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FUMETTI - Il lupo di carta
Gianfranco Goria
E’ interessante notare come cambino gli atteggiamenti collettivi con il mutare lento della società. L’inquietante lupo di Cappuccetto Rosso (favola più volte rivisitata in chiave dissacrante, anche da grandi autori) fa fatica ad essere integralmente riproposto oggi, ai nostri bambini che sono ormai abituati a sentire parlare di questo splendido abitante dei boschi come di un essere da proteggere, piuttosto che da squartare per estrarne nonne indifese...
Eppure, fino a non molti anni fa, il lupo faceva a gara con «l’uomo nero», e altre amenità del genere, nel tentativo degli adulti di incutere un certo «salutare terrore» nelle menti ignare dei cuccioli d’uomo. Prima nelle «Fiabe» di Perrault (Le petit Chaperon Rouge, dove Cappuccetto Rosso finisce senza scampo nella pancia del lupo) e poi nelle «Fiabe del focolare» dei Grimm (Rotkappchen, dove invece viene estratta dall’intervento del cacciatore), il lupo appare nel suo ruolo di mostro del bosco, ad uso di una società perbenista che utilizzava paura e violenza con intenti apparentemente (e forse falsamente) pedagogici, che ben si prestano ad analisi psicanalitiche.
Cosa ha fatto cambiare così radicalmente il nostro modo di pensare? Sociologi, psicologi e altri illustri studiosi del pensiero umano potrebbero citare svariate cause, dal passaggio campagna/città, alla «coscienza ecologica» (tutt’altro che scontata, purtroppo, e comunque frutto di anni e anni di faticose lotte), o altro ancora. A chi per professione fa il racconta-storie usando semplicemente carta e inchiostro, piacerebbe pensare di aver dato, negli anni, un ulteriore, vitale se non essenziale, contributo al capovolgimento delle posizioni per favorire una mentalità più disponibile a verificare anche le ragioni altrui. In effetti, considerando che dobbiamo arrivare quasi agli anni ottanta prima che il lupo, a livello di pensiero popolare, perda la sua connotazione artificiosamente malvagia (è noto che «buono» e «cattivo» sono aggettivi validi solo per gli esseri umani), è molto probabile che alcuni personaggi dei fumetti abbiano avuto una certa influenza. Anzitutto dobbiamo confermare che il fumetto in sé, come linguaggio altamente comunicativo, ha una grandissima e accertata capacità di penetrazione psicologica e stimolazione intellettuale. Ecco allora che il luposki della steppaff, il Lupo Pugaciòff, creato dal fumettista Giorgio Rebuffi nel 1959, ha sicuramente cominciato a tracciare nuovi solchi psicologici nei ragazzini del primo dopoguerra. Un lupo aggressivo, tenace, irascibile e coraggioso, che diventa rapidamente un eroe di carta, atipico rispetto al periodo, che ancora vedeva trionfare eroi «positivi» e tranquillizzanti. Pugaciòff invade lentamente il terreno di Cucciolo e Beppe (l’alternativa italiana a Topolino e Pippo, purtroppo stroncata, anni dopo, da una concorrenza troppo potente), eroi nostrani di un fumetto umoristico ancora un poco casereccio, fino a scatenare una simpatia in parte dovuta proprio alla carica di istintiva aggressività del personaggio e alla sua carica positivamente contestatrice e avversa a ogni perbenismo qualunquista.
L’aggressività in fondo è anche alla base della calorosa partecipazione del pubblico nei confronti di un altro «lupoide», Ralph Wolf, eroe, affamato quanto sfortunato, dei cartoni animati della Warner bros, che con ingegnosissimi seppur inefficaci sistemi cerca di appropriarsi delle pecore custodite da Sam Sheepdog, il cagnone che, con lui timbra la cartolina sera e mattina. Nel fumetto (e nell’animazione) disneyana il luogo comune del «lupo cattivo» è durato a lungo, come una quantità di altri luoghi comuni maldestramente legati al mondo degli animali (e un certo atteggiamento antropocentrico e sdolcinatamente «buonista a misura d’uomo», denunciato da scienziati come Giorgio Celli in quanto altamente dannoso per gli effetti «rincitrullenti» sui bambini e sul loro rapporto con gli animali...). Solo nel settore del fumetto (poco curato, invero, in quanto assai meno redditizio del cinema) il lupo Ezechiele (the Big Bad Wolf, del 1933) vede ridimensionato lo stereotipo del lupo cattivo mangiaporcelli dall’arrivo del figlio Lupetto (Li’l Bad Wolf), vero tormento del padre, in quanto dolce, studioso, intelligente e, addirittura, amico dei tre porcellini! Eppure la bontà associata per contrasto al lupo arriva, anni dopo, anche nell’animazione, per quanto solo televisiva, con Lupo De’ Lupis (Loopy De Loop, 1959) «il lupo buonino» della Hanna e Barbera, star degli anni sessanta che cerca inutilmente di convincere gli umani che i lupi non sono cattivi, proprio mentre in Italia il Lupo Pugaciòff si fa forte, al contrario, della propria natura tutt’altro che arrendevole.
Lupo De’ Lupis sembra il contraltare di Ezechiele: anch’egli ha un piccolo (nipote, in questo caso) con sé (Bon Bon) che, pur assomigliandogli molto esteriormente, ha invece il carattere «cattivo» tradizionalmente attribuito in quegli anni al nostro animale del bosco.

