La Città fra architettura e fumetto

Conferenza in Vercelli – 16 febbraio 2002
all'interno della Mostra Architettura e Fumetto a cura dell'Atelier Nomade e patrocinata dal Centro Nazionale del Fumetto Anonima Fumetti.
by Gianfranco Goria – www.fumetti.org/goria
Scaletta per un minimo di mezz’ora di intervento illustrato con immagini proiettate da computer
(questo quindi NON è il testo della conferenza, ma solo gli appunti di base per il testo definitivo, corredato dalle immagini commentate.
Il conferenziere è disponibile a interventi su richiesta anche per conferenze fumettistiche di taglio diverso: gianfranco.goria@tin.it)
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 “In un mezzo di comunicazione come il fumetto, in cui i personaggi occupano il primo piano, lo sfondo (o lo scenario) sembra condannato a un ruolo secondario, trovandosi in secondo piano.” Così sosteneva il collega Pascal Lefèvre (studioso belga di letteratura disegnata), pronto però a spiegare come questa affermazione sia vera solo in apparenza e, anzi, sia ormai da considerarsi falsa nella maggior parte dei casi.

L’Architettura entra nella letteratura disegnata (o fumetto, come diremo d’ora in poi per semplicità) seguendone l’evoluzione nel tempo. Nel XIX secolo (va ricordato che il fumetto moderno come linguaggio nasce nella prima metà del 1800 con le storie di Rodolphe Topffer e non verso la fine, come sostenevano fino ad alcuni anni fa studiosi poco documentati, mentre lo sviluppo industriale e mass-mediatico del fumetto ha il suo inizio nella seconda metà dell’ottocento, negli USA, ed è convenzionalmente legato al personaggio Yellow Kid) il fumetto era dominato dai Personaggi, mentre nel campo dell’illustrazione la situazione era già diversa. All’inizio del 20° secolo lo scenario comincia a prendere un posto di rilievo. Notevole quello della serie Little Nemo di Winsor McCay, sfondo vivo e in perpetuo mutamento psicologico, o quello instabile e dotato di propria autonomia nella serie Krazy Kat di George Herriman. Man mano entreranno in gioco le forme dell’Art Nouveau e dell’Art Déco, mentre le serie d’avventura scopriranno la necessità narrativa dell’ambientazione, che si tratti di luoghi esotici o di mondi fantascientifici. L’avvento dei supereroi negli anni quaranta, costringe ad ambientare molti combattimenti epici all’interno di grandi metropoli, tra immani grattacieli. Eccezione significativa: The Spirit di Will Eisner (citare l’episodio della maschera!) che utilizza un’ambientazione realistica totalmente immersa nella città.

 Dopo la II guerra mondiale improvvisamente lo scenario sembra sparire o quantomeno semplificarsi molto: è il caso dei Peanuts di Charles M. Schulz e di molti altri, mentre riconquista una sua funzione nei comic book dell’orrore.  Nel frattempo in Europa, l’evoluzione del linguaggio fumettistico traghetta serie di prima della guerra, con sfondi a volte anche ricchi, ma poco documentati, verso una ricerca documentale (e un rispetto del lettore) sempre più forte. Emblematico il caso di Hergé con la serie Tintin. Negli anni 50 e 60 questa diventa un’abitudine consolidata nel fumetto francofono in particolare (si vedano Jacobs, Cuvelier, Martin…).

 La contestazione degli anni 60 porta al conseguente rinnovamento anche nel fumetto e nel suo uso dello sfondo. Ecco che, oltre a un uso immaginativo (per far viaggiare la fantasia in luoghi esotici o sconosciuti), arriva la collocazione ben localizzata per entrare nei problemi reali (Comès e le Ardenne, Servais e La Gaume). Questo percorso troverà il culmine nella creazione ad hoc di architetture e mondi interi a fini narrativi nell’opera di Schuiten e Peeters, Le Città Oscure, inventate di sana pianta sulla base del Liberty e di altre forme mediate da città come Bruxelles. Alcuni, come Bourgeon, arriveranno anche a realizzare modellini tridimensionali per i propri fumetti.

 Oggi le Graphic Novel statunitensi e i Manga giapponesi fanno un uso quotidiano e costante di tutte le possibilità espressive che l’architettura è in grado di offrire al narratore. 

Va citata la grande prima esposizione dedicata al rapporto tra Architettura e Fumetto, realizzata nel 1985 dall’Institut Francais d’Architecture (Attention Travaux) e i casi degli architetti Koolhaas o Neutelings che realizzavano i loro piani sotto forma di fumetto! E’ evidente che negli anni ottanta il percorso di reciproca conoscenza, e di scambi, era ormai compiuto. Diversi autori di fumetti hanno anche rapporti specifici con l’architettura: Loustal è architetto, Hermann l’ha studiata, Swarte ha studiano design industriale, padre e fratello di Schuiten sono architetti, alcuni autori invece amano vestire i panni dell’architetto nel realizzare i loro fumetti (Andréas o Jacques Martin, ad esempio) e altri che non hanno competenze specifiche si appoggiano a specialisti (fu il caso di Franquin, Jean Graton, Hugo Pratt, Vandersteen…).

