattati saloni dei consigli d’amministrazione dove finanzieri spregiudicati si scatenano in lotte sanguinose. Talvolta il ritmo e il dialogo si appesantiscono quando è necessario spiegare i complessi meccanismi economici di queste titaniche lotte sotterranee. Ma appena Largo Winch s’infila nell’elicottero e lascia dietro di sé le asfissianti atmosfere del Palazzo, la storia e l’interesse risalgono di colpo e il lettore finisce nelle spire dell’avventura. Non tutto è verosimile (ma nemmeno le storie di James Bond lo sono), ma gli scenari e le situazioni sono sempre credibili e danno un taglio realistico e cinematografico a questo eroe del nostro tempo. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 30/7/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Quella dei fumetti è un’avventura lunga un secolo e più, per citare il titolo del catalogo della mostra allestita da Giulio C. Cuccolini e dal Centro Fumetto Andrea Pazienza di Cremona per il comune di Fiorenzuola d’Arda e il locale Circolo filatelico, numismatico e del collezionismo. Un’avventura raccontata da migliaia di disegnatori e sceneggiatori e commentata (a giudicare dall’ampia e preziosa bibliografia che conclude il catalogo) da oltre 120 critici che in almeno 200 libri (senza contare gli infiniti articoli su quotidiani e riviste specializzate) hanno avuto modo di esprimere giudizi, dare consigli, fornire un’adeguata chiave di lettura per entrare in un universo come quello delle “nuvolette” che per molti (troppi, possiamo dire) resta ancora una sorta di mondo chiuso, isolato, riservato agli iniziati, quelli che sui fumetti o solo sui disegni hanno imparato a leggere e fantasticare. Il catalogo, tutto a colori e ricco di un utile corredo iconografico, permette di ripercorrere con maggiore riflessione il tragitto proposto dalle decine di pannelli che illustrano i momenti più significativi della centenaria storia del fumetto. Una storia le cui origini, come ci dicono i testi di Cuccolini e altri critici, risalgono all’Ottocento, e anche prima, con la nascita della caricatura in Francia e in Gran Bretagna come forma di critica politica, disegnata con rara cattiveria anche da artisti del calibro di Honorè Daumier e William Hogarth. Prima del debutto di Yellow Kid, il monello giallo ritenuto il primo eroe di carta, c’erano state le storie umoristico-didascaliche dello svizzero Rodolphe Topffer e quelle cattivelle dei monelli Max e Moritz ideate dal tedesco Wilhelm Busch e considerati gli ispiratori degli altrettanto fastidiosi Katzenjammer Kids, capostipiti di un’infinita serie di bambini quasi sempre antipatici perché espressione di una classe sostanzialmente borghese che con il suo falso perbenismo si opponeva allo spontaneo sberleffo di Yellow Kid. Per lungo tempo i bambini sono stati i protagonisti quasi unici dei comics, soprattutto in Italia dove venivano considerati una lettura per l’infanzia, con gli irriverenti dialoghi delle nuvolette sostituiti da melense strofette in rima. Di questo e tanto altro parlano la mostra e il catalogo che l’accompagna: si passa, per esempio, dalla “rivoluzione borghese del Corriere dei Piccoli” all’uso propagandistico del fumetto, dai “monotoni anni Venti” ai “magnifici anni Trenta” che videro fra l’altro incombere il clima prebellico con il blocco della produzione americana, ma anche la nascita della scuola italiana. Dal dopoguerra a oggi è storia recente che molti conoscono per aver rovistato fra le bancarelle dell’usato alla ricerca di vecchi albi dai nomi mitici per collezionisti, da Robinson al Tex a striscia, da Pantera Bionda ai primi numeri di Linus o del Giorno dei Ragazzi. Negli anni Ottanta, con le riviste d’autore, c’è stato un effimero boom, poi sfociato nell’invasione dei manga giapponesi, nella crescita delle edizioni Bonelli (che hanno indovinato alcuni personaggi ancor oggi di successo, da Dylan Dog a Nathan Never, da Julia a, forse, Demian) e in molte sporadiche iniziative di piccoli appassionati improvvisatisi editori. Adesso per qualcuno il futuro del fumetto è minacciato dalle nuove tecnologie, ma per altri, compresi i realizzatori della rassegna, “la narrazione figurata è destinata a continuare”. Ospitata per un paio di settimane al teatro Verdi di Fiorenzuola, la mostra continuerà a vivere nei prossimi mesi in forma itinerante perché coloro che l’hanno realizzata vogliono che la rassegna porti avanti il messaggio culturale, storico, di costume tipico del fumetto. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 23/7/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Per gli scrittori la consacrazione arriva con il Nobel o qualche altro premio letterario prestigioso (ammesso che ancora ce ne siano). Per i protagonisti dei fumetti può giungere, al di là delle vendite, dal loro inserimento nelle collane incorporate a quotidiani e riviste, o in quella degli Oscar della Mondadori che da tempo dedica ampio spazio al fumetto. Negli Oscar sono presenti molti personaggi delle edizioni di Sergio Bonelli, da Tex a Dylan Dog, da Zagor a Martin Mystère. Adesso al gruppo si è aggiunta Julia, con un volumetto che ripropone le prime tre storie di una serie iniziata nel 1998 e che fra qualche mese raggiungerà il traguardo dei 100 numeri, decisamente significativo per una collana che si distacca totalmente dal mondo avventuroso (e maschile) dei mensili bonelliani. Julia è stata ideata da Giancarlo Berardi che è uno dei più grandi sceneggiatori italiani nonché appassionato di cinema. Per questa ragione ha inserito spesso volti di noti attori anche nel mondo del West , soprattutto in Ken Parker. Per Julia si è ispirato a uno dei suoi primi amori infantili e ha pertanto dato alla sua eroina non solo la faccia un po’ sbarazzina e talora interrogativa di Audrey Hepburn, ma anche il suo fisico, longilineo e per qualcuno spigoloso, e la sua eleganza. Julia si muove quasi sempre a Garden City , cittadina di provincia forse non lontana da New York, insegna criminologia all’università e aiuta come consulente la Procura distrettuale e gli agenti. Con la stessa forza d’animo con cui supera le difficoltà della vita (ha perso i genitori in tenera età, ha una sorella fotomodella spesso tentata dalla droga, e una nonna anziana ospitata in una casa di riposo), Julia affronta il suo lavoro e i criminali che incontra se non col sorriso sulle labbra, certo con molta rabbia verso quanto di brutto la società di oggi le pone davanti. Ama suonare il pianoforte, detesta le armi (meglio, se occorre, la sua borsetta con un portacenere d’alabastro da scagliare contro il nemico), rifiuta la violenza e preferisce incalzare i banditi con la logica dei suoi ragionamenti, perché crede più nell’opera di convinzione delle sue parole che nei colpi di pistola. Nelle circa cento indagini in cui è stata coinvolta, Julia è venuta a contatto con tutto il male del mondo: banditi da strapazzo, mariti gelosi e vendicativi, affaristi spregiudicati e truffatori da quattro soldi, poveri scippatori e ricchi malvagi e spietati che negli albi sono rappresentati in maniera realistica (non solo graficamente), per cui si può dire che le storie di Julia, depurate della parte fantastica che contengono, sono un preciso ritratto della società odierna. E’ sempre indaffaratissima, ma ha anche una piccola vita privata: è single, ma non disdegna il corteggiamento, che può essere quello quasi goliardico di Leo (un investigatore privato che spesso l’aiuta nelle indagini), o quello più convincente di Webb, tenente quarantenne che segretamente l’ama, ma è timido e sempre titubante. A casa l’aspettano Emily, governante nera che sembra uscita da Via col vento, e Toni, una gattona dispettosa e giocherellona che svolga le funzioni di un antidepressivo. Nel corso degli anni abbiamo scoperto molte altre cose sul passato di Julia (per esempio nell’ultimo Almanacco Giallo Berardi racconta la prima indagine della sua eroina, quando era ancora studentessa), ma Julia è giovane e non ha una lunga storia dietro di sé: preferisce vivere nel presente, magari con un occhio al futuro, perché questo è certamente un fumetto frutto di fantasia, ma anche solidamente ancorato alla realtà dei nostri giorni. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 30/6/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Alla fine del giugno del 1946 nelle edicole italiane apparve un settimanale che avrebbe segnato una tappa importante nella storia del costume e lanciato nel mondo dell’immagine una novità presto consolidata e ormai radicata nel tempo. Il giornale si chiamava Grand Hotel, un rotocalco a metà strada fra il pettegolezzo e l’informazione futile e dilettevole, e ospitava un romanzo disegnato non con il classico stile dei fumetti, ma in modo del tutto originale, con un taglio cinematografico e con ombreggiature (gli spazi bianchi erano per lo più grigi) in cui eccelleva Walter Molino, che da qualche tempo aveva raccolto l’eredità di Beltrame sulle copertine della Domenica del Corriere e che negli anni prebellici si era distinto come pungente vignettista e preciso fumettaro, ideando fra gli altri il personaggio di Kit Carson che dieci anni dopo Galleppini e papà Bonelli avrebbero trasformato nel brontolone ma indispensabile compagno di Tex. La storia disegnata da Walter Molino per Grand Hotel si intitolava Anime incatenate, ed era tratta da un romanzo di M. Dukey e J. W. Symes. La vicenda, che andò avanti per decine di puntate, incatenò soprattutto i lettori perché conteneva tutti gli elementi del più classico romanzo d’appendice ottocentesco, con una fanciulla incarcerata benché incolpevole, con uomini gelosi, spesso violenti e talvolta innamorati, con bambini innocenti e con la guerra che dilaniava anime e sentimenti. Con Grand Hotel il pubblico femminile scoprì forse il mondo del fumetto, ma non venne mai veramente coinvolto nelle storie di uomini rudi e generosi, un po’ banditi e sempre giustizieri, che tanti bravi autori italiani stavano lanciando sulla scia dei più famosi fumetti americani. Un anno dopo Luciano Pedrocchi, figlio di Federico, uno dei padri editoriali del fumetto italiano anni Trenta, pensò di sostituire alle immagini, che per quanto realistiche erano sempre disegnate, delle vere fotografie di attori e attrici che parlavano attraverso le solite nuvolette, e nel maggio del 1947 fondò Bolero Film che nel primo numero (16 pagine, 25 lire, uscito il 25 maggio 1947) ospitava, oltre a una rubrica di notizie sul mondo dello spettacolo, due fotoromanzi, di cui uno (Catene, che qualche anno dopo avrebbe dato il titolo al più celebre dei film del filone lacrimevole e sentimentale) era sceneggiato dallo stesso Pedrocchi e realizzato da Damiano Damiani che aveva già fatto esperienza nei fumetti e poi sarebbe diventato regista di successo. Poco prima di Bolero Film, era uscito (l'8 marzo 1947) Sogno ("il mio sogno") e il successo di questi due periodici obbligò anche Grand Hotel ad abbandonare le vignette disegnate. La nascita di questi settimanali (cui in seguito se ne sarebbero affiancati molti altri, soprattutto quelli della Lancio, che avevano una periodicità mensile e ospitavano storie complete) segnò una piccola rivoluzione sociale e di costume, perché diffusero temi e modelli di comportamento validi per tutti, quasi anticipando quello che, anni dopo, avrebbe fatto la televisione. Ma fu una rivoluzione anche per il cinema perché questo mondo di carta cercava volti nuovi e proprio sulle pagine di questi settimanali esordirono molte future dive, da Sofia Loren, allora semplicemente Sofia Lazzaro, a Gina Lollobrigida. Le storie parlavano sempre di cuori infranti, drammi della gelosia, famiglie divise, ecc., ma dopo fremiti, passioni, timori, il lieto fine riportava la serenità. Solo più tardi (anni Settanta) la realtà, quella drammatica della criminalità, della disoccupazione, della droga, del terrorismo, avrebbe fatto capolino sulle pagine, ormai patinate e colorate, dei fotoromanzi. Ma senza mai esagerare perché ai lettori piace sempre sognare ed evadere. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 25/6/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Crepax, Magnus, Pratt e sul versante umoristico Jacovitti si possono considerare i quattro maggiori autori del fumetto italiano, in tutto degni di stare accanto ai maestri dei comics di tutto il mondo, americani soprattutto. Pur evitando graduatorie sempre soggettive e spesso fastidiose, pensiamo che questo quartetto sia tallonato da molto vicino da un folto gruppo di autori (da Battaglia a Micheluzzi, da Giardino a Galleppini, da Manara ai tanti disneiani con Carpi, Scarpa, Cavazzano in testa ecc.) che in questi anni hanno dimostrato come il fumetto italiano possa tranquillamente competere alla pari con quello straniero. In mezzo a tutti questi grandi artisti collochiamo, in una posizione di primissimo piano ma un po’ defilato rispetto ai suoi colleghi, Guido Buzzelli, un autore romano scomparso nel 1992 all’età di 65 anni. Già nel 1972 nella presentazione di una delle sue storie più famose (I Labirinti) Buzzelli era stato definito, su Fumetto n. 7, un isolato e una sorpresa. Isolato perché non è mai stato legato a gruppi e correnti, una sorpresa perché ogni sua storia proponeva, quasi a sorpresa, temi insoliti, inquietanti, originali. Per questo motivo, Buzzelli per qualcuno è stato anche un rivoluzionario e per qualche altro un visionario, per altri ancora un adorabile mostro oppure l’uomo del dubbio, quasi sempre anarchico e molto anticonformista. Ma Buzzelli è stato soprattutto un profeta, un autore che ha saputo anticipare temi e situazioni diventate poi attuali, dall’ecologia di H. P. allo scontro fra belli e brutti evocato nella Rivolta dei Racchi, una storia del 1967 che lo lanciò nell’universo delle nuvolette. Guido Buzzelli non è mai stato molto conosciuto in Italia, mentre è ancora popolare all’estero, soprattutto in Francia. Ma qualcosa si sta muovendo anche da noi: le sue storie vengono ristampate da vari editori mentre nel novembre prossimo Palazzo Venezia a Roma dovrebbe ospitare una mostra dei suoi disegni, ironici e umoristici pur con un taglio realistico, dedicati all’eros. Intanto la Lizard Edizioni (continuando nell’azione di valorizzazione degli autori migliori del fumetto italiano come Pratt, Micheluzzi, Giardino) sta per pubblicare il primo di una collana di volumi dedicati a Buzzelli. Si comincia con “Annalisa, il diavolo e le altre” che raccoglie cinque storie brevi apparse tra il 1973 e il l986 praticamente inedite in Italia. Annalisa è apparsa nel 1973 su Diavolinus, l’Intervista sull’Eternauta del 1984, Piazza del Popolo e Sposalizio su Paesesera nel 1979 e su Alter Alter l’anno seguente, e La giara, tratta da Pirandello, sul volume Immagini di Sicilia edito dalla Regione siciliana nel 1986. Sono storie un po’ diverse fra loro, fantastiche ma inserite anche nella realtà, spesso con un ometto dagli occhi furbi e interrogativi, tutto nero (dai capelli all’abito) che s’infila sempre fra i protagonisti. Non è solo la firma di un autore unico, ma un modo per dare ulteriore credibilità ai suoi racconti disegnati. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 11/6/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi E’ strano, ma in circa un secolo di vita Fantomas – il popolare genio del male ideato nel 1911 dai francesi Michel Allain e Pierre Souvestre – mentre ha avuto infinite ristampe e numerosi cicli cinematografici e televisivi, non è praticamente mai arrivato nel mondo delle nuvolette. Neppure in Francia, solitamente molto sensibile alle glorie nazionali. Adesso l’incanto sembra destinato a rompersi perché le edizioni BD hanno messo in cantiere un progetto decisamente ambizioso, una sorta di rivisitazione moderna di uno dei miti letterari del primo Novecento. Artefici dell’iniziativa sono nomi famosi della letteratura e del fumetto “noir” italiani, da Luigi Bernardi, profondo conoscitore del mondo “giallo” francese a Onofrio Catacchio, da Tito Faraci a Roberto Recchioni, da Luca Crovi a Maurizio Rosenzweig e via elencando. Mescolando elementi classici delle vecchie storie, questo “gruppo di lavoro” presenterà Fantomas impegnato in nuove avventure nelle quali non verranno trascurate le suggestioni che in tutti questi anni il celebre bandito in frac ha sparso nell’immaginario nero di tutto il mondo. Già, perchè se Fantomas non è approdato nei fumetti, è indubbio che la sua personalità, le sue storie, la sua violenza hanno ispirato una lunga serie di giustizieri mascherati. Il più noto di tutti (le sorelle Giussani lo hanno confessato più volte) è stato Diabolik che da oltre quarant’anni ne ha raccolto l’eredità e continua a portarne avanti il lontano ricordo, sconfiggendo l’ispettore Ginko con la stessa tenace puntualità con cui Fantomas si prende gioco di Juve. Ma prima ancora, negli anni Trenta e nell’immediato dopoguerra, Fantomas ha ispirato molti altri personaggi, soprattutto in Italia allora sensibile all’influenza di culture diverse che arrivavano dagli Stati Uniti o dalla Francia. Ecco perciò l’americano Shadow, l’Ombra, che, nato come protagonista di un programma radiofonico americano, è diventato giustiziere semimascherato nei fumetti di Vernon Greene, oppure Batman e Spirit, che hanno avuto miglior fortuna. Dopo la guerra nasce la scuola italiana (veneziana soprattutto) e nascono l’Asso di Picche, Amok e Misterix che gli autori (da Hugo Pratt ad Alberto Ongaro, da Antonio Canale a Paul Campani) realizzano imitando più o meno inconsciamente analoghi giustizieri di origine americana. Nello stesso periodo in Francia nasce Fantax, in pratica l’ennesimo progenitore di Diabolik e di tutti i fumetti neri. Ideato da Marcel Navarro, è disegnato da Pierre Mouchott, ma vivrà solo pochi mesi, il tempo per scoprire che il disegnatore ha spesso copiato molte tavole da quelle di Burne Hogarth, celebre autore di Tarzan. Con calzamaglia rossa e nera, mantellina svolazzante, una maschera sul volto e una grossa F sul petto, Fantax conduce la sua battaglia contro i banditi, ricorrendo talora alla stessa violenza contro cui combatte. Le accuse di plagio e i tentativi censori lo faranno vivere poco, ma intanto, soprattutto in Italia, è già in moto un esercito di giustizieri in “k” che ne raccoglieranno l’eredità. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 3/6/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Non sembra, ma quello del West è uno dei miti meglio radicati nell’immaginario collettivo, che ne continua a offrire infinite varianti, soprattutto nel cinema e nei fumetti che grazie all’apporto iconografico e visivo ne arricchiscono la forte carica emotiva. Non si contano i film ambientati nel mondo della “frontiera”, in un Ottocento popolato da individui generosi e vigliacchi, onesti e truffatori, sentimentali e cinici, contadini e mandriani, ma anche bari e fuorilegge. Fermandoci all’universo delle “nuvolette” c’è da dire che i personaggi più incisivi e le storie migliori sono quasi sempre scaturiti dalla vecchia Europa, che forse ha saputo guardare con un certo distacco ai drammi e ai problemi di quel mondo, che pure aveva alimentato con l’immigrazione. Racconti western continuano ad apparire in molte collane di vari editori che prudentemente preferiscono riproporre storie d’annata. In effetti recentemente, escluso Magico Vento, non sono stati creati nuovi personaggi di forte spessore, come l’indistruttibile Tex oppure Blueberry, Mac Coy e altri di produzione francofona. E’ per questo motivo che in questi mesi le Edizioni If portano avanti con successo la ristampa della bonelliana Storia del West o la Panini il ciclo di Ken Parker. Oltre a quelle mensili di Tex e Magico Vento, storie western appaiono spesso sugli albi dell’Eura Editoriale, mentre le edizioni