Pugaciòff
Pugaciòff


Che per la Disney il lupo sia un animale cattivo lo dimostra, nel 1946, anche l’ottima versione animata di Pierino e il Lupo (ispirato alle musiche di Sergej Prokofiev), in cui si presenta con una tale ferocia da far paura ai bambini.
Anche molti altri autori italiani hanno rappresentato dei lupi nella loro lunga carriera. Mi limito a citare il Lupo antropomorfo di Gino Gavioli e il Lupettino di Castellari, ma non c’è dubbio che pugaciòff sia rimasto indelebilmente nella memoria dei lettori per la sua particolarissima e forte personalità, tant’è vero che è oggi nuovamente oggetto di revival in diversi bei libri recentemente usciti nelle edizioni Vittorio Pavesio Productions.
Ben diverso, fu infatti l’approccio italiano di Rebuffi col suo Pugaciòff, non sdolcinato come De’ Lupis ma neppure crudele come Ezechiele, e che può degnamente stringere la mano, in quanto a forza di carattere, all’altro irresistibile lupo del cinema d’animazione di Tex Avery, Wolfy (del 1942), noto per la sua insaziabile fame, anche, e forse soprattutto, sessuale, espressa in cartoon velocissimi e straripanti di gag.
Perfino la saltuaria apparizione di lupi mannari di vario genere in Dylan Dog (il personaggio creato da Tiziano Sclavi per la Sergio Bonelli Editore nel 1986 e divenuto rapidamente un autentico fenomeno di costume in Italia), per quanto legato al genere del fumetto realistico di tipo horror, tradisce, tutto sommato, una certa simpatia di fondo per il «carattere» che la «forma-lupo» conferisce alla «vittima» di questa orrorifica mutazione.
Tutto sommato è perfettamente comprensibile che da un lupo ci si aspetti un certa grinta. Non è certo un animaletto remissivo nella nostra immaginazione che, anzi, lo vede dominatore del proprio territorio, pur con una vena malinconica nel suo notturno ululare... Accattivante aggressività e malinconia, ecco due caratteristiche che dalla carta disegnata hanno continuato ad emergere, entrando in sintonia col pensiero in mutamento dei giovani lettori (ma anche di quelli adulti che avevano imparato a leggere quella «nuova» forma di letteratura che è il fumetto). Dell’aspetto malinconico si appropria, in qualche modo, uno dei più recenti lupi del mondo dei comics, Lupo Alberto (creato da Silver, Guido Silvestri, nel 1974). Un lupo apparentemente un po’ particolare: ama le galline, sì, ma di un affetto sincero il cui scopo non è per nulla alimentare; viene regolarmente bastonato dal cane da guardia che cerca di impedirgli di aver rapporti con l’amata gallina Marta, ma spesso è Alberto ad avere la meglio; intesse rapporti amicali, anche profondi, con altri animali (che in natura potrebbero tranquillamente far parte del suo menù quotidiano) a dimostrazione di come la conoscenza e l’amicizia sappiano superare la «diversità» (ed è esemplare il rapporto con il petulante Enrico la talpa, o la struggente e sincera commozione per la morte di un piccolo uccello). In effetti in questa serie deliziosa, divertente e intelligente, il lupo finisce per rappresentare un po’ tutte le caratteristiche psicologiche degli adolescenti, con quel misto continuo di aggressività, slancio, entusiasmo, forza, tenerezza, depressione, malinconia e senso di fallimento che si alternano senza sosta. Non stupisce, quindi, che sia diventato un simbolo per i giovani, un amico che condivide, sotto il pelo, le loro stesse avventure quotidiane, con il sesso e con l’amore, con il mito del lavoro, con i problemi più gravi, la politica, le malattie, le delusioni e le illusioni. Ma poi, in fondo, sempre con quella grinta da lupo che va avanti, nonostante tutto e tutti, oltre gli ostacoli, oltre il prossimo bosco oscuro, verso la vita.

Lupo Alberto
Lupo Alberto
 
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