 Tuttavia l’approccio all’architettura e, nello specifico alla collocazione cittadina, variano molto da autore ad autore, principalmente in base alle modalità narrative scelte.

 Ci sono poi anche elementi legati alla grammatica e alla natura del mezzo fumetto.

Un fumetto di solito si legge velocemente, giacché questa è una delle sue caratteristiche potenziali. Ogni inserimento di elementi precisi nello sfondo richiede all’autore (sia sceneggiatore sia disegnatore) lavoro e sforzo aggiuntivo: il superfluo viene sempre eliminato in un fumetto. Bisogna quindi che ci sia un ben valido motivo per “arricchirlo” di elementi decorativi… 

Nel narrare col linguaggio del fumetto, tra il resto, si deve anche saper selezionare gli elementi che renderanno vivo nella mente del lettore il racconto. Operazione di sintesi, di elissi continua, tutt’altro che semplice. Tempo e spazio devono essere descritti, ad esempio, e lo si può fare in mille modi diversi. Ma solo il più efficace è quello utile al linguaggio del fumetto.

 Ecco dunque che l’ingresso di elementi architettonici in un racconto a fumetti non è mai casuale, non è mai un riempitivo (non ci si può permettere questo lusso nel nostro mestiere).

 Una serie come Asterix è naturalmente immersa spesso in ambienti cittadini storici ricchi di forti elementi architettonici. La motivazione di base è la collocazione temporale dell’azione e la ricerca della verosimiglianza di fondo, nonostante l’evidente caratterizzazione umoristica della serie potrebbe suggerire una semplificazione anche dello scenario. Invece parte dello humour sta proprio nel gioco continuo che si instaura tra un’ambientazione fortemente realistica (rafforzata continuamente proprio dagli elementi architettonici) e gli elementi di caricatura presenti nei personaggi e nelle situazioni (nonché nei paradossi temporali). 

Certo un uso così abbondante dello scenario sarebbe impensabile (o avrebbe un costo mostruoso) nel cinema. Ma il fumetto non ha questi problemi: matita e carta sono sufficienti per creare ambienti da favola!

Ancor una cosa curiosa vorrei far notare, visto che mi sono avvicinato all’architettura storica. Il fumetto vive anche dei modelli interpretativi del lettore. Jacques Martin, creatore della serie realistica Alix, ambientata ai tempi di Giulio Cesare proprio come Asterix, per diversi anni disegnò templi greci, romani e egizi nelle sue storie usando solo il colore della pietra. Questo perché i lettori erano abituati a riconoscere come “antico” quel colore, e nulla sapevano della realtà di quei tempi… Orami da molti anni, Martin ha spezzato questa convenzione tra autore e lettore e ha imposto la sua visione, quella della realtà storica: ora nelle sue serie i templi appaiono con tutti i loro variegati colori e i lettori si sono rapidamente abituati a “pensare” la città antica coi suoi templi e le sue architetture con tutti i colori che le erano stati “rubati” da anni di ignoranza… 

Allora ecco che l’architettura, in particolare quella cittadina, svolge, seguendo sia pure solo in parte Lefévre nella sua analisi, specifiche funzioni nella narrazione a fumetti:

1-     aiuta a situare l’azione e gli eroi nel tempo e nello spazio

2-     esprime specifiche funzioni (la piramide di Moebius viene riconosciuta come luogo di culto, le imponenti costruzioni di Mezieres come palazzi, e così via)

3-     aiuta a caratterizzare i personaggi: chi vive in un determinato palazzo ne assume le caratteristiche estetiche o funzionali (sarà dunque prete o banchiere o sceriffo…).

4-     Costruisce un’ambiente complessivo. E’ tipico il caso delle città di Schuiten e Peeters dove l’architettura stessa crea un’atmosfera che coinvolge tutti gli abitanti. O le costruzioni fantascientifiche a cupola immediatamente suggeriscono un’atmosfera esterna invivibile…

5-     Indicano una idea sottointesa. Tipiche sono le cittadine rassicuranti dei fumetti per ragazzi degli anni cinquanta (prendiamo Spirou come esempio, o pure le ambientazioni disneyane italiane, o Cucciolo e Beppe). Così come, a livello di singolo episodio all’interno di un racconto, case diroccate o dall’architettura “da paura” portano immediatamente il lettore a un repentino cambio d’atmosfera…

6-     Può essere un uso puramente estetico. Bilal spesso costruisce ambienti cittadini in cui prima ancora di svolgere una funzione narrativa, l’architettura colpisce l’occhio e il senso estetico del lettore (beh, anzitutto quello dell’autore, ovviamente)

7-     Determina l’inquadratura, la costruzione della tavola stessa. Fin dai lavori di Will Eisner prima della guerra, diversi autori hanno costruito la pagina a fumetti (la tavola) come un tutto unico in cui il palazzo, ad esempio, è l’inquadratura delle vignette, creando un legame fortissimo tra architettura e realtà fumettistica, tra ambiente e personaggi.

 

© Gianfranco Goriawww.fumetti.org/goria - gianfranco.goria@tin.it