Alessandro stanno completando i cicli di Blueberry e di Mac Coy proposti a suo tempo dalla storica Comic Art. In anni lontani, quelli del suo debutto nel fumetto, Lanciostory e Skorpio hanno pubblicato molti racconti di Paolo Eleuteri Serpieri, spesso sceneggiati da Raffaele Ambrosio, che offrono un forte affresco del vecchio West. Uscite a metà degli anni Settanta, e parzialmente penalizzate dal formato delle due riviste dell’Eura, queste storie sono state in parte ristampate negli anni Ottanta su Orient Express e l’Eternauta. Adesso le Edizioni di Mauro Paganelli stanno ripresentando l’intero ciclo (o quasi) in albi di grosso formato che restituiscono alle tavole di Serpieri quell’ariosità e quell’incisività che permettono di apprezzare il vero volto del West con uomini, donne, banditi, pellerossa ma anche cavalli, ritratti con profondo realismo dal disegnatore. Il primo albo è dedicato ai pellerossa e offre la vera storia della battaglia di Little Big Horn, con l’epico scontro tra il gen. Custer e Toro Seduto, e quella di Cavallo Pazzo, singolare figura dell’epopea del popolo rosso. Il secondo volume è dedicato ai cacciatori, pellerossa e bianchi, che per motivi opposti (i primi per la loro sopravvivenza, gli altri per vendere pelli e carne e spianare la strada all’avanzata della ferrovia) hanno sterminato i bufali trasformando ricche praterie in aridi territori. La serie proseguirà con altri volumi dedicati ai banditi, alle donne, a tutti quei personaggi che hanno contribuito a trasformare una realtà anche amara in un mito che resiste nel tempo. Grazie anche alle storie e ai disegni realistici di Serpieri. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 27/5/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi In questi giorni in casa Bonelli si guarda con un po’ di apprensione e molta speranza al 12 maggio prossimo, quando arriverà in edicola l’ultimo personaggio di una ricca serie, Demian, protagonista di una nuova collana che proporrà avventure, misteri, complotti, sparatorie e inseguimenti all’interno del Mediterraneo, in una vicenda dove passato e presente si intrecciano nella figura di Demian, un uomo che ha una missione da compiere e forse un passato da riscattare o dimenticare. Ma questi sono, come sempre, anche giorni di intenso lavoro per la scuderia Bonelli, impegnata fra l’altro a preparare le celebrazioni di Zagor, che sta viaggiando verso l’albo numero 500, tutto a colori ovviamente, e disegnato da Galliano Ferri, che uscirà nel marzo prossimo. Dopo Tex, Zagor è l’eroe bonelliano più longevo, essendo stato ideato da Sergio Bonelli (e disegnato da Ferri) nel giugno del 1961. In tutti questi anni Zagor si è conquistato un posto importante nel mondo delle nuvolette italiane, perché è un personaggio che pur collocato nel classico scenario western, da quel mondo spesso si allontana, con scorribande che lo portano a viaggiare non solo per l’intero pianeta, ma anche a spingersi verso dimensioni insolite, sconosciute, misteriose dove compaiono personaggi storici e avventurieri fantastici, malfattori spregiudicati e imbroglioni che stuzzicano con false superstizioni la fantasia dei più deboli. In 45 anni di vita Zagor ha incontrato e sconfitto con la sua forza, con il possente Tomawahk e con l’aiuto di pellerossa e di bianchi buoni (c’erano anche nel vecchio West) decine di fuorilegge e banditi, ma ha anche demolito falsi miti, antiche magie e risolto molti misteri del passato. Ma è inutile fermarsi sul lungo passato di Zagor e sugli infiniti personaggi (eroi o squallidi figuri) che in tutti questi anni lo Spirito con la Scure (come lo chiamano i suoi amici indiani) ha affrontato. Guardiamo invece al futuro e incamminiamoci verso il numero 500. Ci arriveremo attraverso due lunghi cicli inseriti nella collana mensile. Da questo mese di maggio è iniziata una lunga avventura scritta da Mauro Boselli e disegnata da un esordiente, Alessandro Piccinelli, con Zagor immerso in una classica storia del vecchio West. Seguirà un altro racconto di Moreno Burattini (e disegni di Marco Verni) con un altro classico nemico di Zagor, il mutante Skull, già comparso più volte nel passato. West e magia sono infatti gli ingredienti più ricorrenti nella quasi cinquantennale vita di Zagor, che ritroveremo anche nel Maxi Zagor di luglio e nello speciale della prossima primavera,. Sono due elementi molto graditi dai lettori che di questo personaggio apprezzano anche l’ironia che ne pervade tutte le avventure, e che talora sfocia nella comicità, grazie agli interventi di Cico, riuscita spalla di Zagor e senz’altro uno dei personaggi di contorno meglio riusciti a Sergio Bonelli. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 29/4/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Ormai il mistero, con il suo oscuro fascino, è uno degli ingredienti indispensabili di qualsiasi storia dell’immaginario che dall’avventura scivoli nella paura, nell’incubo, nel terrore, talvolta anche in un orrore che viene quasi sempre superato dalla realtà. Il mondo dei fumetti è fin troppo ricco di personaggi, spesso anche “magici”, che si divertono a scacciare incubi veri o presunti, ma sempre temuti. Il capostipite di questi “maghi” di carta è senz’altro Mandrake, fin troppo noto nelle sue pluridecennali avventure. In tempi più recenti sono nati Martin Mystère e Dylan Dog, il primo figlio di Alfredo Castelli e l’altro di Tiziano Sclavi, ma entrambi portati al successo dalle edizioni di Sergio Bonelli che con questi personaggi ha individuato due interessanti filoni che avrebbero però poi portato a molte brutte imitazioni. Tra i tanti protagonisti minori vissuti solo per pochi albi, ce n’è tuttavia uno che resiste bravamente da molti anni sulla scia di Martin Mystère di cui cerca di insidiarne (da molto lontano) il primato. Si chiama anche lui Martin, Martin Hel per la precisione ed è scaturito nel 1992 dalla fantasia di quel mostro di bravura (soprattutto per la ricchezza di personaggi che riesce a inventare e per le intriganti storie di cui li fa protagonisti) che è Robin Wood, sceneggiatore instancabile e autore di infiniti cicli di successo, da Dago a Helena, da Nippur a Savarese e tanti altri che da anni appaiono sui settimanali Lanciostory e Skorpio. In Martin Hel ha riversato un po’ del clima e delle atmosfere di Martin Mystère, ma tra i due ci sono molte differenze: Hel non ha un aiutante fisso e preferisce affidare i compiti di Java a qualche amica (le donne non mancano mai nelle sue indagini) o a un commissario parigino. Segue anche i consigli che gli dà il conte Dracula attraverso un ritratto appeso al muro della sua casa, e si muove spesso in ambienti esotici, anche se il suo quartier generale è a Parigi. Come il Martin più celebre, si trova quasi sempre immischiato in problemi legati al passato, dall’archeologia alla magia, e in questo mondo di incubi si trova a suo agio perché, come ha detto una volta Robin Wood, anche lui “è un po’ misterioso come un’ombra che puoi vedere una mattina molto presto”, e che si confonde con quelle degli incubi che cerca di sciogliere. Presenza quasi fissa su Skorpio, Martin Hel appare in edicola nei mesi pari con albi di maggior spessore, a conferma della popolarità di un personaggio che il disegnatore Alberto “Lito” Fernandez ha reso in maniera quanto mai espressiva. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 16/4/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi L’ultima avventura di Tex occupa gli albi di febbraio e marzo della collana mensile ed è ambientata fra le nevi del Canada. La storia, scritta da Mauro Boselli e disegnata da Miguel Angel Repetto in un perfetto stile western degli anni d’oro, offre la consueta manciata di intrighi, sparatorie, uccisioni e complotti orditi da un boss locale che usa spregiudicatamente una banda di fuorilegge prezzolati. Ma non è tanto la vicenda nel suo complesso che vogliamo sottolineare, quanto le poche tavole in cui un tribunale raccogliticcio, riunito nel saloon di Caribou, lassù nel Klondike, giudica e condanna un povero eschimese accusato ingiustamente di aver ucciso una Giubba Rossa. Sono poche vignette che richiamano alla memoria un altro giudice dell’universo western immortalato da Sergio Bonelli in pochi albi negli anni Sessanta. Si tratta del giudice Roy Bean, uno dei tanti avventurieri che nel vecchio West inseguivano la fortuna e che era, secondo Sergio Bonelli, “un miscuglio di tragedia e di comicità grottesca” per il suo modo di amministrare la giustizia “a ovest del Pecos”. Giudice di pace, eletto nella contea di quel villaggio del Texas il 2 agosto del 1882, Roy Bean aveva trasformato il saloon nell’aula del tribunale: il bancone del bar era il suo scranno e gli imputati, in caso di condanna, venivano rinchiusi nel retrobottega. Restò in carica fino al 1903, quando morì e cominciò subito la sua leggenda. Totalmente a digiuno della legge, assolveva e condannava facendosi guidare un po’ dall’istinto e molto dal buonsenso, e soprattutto a differenza di tanti suoi colleghi non emise mai una sentenza capitale. Morì nel marzo del 1903, pochi mesi prima che l’attrice Lily Langtry giungesse nel Texas per incontrarlo, dopo un amore platonico durato almeno una ventina di anni. Il giudice infatti si era invaghito dell’attrice dopo averla vista in fotografia: le scrisse, diede il nome di Langtry a un villaggio lì vicino, le dedicò anche il suo saloon che assunse il poetico nome di Jersey Lily (ovvero il Giglio di Jersey, dall’isoletta inglese dove l’attrice era nata), ma dove si continuavano a servire quegli intrugli alcolici che il giudice preparava personalmente. Un simile personaggio ispirò anche il mondo di Hollywood e nel 1940 il regista William Wyler lo inserì nel film “L’uomo del West”, un forte affresco dell’epopea western con Gary Cooper nel ruolo di un giovane onesto, buono e generoso e Walter Brennan (peraltro premiato con l’Oscar) in quello del giudice. Anche Sergio Bonelli ne restò affascinato e nel 1959 sceneggiò alcune storie dedicate alle imprese di questo singolare personaggio. Il fumetto, con i disegni di Sergio Tarquinio, sarebbe però apparso solo nel 1963 perché Bonelli non si sentiva ancora completamente padrone del mestiere, forse “bloccato” dal confronto con il suo grande padre, tanto che per non screditarne il nome avrebbe a lungo usato lo pseudonimo di Guido Nolitta. Il taglio di questi racconti oscilla fra il realismo e il grottesco, con il lato comico che prevale su quello drammatico. “Forse in Bean - ha ricordato una volta l’editore – la comicità mi prese la mano, e così mi trovai un po’ nei pasticci, tanto da chiedere a Bonelli padre di scrivere il quinto e ultimo episodio di questa serie fin troppo breve ma gradita ai lettori”. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 2/4/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi In Francia non solo i quotidiani ma anche i periodici letterari e le grandi istituzioni culturali ospitano lunghi articoli e grandi mostre sul fumetto. In Italia invece le “nuvolette” finiscono sempre (salvo rarissime eccezioni riservate quasi esclusivamente ai grandi maestri, Pratt su tutti) nelle “brevi” di poche righe, in fondo alla pagina. Ha pertanto sorpreso positivamente vedere che il Magazine del Corriere della Sera ha dedicato a V come Vendetta un lungo articolo del suo critico letterario nella pagina delle recensioni librarie. Da quanto si legge fra le righe, il critico ha scoperto solo adesso – forse sollecitato dall’uscita del film che ne è stato tratto – il valore dirompente della storia di Alan Moore, trasferita in efficaci immagini da David Lloyd. Un interesse cui non sono stati certo estranei né il film dei fratelli Wachowski, né la trama della vicenda, ambientata in un’Inghilterra dominata da una dittatura che sembra evocare gli anni dei governi della signora Thatcher, che Moore pone sotto accusa per la forte carica di autoritarismo e di conservatorismo, per molti versi analoga a quella espressa vent’anni dopo dalla presidenza Bush negli Stati Uniti. Quello di Moore è ormai un fumetto cult che ben si inserisce nel filone più impegnato che ha sempre avuto straordinari narratori e disegnatori, dallo Spiegelman di Maus al Will Eisner di tanti amari affreschi che hanno rappresentato nel modo migliore molti aspetti della realtà americana. Hollywood ha scoperto con ritardo V come Vendetta (affidandolo all’interpretazione di Hugo Weaving e Natalie Portman), perché il mondo del cinema alle storie con forti radici civili preferisce quelle più spettacolari e più evasive dei supereroi. Nei prossimi mesi infatti è in arrivo la solita valanga di film con abbondanti effetti speciali e molti personaggi senz’altro amati, dai Fantastici 4 alle nuove puntate della storia infinita di Batman e di Superman (filone quasi inesauribile per Hollywood), agli X-Men. Ma nei cassetti dei produttori ci sono anche proposte più serie, dai nuovi episodi di Sin City (con Frank Miller coinvolto nella regia), a Watchmen, altro interessante romanzo a fumetti degli anni Ottanta di Alan Moore e Dave Gibbson, che Terry Gilliam avrebbe voluto girare già da tempo, con Richard Gere e Robin Williams, e che ora è nelle mani di Paul Greengrass per la solita pausa di riflessione che dovrebbe permettere ai produttori di valutare gli aspetti economici di un film del genere, senz’altro più difficile di quelli dei supereroi che assicurano incassi notevoli e spesso soddisfano un pubblico di bocca buona, che non sempre conosce e apprezza le storie di Moore e compagnia. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 19/3/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Di poliziotti il mondo delle nuvolette è fin troppo pieno, forse perché quasi tutte le storie avventurose ruotano intorno all’eterno scontro tra legge e illegalità, tra ordine e disordine, tra sicurezza e violenza. Nel vecchio West questo scontro era pane quotidiano per sceriffi e fuorilegge, nelle moderne metropoli con un piede già nel Duemila, è sempre un fenomeno preoccupante e drammatico, con inquietanti sconfinamenti nel terrorismo. Gli anni Settanta sono stati per l’Italia un periodo oscuro che molti registi, disegnatori o scrittori hanno documentato in film, fumetti e romanzi. E’ in quegli anni che sono nati due poliziotti che in qualche modo hanno raccontato il clima di quei momenti. Uno è il commissario Spada, vissuto unicamente nei fumetti e nato dalla fantasia di Gianluigi Gonano e disegnato da par suo da Gianni De Luca. L’altro è Sarti Antonio, sergente della Mobile bolognese, protagonista di decine di racconti e romanzi di Loriano Macchiavelli, puntuale cronista, spesso insieme a Francesco Guccini, di qualche decennio di “mala” bolognese. Il commissario Spada è stato concepito per un pubblico di ragazzi (veniva pubblicato sul Giornalino) che forse non erano ancora maturi per comprendere pienamente tutte le sfumature di queste storie, ironiche e drammatiche, che il disegno di Gianni De Luca col suo taglio cinematografico rendeva piccoli capolavori visivi. Adesso che il ciclo è stato riproposto in vari volumi da Black Velvet-BD edizioni e in un altro antologico allegato a un quotidiano, è facile individuare le tematiche politiche, sociali, umane di questi racconti, sorprendenti sia per originalità che per la loro carica emotiva, in qualche caso anche in anticipo sui tempi. Le storie di Sarti Antonio, nate con una dimensione letteraria (ma trasferite anche con successo sul video in un ciclo con Gianni Cavina) non hanno ancora trovato spazio nel mondo delle nuvolette. Ci fu vent’anni fa, all’epoca di Orient Express di Luigi Bernardi, una riduzione a fumetti realizzata da Gianni Materazzi, che adesso l’editore Flaccovio ripropone in un albo con lo stesso titolo del romanzo, Le piste dell’attentato, il primo scritto da Macchiavelli nel 1974. Siamo in una Bologna profondamente diversa da quella americanizzata in cui lavora il Sam Pezzo di Vittorio Giardino: è una Bologna più riconoscibile, concreta, spesso umana, ma anche scossa dal terrorismo e da violenze velleitarie. Con un sindaco che legge Tex e con tanti disegnatori che lavorano nel capoluogo emiliano, è proprio impossibile tradurre a fumetti le indagini di Sarti? [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 11/3/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Per chi è cresciuto insieme a Tex e all’intera famiglia Bonelli che ha trasformato (in meglio) l’universo del fumetto italiano, fa un certo effetto, non necessariamente negativo, vedere come si sta modificando il panorama delle varie collane bonelliane. Il West resiste bravamente, anche perché accanto a Tex c’è un Magico Vento che ne arricchisce lo scenario classico con presenze di qualità e tagli insoliti, dal fantastico al gotico. Meno bene va invece l’avventura tradizionale, quella che per decenni ci ha proposto Mister No, giunto adesso all’ultima, infinita storia che Sergio Bonelli (ovvero Guido Nolitta che lo ha ideato e sceneggiato per decine di albi) sta scrivendo, arricchendola di tante situazioni e personaggi, quasi non volesse mai giungere alla parola fine, prevista per la prossima estate. Zagor resiste perché ha un forte spessore, collocato in una dimensione sostanzialmente western, ma anche fantastica e magica, in quella Darkwood primo Ottocento capace di attrarre individui strampalati e loschi figuri. Per diversi anni le edizioni Bonelli hanno affiancato a questi racconti classici e ottocenteschi, nuovi personaggi, quasi sempre calati nella realtà contemporanea o proiettati verso il futuro. Ma non tutti hanno avuto la fortuna di Tex e compagni: alcuni come Nick Raider, originale tentativo di dare immagini di carta a situazioni spesso tipiche dei telefilm polizieschi americani, hanno cessato di vivere al numero 200, altri come Legs Weaver, forse messa in ombra dal più solido Nathan Never, si sono arresi dopo la boa del numero 100, altri come Martin Mystère, sono diventati bimestrali, con storie più corpose e meglio congegnate, altri infine come Napoleone, termineranno il ciclo tra pochi mesi, col numero 54, ed è un peccato perché l’albergatore inventato da Carlo Ambrosini ha una sua originalità, e non solo perché vive sul lago di Ginevra, scenario insolito per un fumetto di qualità. Futuro in rosa per Dylan Dog che a ottobre festeggerà i suoi primi vent’anni con una storia doppia di Paolo Barbati e Tiziano Sclavi (di nuovo in scena….) e disegni di Bruno Brindisi, e per Julia che nel gennaio prossimo spegnerà le cento candeline con un albo tutto a colori secondo tradizione. Tempo di saluti invece per Brad Barron che a ottobre concluderà la sua odissea nell’America del dopobomba, ma tempo di auguri per Demian, protagonista di un ciclo di 18 albi che inizierà nel prossimo maggio. Ideata da Ruju e Piccatto, questa miniserie noir (che nel nome sembra evocare gli universi altrettanto inquietanti di Dampyr e di Brendon, due collane ormai consolidate) presenterà un singolare personaggio un po’ misterioso al centro di intrighi, passioni, violenze, speranze in un mondo dominato, ieri come oggi, dall’odio e dal sospetto. Per la fine dell’anno (o subito dopo) potrebbero partire un’altra miniserie dai contorni non ancora ben definiti e una collana, “Romanzi a fumetti”, con albi autoconclusivi, di dimensione variabile e con temi originali o classici. Si comincerà con Dragonero, un “fantasy” di Vietti ed Enoch, e si proseguirà con un corposo romanzo western di Gino D’Antonio disegnato da Renzo Calegari. Un modo per rendere più sopportabili le trasformazioni in corso, perché il West resta una fonte inesauribile, priva quasi sempre di quei problemi (esistenziali?) che affliggono i protagonisti di altri cicli nei quali il realismo dei personaggi si stempera in situazioni non sempre verosimili. