Tre scugnizzi nell'Italia in guerra
Il Piccolo Sceriffo, by Camillo ZuffiLa grande stagione di Cino e Franco e delle altre coppie di ardimentosi ragazzi italiani che negli anni Trenta ne rinnovavano le imprese in storie forse ben congegnate, ma intrise di patriottismo e retorica in camicia nera, o quasi, era ormai lontana. Ma alla fine degli anni Quaranta l’apparizione degli albi a striscia - una soluzione escogitata dagli editori per ovviare alla carenza di carta - rilanciò quel filone. Gli albetti erano piccoli e maneggevoli, anche per essere nascosti nelle tasche ed evitare i rimproveri di genitori e insegnanti, a quell’epoca nemici giurati dei fumetti. Questi piccoli albi avevano spesso piccoli protagonisti, che stimolavano fra i giovani lettori un senso di emulazione. Non mancavano, ovviamente, anche eroi adulti, come Tex nato negli albi a striscia e poi cresciuto in decine di altri formati e collane. Ma i ragazzi erano la sciuscia1.jpgmaggioranza, quasi tutti protagonisti di entusiasmanti avventure che si svolgevano per lo più nel lontano e mitico West americano. Uno dei primi è stato il Piccolo Sceriffo, ideato nel 1948 da Tristano Torrelli, che lo sceneggiava e lo pubblicava. Seguirono poi il ciclo di Sciuscià e altri piccoli eroi della “frontiera” come Capitan Miki, il Piccolo Ranger, Un Ragazzo nel Far West (che vide l’esordio di Sergio Bonelli, allora Guido Nolitta, come sceneggiatore) e altri. In mezzo a questi si distaccava nettamente Sciuscià per l’originalità della storia e la sua ambientazione. Apparve nelle edicole il 22 gennaio 1949 e vi restò fino a metà degli anni Cinquanta, malgrado il progressivo sfilacciamento delle storie. Ne era autore ancora Tristano Torrelli, spesso coadiuvato da Gianna Anguissola e le strisce erano realizzate da vari disegnatori, soprattutto Ferdinando Tacconi, Franco Paludetti e Lina Buffolente. sciuscia3.jpgNella Napoli liberata dagli americani, gli sciuscià erano gli scugnizzi, ovvero quei ragazzi rimasti spesso senza casa e senza famiglia, che si arrangiavano con umili lavoretti, magari con qualche furtarello oppure lustrando le scarpe ai militari americani. Sciuscià infatti è la deformazione napoletana delle parole inglesi shoe e shine, cioè lustra scarpe. Protagonisti di questa storia - vagamente ispirata al celebre film di De Sica - sono tre ragazzi di una dozzina di anni o poco più: Nico, che diverrà subito il piccolo capo del gruppo, Fiammetta, che se ne innamora, e il Pantera, che svolge un ruolo di spalla, con momenti umoristici alternati ad altri spericolati. Il capitano Wickers, un ufficiale dei servizi segreti americani, un giorno li sceglie per affidargli l’incarico di portare un messaggio ai partigiani in guerra nella Roma occupata dai tedeschi. Il viaggio che i tre compiono sciusciaII.jpgper andare da Napoli a Roma è irto di pericoli, devono attraversare il fronte ed evitare di cadere in mano nemica. Ovviamente ci riusciranno, come ci erano riusciti gli sciuscià di De Sica, che entrarono a Roma percorrendo in groppa a un cavallo via Veneto, non ancora palcoscenico della dolce vita. Dopo quella missione, Nico, Fiammetta e Pantera risaliranno la Penisola con le truppe alleate e saranno protagonisti di innumerevoli episodi di coraggio. Ormai catturati dallo spirito dell’avventura, i tre efettueranno una sorta di giro del mondo, con episodi collocati fra l’altro anche in Asia e in Africa. Ma l’originalità iniziale si è ormai persa, e queste storie non hanno lasciato segno, a differenza delle prime che invece hanno offerto un ritratto abbastanza realistico dell’Italia sconvolta dalla seconda guerra mondiale. E questo, per un semplice fumetto d’avventura per ragazzi, non è poco. [Carlo Scaringi]

Articolo di afnews (se non altrimenti indicato) - Sabato, 24/1/2009
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