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 5/3/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Negli anni Quaranta c’era il secondo conflitto mondiale e molti disegnatori indossarono la divisa (al pari dei loro figli di carta, da Superman a Paperino) per difendere la libertà e la democrazia. Anche Alex Raymond non sfuggì alla regola e quando tornò negli States, con il grado di maggiore dei Marines, aveva perso per strada i suoi eroi degli anni Trenta, da X-9 a Jim della Giungla, ma soprattutto Flash Gordon che la King Features nel frattempo aveva affidato ad Austin Briggs, con un contratto fino al 1948. Per non finire come tanti reduci alle prese con problemi di reinserimento nel lavoro e nella società, Alex Raymond ideò, con l’aiuto di Ward Greene, scrittore e sceneggiatore della stessa King Features, un nuovo personaggio che vagamente si ricollegava sia a Flash Gordon che all’agente X-9. Con il primo aveva in comune sia la struttura atletica che la formazione intellettuale, con il secondo l’interesse per l’azione e i casi complicati. Il nuovo personaggio vide la luce il 4 marzo del 1946 sulle pagine del New York American Journal e subito dopo su altre centinaia di quotidiani americani (e poi di tutto il mondo), si chiamava Rip Kirby ed era l’immagine di carta dello stesso disegnatore. Come Raymond, Rip Kirby era stato ufficiale dei Marines, fumava la pipa, giocava a golf, amava le auto sportive e gli abiti firmati, si dilettava col pianoforte e ascoltava musica classica. Non aveva i baffi, ma in compenso inforcava gli occhiali. Il suo braccio destro è un anziano maggiordomo inglese, Desmond, ex scassinatore pentito e redento, la cui esperienza sarà spesso utile. Se negli anni Trenta le avventure di Dick Tracy avevano presentato la faccia peggiore della criminalità, violenta e spesso sanguinaria, con Rip Kirby si fa un salto di qualità, e i delinquenti contro cui il detective con gli occhiali combatte non escono più dai bassifondi o dai quartieri malfamati delle metropoli, ma spesso dagli ambienti dell’alta società dove si annidano speculatori spregiudicati, donne malvage, rapitori di bambini e criminali insospettabili. Il nemico principale di Rip Kirby è il Maciullatore, un individuo rozzo, violento, evaso da Alcatraz e fisicamente brutto come tutti i nemici di Dick Tracy. Ma il Maciullatore in fondo non è un delinquente incallito, malgrado gli sfregi sul viso, anche se ogni tanto la sua strada s’incrocia con quella del detective, e allora son dolori. Ha una donna, la bella Pagan Lee, vera dark lady del ciclo, che Rip Kirby tenta perfino di conquistare, facendo entrare in crisi (di gelosia) la tranquilla Honey Dorian, fotomodella e sua eterna fidanzata, che in diverse avventure dimostra di non essere la solita svampita, ma una ragazza che sa ragionare e anche aiutare il suo uomo. Alex Raymond ha disegnato Rip Kirby per dieci anni, fino al settembre 1956 quando morì in un incidente d’auto. La serie fu subito affidata a Fred Dickenson, che già collaborava ai testi di Raymond, e a John Prentice, già anonimo collaboratore del disegnatore scomparso che avrebbe sostituito con un successo lungo decenni. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 5/3/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Nel 1536 nel golfo del Bengala i pirati Singh attaccarono e affondarono un pacifico mercantile, uccidendo tutti gli uomini a bordo. Si salvò solo un ragazzo che giunto a stento a riva venne raccolto e curato da una tribù di indigeni. Una volta guarito ebbe la ventura di identificare, in un corpo trascinato a riva dalla risacca, il pirata che gli aveva ucciso il padre. Sul cranio dell’assassino giurò di dedicare tutta la sua vita alla lotta contro i cattivi, la violenza, il male. Un impegno che nel corso dei secoli avrebbero poi rispettato anche i suoi discendenti. Quattrocento anni dopo, nel 1936, lo scrittore Lee Falk (che due anni prima aveva inventato il mago Mandrake) ideò un nuovo personaggio per i fumetti: lo chiamò Phantom, dal nome di quel misterioso vendicatore che gli indigeni del Bengala conoscevano da quattro secoli, lo chiamavano l’Ombra che cammina e lo ritenevano immortale. E’ nato così il primo giustiziere dei fumetti, apparso per la prima volta il 17 febbraio 1936 sul New York American Journal e quasi subito sbarcato anche in Italia, sulle pagine dell’Avventuroso, il 13 settembre del 1936. Phantom si presentava con un’attillata tuta rossa (rispetto a quella grigia e forse più anonima delle strisce originali), e con un nome nuovo, inventato con genialità tutta toscana dall’editore Nerbini che vedendo le prime strisce americane aveva esclamato: “Ma questo è un uomo mascherato!”. Con quel nome Phantom divenne subito popolare in Italia, al pari di Flash Gordon e della coppia Tim Tyler e Spud Slavins che il solito Nerbini aveva trasformato nei più facili e toscaneggianti Cino e Franco. Il primo disegnatore di Phantom fu Ray Moore che poi nel 1946 lo affidò al suo assistente Wilson McCoy che ne illustrò le storie fino alla sua morte, nel 1961. In seguito Phantom è passato nelle mani di Sy Barry e poi di altri, non tutti all’altezza dei primi disegnatori. Oggi il mito dell’Uomo Mascherato è decisamente in declino, malgrado gli sforzi che in molti Paesi pochi appassionati compiono per mantenerlo in vita. Comunque le sue storie sono pubblicate ancora in mezzo mondo, dalla Scandinavia all’Australia, spesso realizzate anche da un bravo disegnatore italiano, Romano Felmang. La grande stagione di Phantom ha abbracciato il periodo a cavallo del secondo conflitto mondiale, praticamente fino agli anni Sessanta, quando le sue storie - profondamente calate in una dimensione ottocentesca e coloniale – hanno perso vigore di fronte all’avanzata di supereroi dai poteri magici e indistruttibili. Come poteva opporsi Phantom, coi suoi pugni poderosi, con la pistola infallibile e l’aiuto degli amici pigmei, alle meraviglie delle tecnologie futuribili? Era una missione quasi impossibile e anche Lee Falk non riusciva più a inventare storie capaci di sorprendere, come quelle dei lontani anni Trenta quando Phantom combatteva contro i pirati Singh, contro una banda aerea composta da tutte donne (un’idea geniale inserita poi da Ian Fleming in una famosa avventura di James Bond), contro i rapitori del piccolo Toma o contro spregiudicati cacciatori diamanti. Sul finire degli anni Settanta si tentò di rivitalizzarlo con un fastoso matrimonio nella giungla, che coronava quarant’anni di fidanzamento con Diana Palmer, e con la successiva nascita di una coppia di gemelli, un maschietto per proseguire il mito dell’Ombra che cammina e una bambina per accontentare le femministe. Rispetto al passato, nelle storie attuali c’è forse maggiore realismo, ma i lettori di fumetti amano viaggiare con la fantasia, inseguire situazioni e personaggi magari irreali ma plausibili. Forse è giunto il tempo della pensione per il primo giustiziere dei fumetti, quel Phantom che si nasconde dietro una mascherina e che quando va in missione nel mondo civile diventa un anonimo Mr. Walker, infagottato in un pesante cappotto e con il cappello ben calcato sulla testa. Ma il suo mito, in ogni caso, non accusa il passare del tempo. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 19/2/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Capita, sfogliando qualche libro per controllare una data, di scoprire che Guido Martina non solo è nato dieci anni dopo (nel 1916 invece del 1906) ma è stato anche un ragazzo prodigio perché dopo aver conseguito la laurea in lettere e filosofia e insegnato per qualche anno a Torino, ha trascorso cinque anni a Parigi lavorando nel cinema. Tornato in Italia nel 1938 (aveva 22 anni o 32?) è entrato nel mondo dei periodici Mondadori come traduttore delle storie di Topolino e compagni.. Un errore di stampa può sempre capitare, ma è diabolico che in tanti anni sia stato ripetuto e inserito in svariati volumi e diverse schede biografiche (alcune firmate da Alberto Beccattini, un’autorità in materia disneiana) senza mai essere stato corretto. Evidentemente nessuno legge quello che copia… Tornando a Guido Martina, di cui si celebra il centenario della nascita avvenuta il 9 febbraio 1906 a Carmagnola presso Torino, c’è da dire che il professore, entrato nel mondo delle nuvolette dalla porta di servizio, si è poi impadronito perfettamente del mestiere divenendone uno dei più bravi e fantasiosi autori, passando con disinvoltura dal mondo disneiano a quello del West. Nell’immediato dopoguerra ha cominciato a scrivere una serie di avventure di Mickey Mouse, spesso affidate alla matita di Angelo Bioletto, anche lui nato nel 1906 e piemontese come lo sceneggiatore, ma soprattutto un grande dell’illustrazione, il cui nome resta legato al successo delle famose figurine del Feroce Saladino degli anni Trenta. Insieme hanno realizzato la storia Topolino e il Cobra Bianco con cui la coppia debuttò nel 1948, ma soprattutto, l’anno seguente, quel piccolo capolavoro che è l’Inferno di Topolino preciso esempio di satira intelligente in rima e nuvolette che rivisita con i personaggi disneiani l’universo dantesco. Riferimenti all’attualità di allora si alternano con divertenti soluzioni grafiche e poetiche che fanno di questo fumetto il capostipite delle infinite parodie che negli anni successivi Guido Martina avrebbe realizzato in un fortunato ciclo che altri (da Carlo Chendi a Luciano Bottaro, a Giovan Basttista Carpi, ecc.) hanno poi proseguito nel corso degli anni. L’Inferno di Martina piacque molto ai dirigenti dell’impero di Burbank e allo stesso Walt Disney che, facendo uno strappo alla regola, autorizzarono che la storia fosse firmata dagli stessi autori, anche se poi l’anonimato continuò a nascondere a lungo molti maestri del Disney made in Italy .Oltre che grande autore disneiano, Guido Martina è stato uno dei padri del western all’italiana, grazie al personaggio di Pecos Bill “nato” nel dicembre del 1949 e vissuto per 165 albi fino al 1955. Il cow boy col lazo, amico di Calamity Jane, Davy Crockett e Penna Bianca e innamorato della Piccola Sue e sempre in sella al fido Turbine, fu un vero e proprio fenomeno editoriale che per qualche tempo bloccò il decollo di Tex, in edicola già da un anno. Rispetto al ranger di Bonelli, Pecos Bill era meno violento, e le storie di Martina (che forse risentiva inconsciamente del clima disneiano) erano senz’altro meno dure di quelle di Tex, costellate di sparatorie e scazzottate. Il primo disegnatore di Pecos Bill fu Raffaele Paparella, presto affiancato da Pier Lorenzo De Vita, Rinaldo D’Ami, Gino D’Antonio e altri. Il successo fu tale che l’albo, nato come settimanale, venne qualche tempo dopo trasformato in quindicinale perché i disegnatori non riuscivano a reggere il ritmo. Accanto a Pecos Bill si sviluppò, forse per la prima volta, un ampio merchandising, con la vendita di oggetti e giocattoli ispirati al mondo del popolare cow boy, compresa la famosa pistola di Pecos Bill, un clamoroso falso ... storico dato che il nostro eroe non usava mai le armi. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 18/2/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Charlie Chaplin inventò il personaggio di Charlot nel 1914 e quasi contemporaneamente le sue avventure vennero trasferite in una serie di tavole, con lunghe didascalie e senza nuvolette, che si possono considerare il primo esempio di una lunga e abbastanza felice convivenza tra il mondo degli attori e quello dei fumetti. Le prime storie di Charlot, disegnate da Albert Tecker Brown, meglio noto come Bertie Brown, apparvero dal 7 agosto 1915 sull’inglese Funny Wonder e sbarcarono quasi subito anche negli Stati Uniti, ampliate e trasformate in comic books. Ma il vero “decollo” avvenne giusto novant’anni fa, nel marzo del 1916 quando nel gruppo dei disegnatori americani di Charlot entrò un giovane di belle speranze, Elzie Crisler Segar, che aveva imparato a disegnare seguendo un corso per corrispondenza. Segar amalgamò perfettamente il suo taglio caricaturale con l’umorismo del personaggio, quasi anticipando nelle avventure del famoso vagabondo i caratteri di Popeye, l’irascibile marinaio pazzo per gli spinaci (e per Olivia) che avrebbe disegnato fino alla morte, avvenuta nel 1938 all’età di 44 anni. Le strisce e gli albi dedicati a Charlot – costantemente rilanciati dal successo dei suoi film – sono apparsi praticamente in tutto il mondo. In Italia le tavole, per lo più inglesi, vennero pubblicate su diversi giornalini, da Jumbo a Rin Tin Tin, al Piccolo Cinematografo di Nerbini, mentre in Francia un grande successo ottennero le storie disegnate dal vignettista umoristico Thomen. Quasi per ribadire la parentela che esiste fra cinema e fumetto nel corso degli anni si è registrata una lunga serie di incontri fra attori e disegnatori. Grande successo, per esempio, hanno ottenuto in Italia gli albi dedicati a Cric e Croc, traduzione umoristica di Stanlio e Ollio (ovvero Stan Laurel e Oliver Hardy) disegnati da un non meglio identificato Da Passano, e quelli con le avventure di Ciccio e Franco (Franchi e Ingrassia, vera coppia “cult” del cinema comico), pubblicati a Roma negli anni Settanta, nello stesso periodo in cui arrivano nelle edicole anche gli albi con le scenette televisive di Pappagone (il Peppino De Filippo di tante Canzonissime) e di Totò. All’inizio degli anni Quaranta Giovanni Manca aveva inventato per il Corriere dei Piccoli Macarietto, sulla scia dei successi teatrali e cinematografici del noto comico torinese, mentre in tempi più recenti anche Woody Allen ha avuto una striscia quotidiana disegnata da John Marthen e Hample. Ma l’elenco è molto più lungo, e comprende tra gli altri quasi tutti i protagonisti del cinema americano, da Gianni e Pinotto (Abbott e Costello) ai grandi interpreti del muto, come Ridolini (disegnato anche da Paolo Piffarerio), Buster Keaton o Harry Langdon, agli attori dei cinema western, da Tom Mix a John Wayne, mentre mancano curiosamente albi e strisce dedicati alle attrici. [Carlo Scaringi] Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 11/2/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Oggi la grafica pubblicitaria può offrire interessanti opportunità di lavoro a disegnatori di fumetti in crisi di idee o più probabilmente di vendite. Il grande sviluppo degli spot animati e delle sigle televisive sta impegnando molti autori, spesso anche famosi, che riescono così a concretizzare le loro fantasie creative. Ma il rapporto tra il mondo dei fumetti e quello della pubblicità ha radici antiche. Il mercato pubblicitario ha infatti sempre utilizzato personaggi famosi dell’universo delle nuvolette per sponsorizzare prodotti spesso (ma non sempre) legati al loro ruolo Tutto ebbe inizio con Yellow Kid, il simpatico monello giallo disegnato sul finire dell’Ottocento da Richard Felton Outcault, che sul suo camicione giallastro (o sporco?) non solo commentava fatti e fattacci del quartiere ma invitava a fare la spesa al negozio lì vicino. Sulla sua scia i pubblicitari americani utilizzarono poi Happy Hooligan (Fortunello nella versione apparsa sul Corriere dei Piccoli) che invitava a gustare certi biscotti sopraffini e Felix the Cat (Mio Mao da noi) che esaltava le virtù d’un celebre purgante. Tra i tanti eroi di carta ce ne sono alcuni che sembrano nati apposta per la pubblicità, per esempio Zio Paperone, più volte utilizzato per far conoscere banche e speculazioni finanziarie, oppure il Linus di Schulz che con la sua coperta è l’immagine più convincente per propagandare un certo ammorbidente, o anche la Valentina di Crepax che con il suo abbigliamento succinto e sbarazzino è stata spesso utilizzata per sponsorizzare abiti, pneumatici, automobili fuoriserie o ristoranti alla moda. Corto Maltese di Pratt, grande viaggiatore e camminatore instancabile, negli anni Settanta ha fatto la pubblicità a una famosa marca di calzature, mentre Superman, campione di velocità e dinamismo, se è stato spesso utilizzato in Italia per esaltare le doti di questo o quel carburante superpotente, negli Stati Uniti ha prestato la sua immagine anche alla National Bank, al pari di Blondie, la petulante e spendacciona moglie del povero Dagoberto, che per qualche tempo è stata “assunta” dalla Bank of America. Bristow, l’impiegato fannullone della City di Londra ideato negli anni Sessanta da Frank Bristow, è stato l’ideale per esaltare le qualità di alcuni mobili da ufficio, indispensabili per i riposini pomeridiani. Negli anni Ottanta straordinario successo ebbero le ragazze protagoniste di una campagna pubblicitaria disegnata da Milo Manara: i loro occhi ammiccanti e allusivi cadevano su perfetti slip maschili. Nello stesso periodo Manara e altri disegnatori (Crepax, Toppi, Pazienza, ecc.) realizzarono una campagna pubblicitaria per un noto shampoo: il titolo delle loro strisce era “Stava in agguato dietro di me” e sembrava un richiamo sessuale, vista l’abbondanza di belle ragazze che facevano corona al bel giovane. Ma dopo poche vignette si scopriva che in agguato c’era solo la fastidiosa forfora. Questo pizzico di umorismo finiva per rendere più gradevole, e forse indimenticabile, il messaggio, come quelli di Jacovitti, un autore che non ha mai disdegnato di lavorare per la pubblicità. A lungo è rimasto legato a una marca di gelati disegnando Cocco Bill che abbandonava la sua amata camomilla per un più rinfrescante sorbetto. Ma Jacovitti ha pubblicizzato anche prodotti per adulti, per esempio il vino, italiano naturalmente. Risalendo indietro nel tempo scopriamo un Signor Bonaventura alla prese con un purgante, Capitan Cocoricò, Fortunello e altri eroi del Corrierino che sponsorizzano un lucido per calzature o, in anni più recenti, un Asterix che mette da parte lo sciovinismo francese per occuparsi di una cioccolata italiana. Ma troviamo anche l’Orso Yoghi alle prese con gustosi formaggini o Charlie Brown e compagni che raccontano le loro piccole storie a fumetti incise direttamente sui biscotti. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 22/1/2006 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Anche nel mondo dei fumetti ogni nuovo anno che arriva coincide con infiniti compleanni di autori e di personaggi. Il 2006 non fa certo eccezione, con una lunga messe di appuntamenti che si trasformeranno in altrettante occasioni di ricordi e rievocazioni (talora anche con una punta di nostalgia o di rimpianto) che nell’arco dei prossimi dodici mesi porteranno alla ribalta l’Uomo Mascherato e Dick Tracy, il settimanale Tintin o l’elegante Rip Kirby. Forse il prossimo sarà in qualche modo anche l‘anno del fumetto francofono che nel 1946, dopo la parentesi bellica, ha trovato nuove spinte per ripartire alla conquista del mondo e dei lettori. Il 26 settembre 1946, infatti, è uscito in Belgio il primo numero di Tintin, un settimanale che si ispirava chiaramente all’omonimo e intraprendente reporter giramondo che Hergè aveva inventato nel 1929. Il giornalino ha avuto anche un’edizione francese (tra il 1948 e il ’78) e ha ospitato a lungo i migliori autori del fumetto franco-belga, compreso Edgar Pierre Jacobs, prima collaboratore di Hergè e poi autore della serie di Blake e Mortimer, nata anch’essa nel 1946. L’incontro tra un ufficiale del servizio segreto inglese e un fisico nucleare appassionato di misteri legati all’occultismo ha permesso a Jacobs di realizzare originali e gradevoli avventure che spaziavano dall’archeologia alla fantascienza. Nello stesso anno, ma sulle pagine di un settimanale concorrente, il belga Spirou, nasceva anche Lucky Luke, ideato da Morris e sceneggiato poi per diversi anni da Goscinny. Con il celebre cow boy gli autori hanno rivisitato in modo umoristico miti e personaggi del vecchio West. Ma il 1946 è stato un anno fortunato anche per il fumetto italiano, con la nascita di Gim Toro, Amok o Misterix, da tempo scomparsi dalla scena, ma in quegli anni ai vertici della popolarità con storie ambientate in scenari esotici, dalle Chinatowns americane alla giungla del sud-est asiatico, alla fantascienza. Nel 1946 è nato anche uno dei più originali e riusciti detective di carta, Rip Kirby di Alex Raymond (prima striscia 4 marzo di sessant’anni fa), il grande disegnatore americano che dieci anni dopo (il 6 settembre del 1956) sarebbe morto in un incidente automobilistico. Prima di Rip Kirby c’erano stati un’infinità di poliziotti di carta, ma il più famoso di tutti è stato (e forse lo è ancora) Dick Tracy ideato da Chester Gould e apparso per la prima volta l’11 ottobre 1931 in un momento in cui il banditismo dilagava e la società americana tentava di combatterlo con libri e film famosi, prima di stroncarlo definitivamente (o quasi). Scorrendo gli anniversari del 2006 c’imbattiamo in Phantom che compie settant’anni (è nato il 17 febbraio 1936) ed è uno dei primi esempi di giustizieri mascherati di cui il mondo dei fumetti (e non solo) abbonda. Portato al successo da Nerbini che ebbe la geniale intuizione di chiamarlo l’Uomo Mascherato, Phantom in Italia è ormai un sopravvissuto, mentre continua a venir pubblicato in molte parti del mondo, dall’Australia alla Scandinavia, disegnato spesso da Romano Mangiarano. Il 9 febbraio del 1906 nasceva Guido Martina, insegnante laureato in lettere e filosofia, diventato famoso grazie alle tantissime storie scritte per Topolino (la più celebre resta l’Inferno, ironico viaggio nell’universo dantesco) e per Pecos Bill, uno dei tanti cavalieri del West nati in Italia, ennesima e più rigorosa anticipazione dei western-spaghetti. Quarant’anni fa, il 15 dicembre, moriva Walt Disney, lasciando un vuoto che solitamente si definisce incolmabile, anche se i tantissimi eredi (o imitatori) non lo hanno fatto poi rimpiangere troppo. In tempi più recenti sono nate le strisce satiriche di Nilus dei fratelli Origone che hanno a lungo trasportato nell’antico Egitto fatti e personaggi del nostro tempo, Dylan Dog (ottobre 1986) di Tiziano Sclavi e Nathan Never (1991), presto affiancato da Legs Weaver che però non ha fatto in tempo a festeggiare il decimo compleanno perché le edizioni Bonelli ne hanno sospeso le avventure con il numero 119, appena un mese prima di un traguardo che poche collane riescono oggi a raggiungere. Concludiamo ricordando due famosi giornali umoristici, nati e vissuti in un periodo in cui forse c'era poco da ridere: il romano Marc’Aurelio e il milanese Bertoldo, apparso il primo nel 1931 e il secondo cinque anni dopo. Furono due straordinari laboratori di vignettisti e sceneggiatori che sarebbero esplosi nel dopoguerra. Due nomi su tutti: Federico Fellini, autore di stralunate vignette e originali raccontini sul Marc’Aurelio, e Giovanni Guareschi, a lungo colonna del Bertoldo e poi padre, se non altro, della celebre coppia formata da Peppone e Don Camillo. [Carlo Scaringi] (Con l'occasione dell'articolo di Scaringi e dell'atmosfera natalizia, vi offriamo, completo, il numero uno della rivista Tintin. Buon divertimento! NdWebmaster)Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 26/12/2005 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Verrebbe voglia di definirlo un artista “incompleto”, ma solo perché Vittorio Giardino in tanti anni di brillante carriera non si è mai legato a un personaggio fisso, come per esempio Pratt con Corto Maltese o Crepax con Valentina, due autori che comunque hanno effettuato anche molteplici scorribande in altri settori, ideando eroi di carta altrettanto riusciti. Del resto una famosa sinfonia, l’immortale “Incompiuta”, viene da tutti ascoltata con grande piacere e ammirazione. Lo stesso accade per i piccoli capolavori di Giardino e per i tanti personaggi che ha inventato, e talora abbandonato per strada: da Sam Pezzo, duro detective in una Bologna americanizzata, a Max Friedman, spia in un’Europa ormai lontana nel tempo, dalla guerra di Spagna allo stalinismo di Praga raccontato con gli occhi del piccolo Jonas Fink, per giungere a Little Ego che è un omaggio moderno e femminile al Little Nemo di Winsor McCay. A questi adesso se ne è aggiunto un altro, si chiama Eva Miranda ed è un’esuberante bellezza sudamericana. Nata una dozzina di anni fa sulle pagine di Comix, figlia del disegnatore e di Giovanni Barbieri, approda ora (dopo il successo riportato in Francia) in un volume della Lizard (Eva Miranda, appunto) che in una cinquantina di tavole pirotecniche e colorate ci trascina nel Brasile delle telenovelas, attraverso una vicenda scandita anche da interruzioni di falsa pubblicità, in cui si mescolano amori, passioni, ricchezza, povertà, vendette, delusioni, speranze, insomma tutti gli ingredienti della più classica e banale soap-opera. C’è una multinazionale che fa gola a tanti, come il succo di ananas che produce, c’è l’erede di una ricchissima famiglia su cui la nostra Eva ha posato gli occhi e c’è anche la povera fanciulla (una pasticcera, in questo caso) che il giovane miliardario ama più di Eva. Non manca chi trama nel buio, per dare un pizzico di tensione a una storia tutta rosa, né mancano ville con piscina, abiti firmati, feste esclusive e speculazioni finanziarie. Insomma c’è tutto quello che di solito scorre sul piccolo schermo quando vanno in onda Beautiful, Sentieri o Dallas. Giardino e Barbieri lo raccontano con ironia e buon gusto per il nostro e il loro divertimento. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Venerdì, 23/12/2005 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi L’anno prossimo, il 25 ottobre per l’esattezza, cadrà il centenario della nascita di Primo Carnera, mitico campione di pugilato, il solo italiano diventato re dei massimi nel lontano 1933. L’anniversario sarà ricordato solennemente sia a Sequals, il paesotto friulano dove nacque e morì, il 29 giugno del 1967, che nel resto della Penisola. Carnera è giustamente amato dagli sportivi, ma è anche una figura familiare agli appassionati di fumetti, perché nel 1947 lo sceneggiatore ed editore Tristano Torelli gli dedicò alcune collane di albi a fumetti, disegnati inizialmente da Franco Paludetti e Dino Zuffi (e poi da Pini Segna, Giovanni Sinchetto e altri), che lo vedevano impegnato in avventure che spesso varcavano i confini del ring per proporre i suoi devastanti interventi a suon di pugni contro criminali e malviventi che operavano sia nel mondo della boxe che nella società, americana per lo più. La presenza di Carnera nel mondo dei fumetti è stata però breve, a differenza di quanto è accaduto per altri pugili, questi chiaramente di fantasia, vissuti invece diversi anni. Il contatto fra il mondo delle strisce e quello dello sport è stato molto più durevole e interessante di quanto possa sembrare. Al di là di sporadici episodi (anche disneiani) spesso legati alle Olimpiadi o ai mondiali di calcio, si registra un lungo rapporto tra il fumetto e il pugilato, con personaggi come Joe Palocka, pugile americano ideato da Ham Fisher nel 1928 e protagonista di una serie infinita di strisce ma anche di film e telefilm, oppure come Big Ben Bolt, realizzato dal 1950 da John Cullen Murphy sempre al centro di vicende realistiche ben rese in un incisivo bianconero. In Italia prima di Carnera ci sono stati Dick Fulmine, ideato dal giornalista sportivo Vincenzo Baggioli e Carlo Cossio nel 1938, e Furio Almirante, disegnato ancora da Cossio su testi di papà Bonelli dal 1940. Non sono pugili di professione (anche se derivano dalla figura di Carnera) e si trovano quasi sempre immischiati in vicende gialle e nere che risolvono con qualche cazzotto ben assestato. Carnera è tornato a rivivere nei fumetti un paio di anni fa quando Davide Toffolo, originale disegnatore di Pordenone autore di diverse biografie di personaggi del nostro tempo, ha raccontato, in un volumetto edito dalla Biblioteca dell’Immagine di Pordenone, l’avventura americana del famoso campione. Carnera da giovane era emigrato in Francia dove fece l’operaio e poi il fenomeno da circo. Approdò quindi negli States dove divenne il pugile soprannominato “la montagna che cammina” oppure “il gigante buono”. Sconfisse un avversario dopo l’altro e anche le solite losche manovre di quei personaggi che bazzicano ai margini del ring e diventò campione del mondo nel 1933. Lo fu solo per un anno perché nel giugno dell’anno dopo venne sconfitto dall’”orso della California” Max Baer. Tornando ai fumetti, possiamo aggiungere che oltre al pugilato, il mondo delle strisce ha sempre avuto un’attenzione particolare per quello delle corse automobilistiche, con personaggi come Michel Vaillant disegnato dal 1957 dal belga Jean Graton, e con le cronache della Formula 1 e dei suoi campioni, rese efficacemente e realisticamente avvincenti da Paolo Ongaro, cui si devono anche precise storie delle Olimpiadi e della nazionale di calcio. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 11/12/2005 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Gim Toro, Kinowa, Tony Falco, il Piccolo Ranger, e potremmo continuare a lungo: ecco alcuni eroi della grande stagione del fumetto italiano dal dopoguerra ai primi anni Cinquanta. Profondamente diversi fra loro e collocati entro scenari geografici molto distanti, hanno però qualcosa in comune: sono scaturiti tutti dalla vulcanica fantasia di Andrea Lavezzolo, nato per caso a Parigi il 12 dicembre del 1905, e poi vissuto a lungo tra la Riviera Ligure e Milano, e morto il 16 novembre 1981. Al pari di Gianluigi Bonelli, Lavezzolo ha scritto racconti e romanzi, ha fatto diversi mestieri (il più tranquillo è stato un impiego alle assicurazioni), ma soprattutto ha inventato, narrato, sceneggiato infinite storie che poi validi disegnatori (Edgardo Dell’Acqua, Carlo Cossio, Andrea Bresciani, Pietro Gamba, Giovanni Sinchetto, ecc.) hanno trasformato in albi affascinanti , ancor oggi ricercati e rimpianti dai giovani di allora. Tony Lawson, come si firmava per rendere più credibili queste avventure esotiche, ha fatto in pratica il giro del mondo senza muoversi dalla sua scrivania, come Salgari, papà Bonelli e altri grandi narratori di razza. Se Gim Toro è stato forse il personaggio più riuscito e più popolare anche per il taglio incalzante che lo scrittore imprimeva alle imprese di quel simpatico gruppo di amici scatenati contro la Hong, la Triade e le altre bande dei cinesi che infestavano San Francisco, Tony Falco è stato (come confessò una volta lo stesso autore) il personaggio che aveva amato di più, e che più degli altri lo intrigava, per l’aria di mistero che riusciva a far respirare nelle casbah nord-africane dove Tony Falco poteva imbattersi negli “uomini blu” ma anche in qualche principessa egizia con al guinzaglio una pantera nera, o in antichi sacerdoti alle prese con i loro riti millenari. Un po’ di magia (pellerossa, però) c’è anche nel ciclo di Kinowa, che sembra uscire da qualche romanzo d’appendice dell’Ottocento. Gli ingredienti essenziali infatti non mancano: Sam Boyle, il protagonista è un rude uomo del West scotennato dai pellerossa che gli hanno anche ucciso la moglie e rapito il figlioletto. Scampato all’atroce mutilazione, il cow boy decide di vendicarsi, impegnandosi in una feroce e personale guerra agli indiani. Nascosto dietro una terrificante maschera demoniaca, Sam Boyle si getta contro i pellerossa al grido di “Kinowa, Kinowa” massacrandoli. La storia era abbastanza violenta per quell’epoca e oltre alle solite critiche suscitò qualche perplessità nel gruppo EsseGesse che la realizzava. Sinchetto e gli altri due disegnatori gettarono la spugna e vennero sostituiti da Pietro Gamba e altri. Dopo la violenza dei primi episodi, la serie assunse un taglio diverso, anche perché Sam Boyle aveva scoperto che in una tribù che lui combatteva c’era un “indiano bianco” verso il quale provava una strana sensazione: era infatti suo figlio che scampato al massacro era stato allevato dai pellerossa. Oltre che straordinario narratore, Lavezzolo è stato anche un bravo giornalista, lavorando con diversi editori e curando la pubblicazione di numerose collane (come quella dell’Albogiornale e altre dell’editore Casarotti) e poi la famosa pagina del fumetti del Giorno, che fece conoscere al grande pubblico personaggi come Superman, Tarzan, Jane, l’Agente X 9 e altri, e quindi il supplemento settimanale, il mitico Giorno dei Ragazzi, che diede una scossa al tranquillo mondo dei giornaletti con storie e personaggi del tutto nuovi, come Dan Dare, Jeff Arnold e soprattutto quel Cocco Bill con cui Jacovitti uscì dai confini dei giornalini semiparrocchiali come il Vittorioso, dimostrando di essere invece un autore straordinariamente originale e completo. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 5/12/2005 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi Nella notte fra il 9 e il 10 dicembre di dieci anni fa moriva a Bologna, all’età di 54 anni, Franco Fortunato Gilberto Augusto Bonvicini, poi universalmente conosciuto e amato come “il Bonvi”, uno dei massimi autori ironici e umoristici del fumetto italiano. E’ noto per essere stato il “papà” delle Sturmtruppen, quell’accozzaglia di soldati e ufficiali in divisa (nazista) che ha disegnato per circa seimila strisce, pubblicate e ripubblicate ancor oggi non solo in Italia ma in tutto il mondo, Germania compresa dove all’inizio la sua satira antinazista aveva suscitato proteste e censure. Aggiungere qualcosa di nuovo al mondo di Bonvi e delle Sturmtruppen (come si intitola un grosso volume appena pubblicato da Rizzoli che raccoglie quasi un terzo della sua produzione) è difficile e forse inutile, perché Bonvi e i suoi soldati hanno ormai conquistato l’universo dell’immaginario collettivo, come Mandrake o Cocco Bill, Corto Maltese o l’Uomo Mascherato, divenendo quasi il simbolo della rivolta dell’uomo comune contro l’arroganza, i soprusi, le violenze che gli individui in divisa (non necessariamente nazista: possono indossare anche il doppiopetto del capufficio o il camice del medico) commettono contro i “poveri diavoli”, umili e sottomessi come i soldatini di Bonvi alle prese non solo con una guerra assurda come tutte le guerre, ma anche con la stupidità degli alti gradi. Più interessante è forse scavare un po’ nelle radici di Bonvi, nato come disegnatore nel 1969 (sulla scia del Sessantotto, è fin troppo facile aggiungere) sulle pagine di “Off Side”, originale e forse periodico che usciva a Roma, teoricamente ogni quindici giorni, con fumetti di autori famosi (Crepax per esempio, ma anche Frank O’Neill e Mort Walker) e le storie un po’ strampalate di un giovane e non meglio identificato Bonvi che nei primi numeri raccontava “La vera storia di Buddy the Kid, la pistola più sbronza del West”, un presunto cow boy con la faccia grottesca e spigolosa dello stesso Bonvi. Questa storia western e le successive erano state disegnate dal Bonvi sul finire del 1968 e sarebbero poi entrare nel ciclo dedicato agli incubi di provincia. Sulle pagine di Off Side Bonvi proponeva anche alcune strisce di amaro umorismo che avevano come protagonisti militari in guerra: erano le avanguardie delle Sturmtruppen, che da lì sarebbero ben presto partite alle conquista del mondo. Risale a quel primo periodo quella che è forse la striscia più drammaticamente amara e realistica disegnata dal Bonvi prima maniera. E’ piena di reminiscenze cinematografiche, col suo evidente richiamo a un famoso film pacifista, “All’Ovest niente di nuovo” e con le quattro vignette proposte in incalzante sequenza. All’inizio si vede un elmetto, ovviamente nazista, che ricorda il passato: “Prima erano i miei genitoren: avanti tutto viene l’amor di patria… Va, fatti onore… Torna con lo scuden o sopra lo scuden: l’eroico figlio onora tutta la famiglien e sarà ricordato per sempre.” Il ricordo prosegue nella seconda vignetta: “Poi a scuola il maestro: chi muore per la patria, vissuto è assai, la fiamma che non si spegne, il nome dell’eroe scolpito nei secolen…” Dalla scuola alla divisa, il passo è breve con l’esercito che “non scorda MAI il nome dei suoi eroici caduten”. Nell’ultima vignetta la scena si allarga, si scopre che l’elmetto è collocato sopra una croce con la targhetta “Soldato ignoto”, e il commento finale (“Bella soddisfazionen!”) lascia l’amaro in bocca. Per la cronaca quella striscia è apparsa sul numero 8 di Off Side del 25 settembre 1969, uno degli ultimi della stuzzicante rivista, vissuta solo nel grande formato per soli dodici numeri. Le pubblicazioni sarebbero poi proseguite con un formato ridotto per un’altra mezza dozzina di numeri. Il tempo necessario per permettere a Bonvi di spiccare il volo, approdare a Paese Sera e poi entrare decisamente nel mondo della grande editoria con altre storie (alcune ideate insieme a Francesco Guccini) e della televisione con Nick Carter, colonna di quel “Supergulp” sempre ricordato e soprattutto rimpianto. [Carlo Scaringi]
Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Domenica, 27/11/2005 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi A mezza strada fra Halloween e Natale, in un giusto equilibrio tra sacro e profano, sta per giungere nelle edicole, alla fine di novembre, il terzo numero della collana targata Buena Vista (un marchio “minore” dell’impero Disney) che sta portando qualcosa di nuovo nel mondo delle nuvolette, con ampie storie conclusive, che seguendo la moda televisiva vengono definite “graphic novel”. Una caratteristica della serie, con periodicità trimestrale o quasi, è di essere quasi un laboratorio con fumetti originali e di qualità, seppure talvolta ispirati a famosi film o telefilm. Il ciclo è stato aperto con “L’ultima battaglia”, una singolare rivisitazione del mondo degli antichi Romani (e forse di Asterix), sceneggiata da Tito Faraci e disegnata da Daniel Brereton con abbondanza di toni rossi, come il sangue che scorre in queste battaglie. E’ seguito “Alias” di Pierluigi Cothrane e Alberto Ponticelli, ispirato a un ciclo televisivo che ha per protagonista Sydney Bristow, studentessa universitaria assoldata dalla CIA per i suoi loschi affari. Adesso che le feste natalizie si avvicinano, ecco un ricco volume che trasferisce a fumetti, a opera della giapponese Jun Asuka, uno dei film più famosi di Tim Burton, geniale regista autore anche de “La sposa cadavere”, in circolazione in queste settimane in Italia. Si tratta di “The Nightmare before Christmas”, ovvero della singolare storia di Jack Skeleton, il re delle zucche, in pratica la “star” di Halloween, che un giorno scopre l’esistenza della festa di Natale. Ne rimane folgorato, al di là dell’aspetto religioso, e decide di abbandonare le zucche per sostituirsi a Babbo Natale, il che darà il via a infinite situazioni che si srotolano tra incubi orrorifici e fiabeschi momenti poetici. Non manca ovviamente anche una storia d’amore, quella tra Jack e Sally, ma questo, in fondo, è solo un aspetto quasi marginale, perché sia il film che il fumetto navigano sempre in un mondo fantastico, tra incubi e sogni che sia il regista che la disegnatrice hanno reso con realismo e poesia. Per i prossimi mesi il “laboratorio” della Buena Vista proseguirà con una storia di Howard Chaykin, “Century” e un’altra scritta da Tito Faraci e disegnata da Giorgio Cavazzano dal titolo “Jungle Town”, ovvero la giungla della città, un tema fin troppo realistico affrontato invece dai due autori con grottesca ironia, quasi col sorriso (o il ghigno?) sulle labbra. [Carlo Scaringi]Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Lunedì, 14/11/2005 © copyright afNews/Goria/Autore - https://www.afnews.info ISSN 1971-1824 - cod-Scaringi |